di Francesco Panié – Centro Internazionale Crocevia
Sono precise. Sono innocue. Sono alla portata di tutti. Sono la risposta al cambiamento climatico e alla siccità. Generano prodotti uguali a quelli della natura o della selezione convenzionale. Questa è solo una breve carrellata delle principali argomentazioni utilizzate da una parte del mondo scientifico e dalle grandi imprese sementiere e agrochimiche per sostenere la deregolamentazione degli OGM ottenuti con le New Genomic Techniques (NGT).
Eppure hanno fatto breccia nella Commissione e nel Parlamento Europeo, promotori di un nuovo regolamento che potrebbe esentare queste piante dagli obblighi di tracciabilità, etichettatura e valutazione del rischio oggi in vigore per i prodotti dell’ingegneria genetica.
Così, mentre l’intera impalcatura del Green Deal europeo – dal regolamento sui pesticidi a quello sul ripristino della natura – è stata polverizzata nell’ultimo scampolo di legislatura, a rimanere in piedi è proprio la sua parte più controversa: quella fondata su assunti indimostrati e tuttavia fortemente promossa da grandi organizzazioni di categoria e multinazionali.
Il testo finale si avrà solo quando verrà raggiunta una sintesi tra la proposta della Commissione, il testo emendato dall’Eurocamera a febbraio e la posizione degli stati membri, riuniti nel Consiglio dei Ministri dell’UE. Nel frattempo, le elezioni permettono ai movimenti per l’agricoltura contadina, alle organizzazioni del biologico, agli ambientalisti e alle associazioni dei consumatori di lavorare per costruire un argine. Ma il momento è critico. Molto più critico di quando, venticinque anni fa, i primi OGM erano stati sottoposti a norme così rigide da dissuadere le imprese dalla commercializzazione. Manca, rispetto ad allora, la sponda dei grandi sindacati agricoli e della grande distribuzione organizzata.
Tuttavia, la posta in gioco non è cambiata. Se il regolamento verrà approvato, sarà la fine del principio di precauzione, che pure dovrebbe essere un pilastro della regolamentazione comunitaria. Di conseguenza, nuovi OGM non testati potranno circolare liberamente per l’Europa ed essere piantati nei campi. Potrebbe cadere anche la possibilità, per i paesi, di vietarne la coltivazione sul suolo nazionale per motivi socioeconomici. Proprio l’Italia, nel 2016, aveva guidato una frangia di stati europei per ottenere questa ulteriore salvaguardia rispetto alla norma già cautelativa varata nel 2001. Oggi, come sappiamo, il nostro governo è schierato su tutt’altre posizioni. Il Ministro Francesco Lollobrigida appare fermamente intenzionato a privare il paese di ogni mezzo per rintracciare i prodotti geneticamente modificati lungo la filiera.
Questo significa che, per gli agricoltori biologici o intenzionati a non utilizzare OGM, così come per i trasformatori e i distributori, sarà impossibile operare in sicurezza. Il territorio italiano, lungo e stretto, rende molto più complesse che altrove le misure di coesistenza da mettere in campo per preservare le agricolture libere da OGM. Il regolamento, nella sua forma attuale, lascia agli stati decidere se e quali adottare: non è affatto scontato che il nostro governo si assuma l’onere di una regolamentazione in tal senso, né tantomeno i costi. L’inquinamento derivante dalla migrazione di pollini geneticamente modificati sarebbe quindi quasi impossibile da evitare.
A tutto questo si aggiunge un altro potenziale cambiamento profondo dei sistemi normativi. I prodotti delle NGT sono brevettabili, perché contengono tratti geneticamente modificati che si possono registrare presso l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO). Il sistema oggi basato prevalentemente sulla privativa vegetale – una forma di proprietà intellettuale invasiva, ma meno stringente del brevetto – verrebbe quindi rimpiazzato da un regime più limitativo dei diritti degli agricoltori. Enunciati nel Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche (ITPGRFA), questi diritti coprono lo scambio, la risemina, la conservazione e la vendita delle sementi da parte dei contadini. Già oggi l’architettura normativa scelta dall’Europa non facilita il pieno esercizio di questi diritti. La liberalizzazione dei nuovi OGM aprirebbe alla brevettazione industriale come nuovo standard per la commercializzazione di risorse genetiche, riducendo ulteriormente lo spazio per le pratiche contadine di conservazione dinamica della biodiversità. Un brevetto, infatti, conferisce all’inventore la proprietà esclusiva del tratto genetico registrato per vent’anni. Una proprietà che si estende a tutte le piante che lo contengono, sia quelle realizzate in laboratorio, sia quelle contaminate. E qui si apre una voragine dentro cui le grandi imprese, già oggi in prima fila nella brevettazione di sequenze genetiche ottenute con le New Genomic Techniques, possono tuffarsi. Oltre alla messa in commercio di piante brevettate senza valutazione del rischio, potranno anche cercare profitto denunciando agricoltori biologici o non-OGM accidentalmente inquinati dai loro pollini. La violazione dei diritti di proprietà intellettuale è punita, dalla legge italiana, con una multa pecuniaria e – in certi casi – la distruzione del raccolto. I contadini, a quel punto, potrebbero preferire una soluzione extragiudiziale, diventando però ancora più ricattabili. Una difficoltà maggiore l’avranno anche le aziende che moltiplicano le sementi in modo convenzionale. Vedranno infatti lievitare i costi per prendere in licenza le varietà brevettate, spesso rinunciando a farlo. Un rapporto del Dipartimento statunitense dell’agricoltura (USDA) pubblicato nel 2023 ci dà la dimensione del problema. Tra il 1990 e il 2020, spiega, i prezzi pagati dagli agricoltori per le sementi convenzionali sono aumentati del 120% circa. Quelli delle sementi di piante con tratti geneticamente modificati sono aumentati del 463%. In pratica, il costo dei brevetti e degli investimenti in ricerca e sviluppo in campo biotecnologico è stato scaricato sugli anelli più deboli della filiera.
Oltre alle preoccupazioni di ordine ambientale e sanitario, dunque, la liberalizzazione europea delle NGT aprirebbe una grossa partita economica. Una partita che, se non ci attrezziamo rapidamente, sarà molto difficile vincere.