La proposta per la deregolamentazione delle piante ottenute da NGT di categoria 1 si basa sul presupposto della loro equivalenza con le piante ottenute dal miglioramento convenzionale. Per valutare questa equivalenza, nell’Allegato 1 la proposta delinea una serie di criteri, basati essenzialmente su dimensione, numero o tipo di mutazioni a carico del DNA.
L’ANSES, Agenzia francese per l’Alimentazione, la Salute, la Sicurezza Ambientale e sul Lavoro, ha chiesto al suo gruppo di lavoro sulle biotecnologie di esaminare la base scientifica di questi criteri. Secondo il rapporto che ne è uscito, questi criteri hanno diverse limitazioni. Prima di tutto, la terminologia non è sempre univoca: mancano definizioni chiare di termini importanti come “sito bersaglio” o “piante convenzionali” con le quali comparare le piante NGT. Ma il punto critico più importante è la debolezza, dal punto di vista scientifico, del basare l’equivalenza tra piante NGT e convenzionali esclusivamente su dimensione o numero delle modifiche al DNA.
Difatti, la proposta stabilisce una soglia massima di 20 mutazioni, entro la quale una pianta NTG è considerata equivalente a una pianta convenzionale. Secondo il rapporto ANSES sarebbe prima di tutto più corretto che tale soglia fosse correlata con la dimensione del genoma delle diverse specie piuttosto che essere fissata in termini assoluti. Inoltre, la scelta di tale numero è stato giustificato confrontandolo con il numero di mutazioni potenzialmente ottenibili tramite mutagenesi casuale (una tecnica non NGT) con cui, dice il documento tecnico che accompagna la proposta legislativa, si possono ottenere tra le 30 e 100 mutazioni. Tuttavia, dicono gli esperti ANSES, il confronto con la mutagenesi casuale non è molto pertinente in quanto il numero di mutazioni ottenute con questa tecnica varia in base all’intensità del trattamento mutageno; inoltre, le mutazioni casuali indesiderate vengono poi eliminate dal processo di selezione successivo, cosa che non necessariamente accade a seguito di una mutagenesi mirata tramite NGT. Ancora a proposito di mutazioni indesiderate, queste verrebbero conteggiate tra le 20 modifiche accettabili, senza nessuna considerazione dei potenziali effetti negativi in termini funzionali o biologici. Basare il ragionamento sull’equivalenza su una semplice analisi molecolare della presenza di un certo numero di mutazioni, in qualsiasi punto del genoma esse avvengano, perde completamente di vista la questione del rischio per la pianta, l’ambiente o la salute.
Il gruppo di lavoro raccomanda pertanto di riformulare i criteri di equivalenza, adottando una prospettiva più ampia e meno riduttiva, che tenga conto di più variabili e di tutti i possibili rischi.
David Gould – Segretario generale Piattaforma Sementi IFOAM
A differenza dell’Unione Europea, gli OGM negli Stati Uniti sono stati in gran parte un “selvaggio west” non regolamentato sin dal 1996, anno di inizio della loro produzione commerciale.
Da allora, le colture GM con resistenza agli erbicidi e/o pesticidi dominano la superficie coltivata a soia, mais, cotone e barbabietole da zucchero degli Stati Uniti. Le leggi sull’etichettatura sono praticamente inesistenti. National Bioengineered Foods Disclosure Standard (NBFDS), entrato in vigore all’inizio del 2022, è quanto di più lontano si possa immaginare da una legge sull’etichettatura, in quanto copre solo una minima percentuale dei prodotti contenenti OGM effettivamente presenti sul mercato.
Le normative statunitensi sugli NGT si stanno dimostrando altrettanto poco rigorose, se non addirittura più deboli. Non esiste obbligo di etichettatura, tracciabilità o trasparenza. La notifica alle agenzie governative del rilascio di NGT nell’ambiente è più o meno volontaria. Si prevede quindi che nei prossimi anni un numero sempre maggiore di NGT entrerà sul mercato, dando inizio a un’era di sconvolgimenti genetici mai visti prima.
Il settore biologico, invece, ha adottato alcune misure relative a tutti i tipi di OGM, vecchi e nuovi. Tuttavia, le regole dell’USDA National Organic Programnon li hanno mai chiamati “OGM”, bensì “metodi esclusi/non ammessi” . Se un tempo questo termine infastidiva molte persone del movimento biologico (perché non chiamarli semplicemente OGM?), ora è diventato una garanzia di salvezza di fronte alle NGT. Tutte le nuove tecniche genomiche che rientrano nel termine NGT sono state esplicitamente indicate come “metodi esclusi” dal National Organic Standards Board, che fornisce pareri giuridicamente vincolanti all’USDA sulle regole del biologico. Almeno sul fronte del bio, questo annulla la strategia dell’industria biotecnologica di non considerare le NGT alla stregua dei precedenti OGM. Naturalmente, si tratta di una protezione solo parziale, poiché la minaccia di una contaminazione involontaria è sempre presente.
Convivendo con gli OGM non regolamentati per così tanto tempo e praticamente senza alcun sostegno da parte del governo, il settore privato in Nord America (la situazione del Canada non è molto diversa da quella degli Stati Uniti) ha avviato iniziative significative per individuare gli OGM, e costruire filiere prive di OGM a tutela dei consumatori e degli attori intermedi. Una di queste iniziative è il Progetto “Non-GMO” che aggiunge al certificato biologico un sigillo che garantisce l’assenza di OGM. Sebbene alcune parti ritengano che il Progetto sia in concorrenza con il biologico o possa confondere, il sentimento predominante tra i consumatori è che i due bollini sianocomplementari.
Con la nuova e amplificata minaccia degli NGT, altre iniziative, come la National Organic Coalition negli Stati Uniti e la Canada Organic Trade Association, hanno intensificato i loro sforzi per sensibilizzare l’opinione pubblica, influenzare i responsabili politici e stimolare misure proattive per assicurare che le opzioni non OGM rimangano disponibili. La Piattaforma Sementi di IFOAM svolge un ruolo di coordinamento e di creazione di reti tra organizzazioni e individui coinvolti in questi sforzi. Il suo Protocollo di valutazione del rischio e della sicurezza globale per le nuove tecnologie genomiche, pubblicato di recente, viene utilizzato come base di conversazione per coloro che sostengono il rilascio non regolamentato delle NGT o che credono ciecamente nella loro sicurezza senza serie prove scientifiche. Un’altra iniziativa in corso è un database coordinato per il monitoraggio delle biotecnologie, per analizzare continuamente le NGT in tutte le fasi di sviluppo, aiutare a preparare i dispositivi regolatori, e informare gli organismi di controllo e gli attori della filierain modo che possano valutare e controllare il rischio e assicurare che le catene di approvvigionamento non OGM siano monitorate costantemente.
Indipendentemente dal luogo, la trasparenza è fondamentale. L”etichettatura e la tracciabilità, l’accesso alle informazioni suorigine, nonché al materiale genetico ingegnerizzato, sono elementi fondamentali per garantire una corretta valutazione del rischio e dell’autenticità delle filiere , così comeper sviluppare protocolli analitici per le NGT che finora non esistono o non sono facilmente accessibili. La tecnologia di rilevamento migliorerà con il tempo. Nel frattempo, la Piattaforma Sementi di IFOAM ha in programma lo sviluppo di materiali didattici e di formazione sulla valutazione del rischio per gli attori delle filieree per le autorità di regolamentazione, al fine di continuare a proteggere il settore biologico e quello più ampio dei prodotti non OGM.
ITALIA/ Approvata la sperimentazione della prima pianta NGT!
L’Italia è uno strano paese: grazie al decreto di urgenza in tema di siccità e bacini idrici (convertito nella legge 68 del 13 giugno 2023) sono state semplificate le procedure per i test in campo dei nuovi OGM e questa primavera l’Università di Milano ha chiesto di potere sperimentare una varietà di riso resistente al brusone, un fungo che attacca questa coltura. Niente a che vedere con l’emergenza siccità, ma è così che funziona la politica. Mentre a livello europeo si discute come regolamentare queste colture, l’Italia fa da apripista approvando la coltivazione di una parcella di 28 mq di una pianta di riso denominato Telemaco e classificato come NGT-1 perché modificato in 3 geni il cui silenziamento, attuato con la tecnologia CRIPR-Cas9, si suppone dovrebbe aumentare la tolleranza al brusone.Per aggiornamenti sulla campagna Stop Nuovi OGM: https://cambiareilcampo.noblogs.org.
di Francesco Panié – Centro Internazionale Crocevia
Sono precise. Sono innocue. Sono alla portata di tutti. Sono la risposta al cambiamento climatico e alla siccità. Generano prodotti uguali a quelli della natura o della selezione convenzionale. Questa è solo una breve carrellata delle principali argomentazioni utilizzate da una parte del mondo scientifico e dalle grandi imprese sementiere e agrochimiche per sostenere la deregolamentazione degli OGM ottenuti con le New Genomic Techniques (NGT).
Eppure hanno fatto breccia nella Commissione e nel Parlamento Europeo, promotori di un nuovo regolamento che potrebbe esentare queste piante dagli obblighi di tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio oggi in vigore per i prodotti dell’ingegneria genetica.
Così, mentre l’intera impalcatura del Green Deal europeo – dal regolamento sui pesticidi a quello sul ripristino della natura – è stata polverizzata nell’ultimo scampolo di legislatura, a rimanere in piedi è proprio la sua parte più controversa: quella fondata su assunti indimostrati e tuttavia fortemente promossa da grandi organizzazioni di categoria e multinazionali.
Il testo finale si avrà solo quando verrà raggiunta una sintesi tra la proposta della Commissione, il testo emendato dall’Eurocamera a febbraio e la posizione degli stati membri, riuniti nel Consiglio dei Ministri dell’UE. Nel frattempo, le elezioni permettono ai movimenti per l’agricoltura contadina, alle organizzazioni del biologico, agli ambientalisti e alle associazioni dei consumatori di lavorare per costruire un argine. Ma il momento è critico. Molto più critico di quando, venticinque anni fa, i primi OGM erano stati sottoposti a norme così rigide da dissuadere le imprese dalla commercializzazione. Manca, rispetto ad allora, la sponda dei grandi sindacati agricoli e della grande distribuzione organizzata.
Tuttavia, la posta in gioco non è cambiata. Se il regolamento verrà approvato, sarà la fine del principio di precauzione, che pure dovrebbe essere un pilastro della regolamentazione comunitaria. Di conseguenza, nuovi OGM non testati potranno circolare liberamente per l’Europa ed essere piantati nei campi. Potrebbe cadere anche la possibilità, per i paesi, di vietarne la coltivazione sul suolo nazionale per motivi socioeconomici. Proprio l’Italia, nel 2016, aveva guidato una frangia di stati europei per ottenere questa ulteriore salvaguardia rispetto alla norma già cautelativa varata nel 2001. Oggi, come sappiamo, il nostro governo è schierato su tutt’altre posizioni. Il Ministro Francesco Lollobrigida appare fermamente intenzionato a privare il paese di ogni mezzo per rintracciare i prodotti geneticamente modificati lungo la filiera.
Questo significa che, per gli agricoltori biologici o intenzionati a non utilizzare OGM, così come per i trasformatori e i distributori, sarà impossibile operare in sicurezza. Il territorio italiano, lungo e stretto, rende molto più complesse che altrove le misure di coesistenza da mettere in campo per preservare le agricolture libere da OGM. Il regolamento, nella sua forma attuale, lascia agli stati decidere se e quali adottare: non è affatto scontato che il nostro governo si assuma l’onere di una regolamentazione in tal senso, né tantomeno i costi. L’inquinamento derivante dalla migrazione di pollini geneticamente modificati sarebbe quindi quasi impossibile da evitare.
A tutto questo si aggiunge un altro potenziale cambiamento profondo dei sistemi normativi. I prodotti delle NGT sono brevettabili, perché contengono tratti geneticamente modificati che si possono registrare presso l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO). Il sistema oggi basato prevalentemente sulla privativa vegetale – una forma di proprietà intellettuale invasiva, ma meno stringente del brevetto – verrebbe quindi rimpiazzato da un regime più limitativo dei diritti degli agricoltori. Enunciati nel Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche (ITPGRFA), questi diritti coprono lo scambio, la risemina, la conservazione e la vendita delle sementi da parte dei contadini. Già oggi l’architettura normativa scelta dall’Europa non facilita il pieno esercizio di questi diritti. La liberalizzazione dei nuovi OGM aprirebbe alla brevettazione industriale come nuovo standard per la commercializzazione di risorse genetiche, riducendo ulteriormente lo spazio per le pratiche contadine di conservazione dinamica della biodiversità. Un brevetto, infatti, conferisce all’inventore la proprietà esclusiva del tratto genetico registrato per vent’anni. Una proprietà che si estende a tutte le piante che lo contengono, sia quelle realizzate in laboratorio, sia quelle contaminate. E qui si apre una voragine dentro cui le grandi imprese, già oggi in prima fila nella brevettazione di sequenze genetiche ottenute con le New Genomic Techniques, possono tuffarsi. Oltre alla messa in commercio di piante brevettate senza valutazione del rischio, potranno anche cercare profitto denunciando agricoltori biologici o non-OGM accidentalmente inquinati dai loro pollini. La violazione dei diritti di proprietà intellettuale è punita, dalla legge italiana, con una multa pecuniaria e – in certi casi – la distruzione del raccolto. I contadini, a quel punto, potrebbero preferire una soluzione extragiudiziale, diventando però ancora più ricattabili. Una difficoltà maggiore l’avranno anche le aziende che moltiplicano le sementi in modo convenzionale. Vedranno infatti lievitare i costi per prendere in licenza le varietà brevettate, spesso rinunciando a farlo. Un rapporto del Dipartimento statunitense dell’agricoltura (USDA) pubblicato nel 2023 ci dà la dimensione del problema. Tra il 1990 e il 2020, spiega, i prezzi pagati dagli agricoltori per le sementi convenzionali sono aumentati del 120% circa. Quelli delle sementi di piante con tratti geneticamente modificati sono aumentati del 463%. In pratica, il costo dei brevetti e degli investimenti in ricerca e sviluppo in campo biotecnologico è stato scaricato sugli anelli più deboli della filiera.
Oltre alle preoccupazioni di ordine ambientale e sanitario, dunque, la liberalizzazione europea delle NGT aprirebbe una grossa partita economica. Una partita che, se non ci attrezziamo rapidamente, sarà molto difficile vincere.
Aggiornamento sul processo politico dell’UE riguardo le cosiddette Nuove Tecniche Genomiche
di Helene Schmutzler – IFOAM Europe
In vista delle elezioni di quest’anno, le istituzioni dell’UE hanno accelerato il lavoro su molti e importanti dossier, facendo avanzare il più rapidamente possibile alcune proposte legislative. Ma affrettare i processi legislativi non è necessariamente un bene per l’alimentazione e l’agricoltura. Questo è chiaramente visibile nella tempistica accelerata con cui sta procedendo il negoziato sulla proposta della Commissione riguardo alle nuove tecniche genomiche (NGT), un argomento controverso con importanti questioni in gioco, come la protezione dell’ambiente e la libertà di scelta di cittadini e produttori. Dopo la pubblicazione della proposta nel luglio 2023, sono iniziati due processi negoziali paralleli: il primo in seno al Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura e l’altro in seno al Parlamento europeo.
La Presidenza non è riuscita a raggiungere un accordo nel Consiglio dei Ministri, né a dicembre, quando è stato messo ai voti, né a febbraio. Tra i motivi del dissenso vi sono le forti preoccupazioni per l’impatto della deregolamentazione sul miglioramento genetico (a causa della questione dei brevetti) e la mancanza di soluzioni praticabili per la coesistenza con l’agricoltura biologica (e senza OGM). Ciononostante, vi sono ancora forti pressioni per accelerare il processo legislativo e spingere gli Stati membri ad arrivare a un accordo sulla proposta legislativa. Il Parlamento europeo ha raggiunto una posizione nella votazione plenaria del 7 febbraio 2024. Secondo IFOAM Organics Europe, il risultato è un passo indietro in termini di biosicurezza e di libertà di scelta per i consumatori, ma gli eurodeputati hanno salvaguardato alcuni requisiti minimi di trasparenza e hanno persino reintegrato le disposizioni sulla tracciabilità, su cui gli Stati membri dovrebbero basarsi per garantire la libertà degli agricoltori di non utilizzare l’ingegneria genetica.
Il movimento per il bio è compatto contro gli OGM vecchi e nuovi a livello europeo e internazionale
A causa dei rischi e delle conseguenze potenziali degli OGM vecchi e nuovi, l’uso delle NGT è in conflitto con il principio di precauzione. Pertanto, come si evince anche dalla bozza di proposta della Commissione, l’uso delle NGT non è in linea con i principi dell’agricoltura biologica, considerando anche peraltro che i produttori biologici devono soddisfare le aspettative dei consumatori che non vogliono OGM nel piatto. Il movimento del bio ha espresso chiaramente la sua posizione sull’ingegneria genetica nel documento adottato nel 2017 in occasione dell’Assemblea generale di IFOAM – Organics International, svoltasi a Nuova Delhi. lFOAM Organics Europe ha inoltre adottato una risoluzione durante l’Assemblea generale del 2023, in cui ricercatori, agricoltori, trasformatori, certificatori, commercianti e dettaglianti biologici chiedono di preservare la loro libertà di scelta di rimanere liberi da OGM.
Il movimento per il bioritiene che, sebbene l’innovazione orientata alla sostenibilità nella selezione delle piante sia necessaria, sia sbagliato e dannoso ridurla alla modifica del DNA di una singola coltura o varietà. La ricca esperienza dell’agricoltura biologica degli ultimi decenni dimostra che una prospettiva agroecologica dei nostri sistemi alimentari, basata su una combinazione di strategie e strumenti e sulle interazioni tra ecosistemi, è ciò che crea resilienza a lungo termine. Il miglioramento genetico per il biologico è un approccio basato sul sistema con al centro la biodiversità e la salute degli ecosistemi.
Le 3 preoccupazioni chiave del movimento biologico
1. IFOAM Organics Europe sottolinea l’importanza che il nuovo regolamento mantenga il divieto esplicito di tutte le NGT nel biologico, per garantire la necessaria chiarezza giuridica e stabilire le salvaguardie essenziali di una produzione priva di OGM.
2. Il divieto delle NGT di categoria 1 e 2 nel biologico deve essere sostenuto da un quadro giuridico e da mezzi tecnici adeguati, cosa che non avviene nell’attuale proposta della Commissione. Ci vorrebbero infatti misure di tracciabilità lungo l’intera filiera per consentire agli operatori del settore alimentare di evitare la presenza accidentale o inevitabile di NGT nel loro processo di produzione. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero disporre di una chiara base giuridica per adottare misure di coesistenza a livello nazionale e regionale.
3. L’impatto che l’eliminazione dell’obbligo di identificazione e tracciabilità delle NGT avrebbe sul modello europeo di miglioramento genetico vegetale è molto preoccupante. Oltre a un’ulteriore concentrazione del mercato sementiero, l’aumento dei brevetti ridurrà la diversità genetica disponibile per lo sviluppo di nuove colture e soffocherà l’innovazione, riducendo le scelte per gli agricoltori e i consumatori. Né il piano della Commissione europea di pubblicare un’analisi sull’impatto dei brevetti nel settore del miglioramento genetico vegetale entro il 2026, né la posizione assunta dal Parlamento europeo sono sufficienti, in quanto si tratta solo di tentativi di paravento senza una soluzione efficace e sostanziale.
Dal 2012, quando le ricercatrici Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier hanno pubblicato l’articolo su Nature che spiegava la possibilità di usare non solo nei batteri la tecnica di editing genomico denominata CRISPR, siamo entrati nella CRISPRmania. Il racconto è semplice e potente: il libro dei sogni è a nostra portata. Non è un caso che il libro di Kevin Davies, genetista e fondatore nel 2017 di The CRISPR Journal, che narra le storia di questa scoperta scientifica si intitoli Riscrivere l’umanità. Questa è la presunta sfida, possiamo aggiustare, migliorare, perfezionare la biologia a nostro piacimento. Dalla medicina, all’agricoltura, fino alla zootecnia, non c’è settore che resterà immune da questa innovazione. Ad esempio, è di pochi giorni fa la notizia che negli USA la società Genus sta chiedendo l’autorizzazione per un maiale crisperizzato per resistere al virus che causa la sindrome riproduttiva e respiratoria dei suini, diffuso in tutto il mondo con danni stimati all’industria suinicola di circa 2,7 miliardi di dollari all’anno. In Giappone, invece, sono sugli scaffali i primi pomodori CRISPR, sviluppati per abbassare la pressione sanguigna, alleviare lo stress mentale e migliorare la qualità del sonno.
Insomma, dobbiamo essere pronti a questo nuovo mondo dove scienza, tecnologia e mercato saranno sempre più interconnessi, con la capacità di arrivare al nostro DNA e intervenire sulla linea germinale umana. Come si capisce si aprono nuovi ambiti di discussione per noi cittadini nel dibattito tra scienza e società: quali tecnologie saranno eticamente e socialmente accettabili in un contesto capitalista dove il limite viene definito dalla disponibilità a pagare dei potenziali clienti?
Lo stesso Papa Francesco nel 2018, durante un’audizione per presentare le potenzialità di CRISPR al Vaticano, ha affermato che “non tutto ciò che è tecnicamente fattibile o possibile è per questo eticamente accettabile”. Per definire definire questo orizzonte etico, però, sono necessari un confronto e un dibattito ad oggi inesistenti.
Questo Notiziario offre un punto di vista alternativo sul mondo CRISPR in agricoltura, con l’obiettivo di aprire un dibattito sul futuro della ricerca agricola pubblica. Non vogliamo difendere una posizione ideologica o anti-scientifica, ma rivendicare un pensiero diverso che non si integra nel determinismo genetico ormai imperante. Altrimenti corriamo il rischio di trasferire al genoma il ruolo di demiurgo riservato a Dio nelle religioni, come scrivono i biologi Jean-Jacques Kupiec e Pierre Sonigo nel libro Nè Dio Nè genoma, per un’altra teoria dell’ereditarietà. Al contrario vogliamo sottolineare come oggi sia il mondo scientifico a giocare una battaglia puramente ideologica sulle Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) o New Genome Techniques (NGT), presentate come la panacea a tutti i problemi: dalla fame del mondo, alla conservazione dell’agrobiodiversità, passando per le resistenze a malattie e insetti. Tutto è possibile grazie a questa tecnologia, perfettamente integrata nel paradigma dell’agricoltura 4.0.
Nell’inseguire questo miraggio riduzionista stiamo perdendo di vista il contesto e l’ambiente (a vari livelli) in cui il genoma è immerso, e con loro, non dimentichiamolo, anche la nostra libertà.
I processi di innovazione producono ibridi, ignorando gli agricoltori che coltivano le varietà locali e creando confusione nel mercato.
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 269 – Aprile 2024
La società occidentale ha la presunzione di pensare che la scienza sia neutrale, un campo di azione scevro da implicazioni sociali, relazioni di potere o costrutti ideologici che ne influenzano le attività. In realtà, nella sua azione è soggetta al mondo esterno che la circonda e, a sua volta, lo influenza. Insomma, un gioco continuo di rimandi e relazioni, che fa sì che il fare scienza non sia scollegato dalla società, ma al contrario sia una parte centrale di una determinata visione del mondo.
In agricoltura tutto ciò è ancora più vero, perché sono presenti gli agricoltori: soggetti intermedi tra scienza e oggetto del suo studio. Come considerare questi attori? Come valutare il loro sistema di conoscenze acquisite nel tempo e legate allo specifico luogo in cui vivono?
L’antropologia ha risposto a queste domande per quanto riguarda i saperi tradizionali detenuti dalle comunità rurali o indigene nei Paesi del Sud del mondo, includendoli nei percorsi di indagine, cominciando a parlare di ricerca partecipata e decentralizzata, di conoscenze tacite non scritte da integrare nei saperi scientifici, nel tentativo di stabilire una nuova metodologia di analisi delle realtà che non prescindesse da chi la vive tutti i giorni.
È stato meno facile fare un percorso analogo nei cosiddetti Paesi sviluppati. Dove il sistema di conoscenze in agricoltura è troppo strutturato e legato al mondo economico e ai suoi portatori di interesse, per cui la questione impatta su sistemi di potere, valori e visioni di mondo in contrasto tra di loro. Una difficoltà che emerge chiaramente se si analizza come la ricerca agricola affronta il tema delle varietà locali. Negli anni i vari progetti che mirano alla loro “valorizzazione” (termine quanto mai ambiguo) hanno avuto come obiettivo la produzione di ibridi. La ricerca quindi è partita da popolazioni o varietà a impollinazione aperta per arrivare a produrre “F1” (ibridi) considerati più produttivi e performanti.
Come al solito si è immaginato un solo percorso per il progresso varietale, senza considerare le conseguenze per gli agricoltori che le coltivano e senza coinvolgerli nel presunto processo di miglioramento genetico. Che vede tra i suoi effetti collaterali l’impossibilità per i coltivatori di rifarsi il seme in azienda, dal momento che le progenie degli ibridi sono difformi e non riproducono le qualità dei genitori.
Il 2023 è l’anno di iscrizione dell’ibrido “Pignoletto Peila” nel catalogo delle varietà vegetali
C’è poi un’altra operazione che purtroppo è stata spesso accompagnata a questa valorizzazione: il mantenimento della vecchia denominazione, con la semplice aggiunta di un suffisso per differenziarla. In questo modo la confusione regna sovrana sia per chi compra le sementi, sia per il consumatore.
Si tratta di una nuova forma di bio-pirateria culturale, che dimostra la presa che hanno ancora sul nostro immaginario i nomi delle cosiddette vecchie varietà e, alla fine, anche il loro interesse economico.
L’ultimo episodio è avvenuto in Piemonte, dove la ricerca pubblica ha prodotto un nuovo ibrido a partire dal mais Pignoletto rosso del Canavese. Che però non ha un nome “di fantasia” slegato da quello originale, al contrario è stato chiamato “Pignoletto Peila”. Se l’operazione dal punto di vista legale è legittima (la complessa normativa europea sulle denominazioni varietali lascia infatti parecchie porte aperte) appare molto più dubbia sul piano etico e sociale.
Come tutelare quegli agricoltori che hanno mantenuto nel tempo questa varietà e che ora si trovano la concorrenza di un prodotto presentato come simile al consumatore, ma con una produttività molto maggiore?
C’è una sola strada per evitare di commettere ancora questi errori: coinvolgere gli agricoltori nei processi di ricerca e tenere conto del loro portato di conoscenze e simbolico.
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