La privatizzazione dei saperi che danneggia l’agrobiodiversità

La privatizzazione dei saperi che danneggia l’agrobiodiversità

Sigle come Dop, Igp, Stg e Pat rischiano di essere gusci vuoti che nascondono prodotti ormai integrati con la filiera agroindustriale

di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 247 – Aprile 2022

Prodotti agricoli tradizionali (Pat), Denominazioni di origine protetta (Dop), Indicazioni geografiche protette (Igp), Specialità tradizionali garantite (Stg) sono solo alcuni dei loghi, marchi e sigle di qualità, tradizione e identità territoriale che sempre di più affollano gli scaffali, con l’obiettivo di differenziare alcuni prodotti rispetto al modello di consumo industriale e massificato. Senza che ce ne rendessimo conto anche la nostra identità nazionale ha cominciato a essere ricostruita nelle narrazioni pubblicitarie attraverso il cibo che mangiamo: il made in Italy e l’italianità sventolate nelle etichette diventano l’unica certezza cui aggrapparci per ridare senso al concetto di cultura nazionale, ormai annacquato nella nostra società fluida e post-ideologica. Il cibo, il prodotto tipico (la cui tipicità è tutta dimostrare) rimangono l’unico baluardo con cui proteggerci di fronte al pensiero unico globalizzante. 

Dal livello comunale a quello regionale, gli Enti locali fanno a gara a chi vanta più indicazioni geografiche (Dop, Igp e Stg) o Pat, in una battaglia che prima è nazionale (dove le Regioni competono tra di loro) e poi europea (dove i vari Stati sono in competizione tra loro). È in atto un processo di patrimonializzazione e privatizzazione di saperi, conoscenze, tecniche, ricette e prodotti elaborati dalle collettività locali nel corso del tempo. Che oggi vengono cristallizzati in specifici disciplinari per essere lanciati nella competizione sui mercati mondiali.

Sono 5.128 i Prodotti agricoli tradizionali (Pat) inclusi in un apposito elenco, istituito dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in collaborazione con le Regioni

Due sono gli elementi di cui tener conto in questo processo. L’uso di questi strumenti, se da un lato dovrebbe tutelare quelle tradizioni locali non in grado altrimenti di reggere la competizione, dall’altro diventa un mezzo di esclusione tra chi è dentro e fuori dal sistema di regole. Si creano comunità chiuse con poca o nessuna capacità di dialogare con l’esterno. L’evoluzione è cancellata dalla storia dell’alimentazione, dimenticando che la nostra gastronomia è così ricca perché frutto di incontro e contaminazione diverse. Inoltre, il marchio e il disciplinare diventano, spesso, gusci vuoti che rappresentano l’idea del prodotto da proteggere (il suo nome o localizzazione geografica) ormai integrato completamente nella normale filiera agroindustriale.

Ad esempio, le tecniche di produzione vengono modificate per favorire una loro industrializzazione o le varietà locali vengono sostituite con quelle commerciali, più produttive e facili da gestire. Questo è possibile perché i cittadini consumatori non sono più in grado di “capire” le supposte qualità intrinseche di quel prodotto. Il libro “Gastronazionalismo” (peoplepub, 2021 – ne avevamo parlato nell’inchiesta dedicata all’aceto), cerca di fare il punto su questa situazione, definita heritage fever, che nel nostro Paese gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo delle politiche agricole.  Così scrivono gli autori: “Costruire un valore attorno alla cultura, nel bene e nel male, si traduce in un’opera di mercificazione, traducendo la conoscenza in moneta, ma anche in una mummificazione della conoscenza stessa, che si assume derivata da un processo continuo di sviluppo antropologico, al quale però viene posto un limite temporale. Per difendere il patrimonio vivente lo si mette in formalina, ovvero se ne decreta la morte”.

E la mummificazione la vediamo tutti i giorni all’opera nel marketing dell’agrobiodiversità a partire dai termini usati: gli agricoltori custodi delle antiche varietà sono un ossimoro che riflette questa contraddizione tra tradizione e modernità. Non è facile uscire da questa impasse culturale: bisogna battere strade nuove per ricostruire culture, colture e comunità locali in grado di evolvere nel tempo in un sistema aperto di scambio di conoscenze, saperi, pratiche e varietà.

credits ALTRECONOMIA

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La gestione comunitaria dell’agrobiodiversità

La gestione comunitaria dell’agrobiodiversità

Analisi socio-economica sulla gestione e diffusione della semente di popolazione evolutiva in Toscana

di Adanella Rossi, Eleonora Rovini – Università di Pisa

Cereali resilienti ha indagato gli aspetti socio-economici della gestione locale della semente di popolazione e le forme di tutela e comunicazione del suo valore nei relativi sistemi di produzione-consumo.

l modo più efficace per accrescere l’agrobiodiversità è inserirla in sistemi colturali reali, a loro volta parte di sistemi di produzione e consumo consapevoli dei valori di questa biodiversità. È così che si possono creare le condizioni per una sua gestione in forme efficaci e sostenibili. Il progetto Cereali resilienti, tra le sue varie attività, si è proposto di valutare gli aspetti socio-economici legati alla diffusione delle popolazioni evolutive in Toscana – in particolare della popolazione di grano tenero denominata legalmente “SOLIBAM tenero Floriddia”.

Il progetto Cereali Resilienti
è iniziato nel 2016 e terminerà
ad aprile 2022.

Si è svolto in 2 fasi, una di indagine
conoscitiva e di costituzione del
Gruppo Operativo e una triennale
volta ad adattare e diffondere la
popolazione di frumento
SOLIBAM FLORIDDIA in 4 MAC
della Toscana.

Tutte le attività sono state finanziate
dalla Regione Toscana tramite
le misure 16.2, 1.2 e 1.3 del PSR.

 Il progetto prevedeva di indagare alcuni ambiti fondamentali: aspetti organizzativi della gestione della semente tra le aziende, aspetti sociali ed economici legati alla sua produzione e al suo inserimento all’interno della filiera produttiva, forme di tutela e comunicazione del valore di queste sementi e colture. Il tutto con riferimento alle 4 Macro-Aree Climatiche (MAC) che sono riportate nella mappa a pagina 9. Il primo ambito richiedeva di focalizzarsi sugli agricoltori, sul loro atteggiamento verso le popolazioni ma anche sulla loro capacità di sviluppare un approccio collettivo attraverso sistemi locali di relazioni e di collaborazione, individuando anche strumenti utili allo scopo. Guardando agli agricoltori coinvolti, si evidenzia come negli anni ci sia stato un incremento del loro numero. Attualmente gli agricoltori che hanno acquistato e successivamente riprodotto la popolazione nelle loro aziende sono circa una trentina, suddivisi nelle 4 MAC. In tre aree, le aziende sono già in relazione tra loro, specie dove ci sono aziende di riferimento importanti per le attività produttive svolte, come l’az. Floriddia e l’az. Passerini. Nell’area MAC Montagna – Mugello e Amiata – il tessuto di relazioni invece non è molto sviluppato.

Il processo di creazione dei sistemi locali è dunque ancora nelle fasi iniziali, individuabili alcuni network locali consolidati tra chi riproduce il seme e chi lo acquista. Questo è legato anche al fatto che, al momento, l’unica azienda ad aver ottenuto l’autorizzazione per la riproduzione e commercializzazione delle popolazioni (Decisione di esecuzione 2014/150/UE) è l’Az. Floriddia, che ha anche messo in piedi una rete di impresa con alcune aziende della sua area, i “Semi Contadini”. Questa relazione contrattuale conferisce robustezza alla gestione collettiva della produzione di semente, garantendo condivisione di conoscenze e buone pratiche, tracciabilità, nonché adeguato valore economico alle piccole produzioni. Una strada dunque su cui lavorare.

33 aziende coinvolte
250 ettari di superficie

500 quintali di semente prodotta
2.000 quintali di granella prodotta

13 incontri territoriali
14 visite aziendali
1000 persone coinvolte

L’autogestione della semente implica per le aziende sia l’acquisizione di specifiche competenze e abilità per le operazioni necessarie per la produzione e il mantenimento della semente stessa, ma anche costi maggiori. Costi che tuttavia possono ripagarsi nel tempo perché permettono di svincolarsi dal sistema sementiero convenzionale, adattare il seme ai propri specifici contesti produttivi e soprattutto dare al prodotto finale un valore aggiunto. Un bel pezzo di sovranità alimentare.

La finalità ultima è quella di strutturare nei territori delle vere forme di co-gestione, in grado di diffondere i valori ambientali, economici e sociali che la popolazione evolutiva porta con sé.

In questo approccio all’agrobiodiversità diviene importante che nessuno si appropri della proprietà intellettuale di questa semente o che ne limiti la diffusione con altri strumenti di protezione. A questo scopo all’interno del progetto è stata creata un’etichetta open source, accessibile a tutti, che comunica i significati sociali e i criteri su cui si fonda l’utilizzo di questi semi. In questo modo chi sceglie di adottare la popolazione si impegna a rispettarne i principi, includendo la dichiarazione in ogni trasferimento delle sementi o dei suoi derivati. Il tutto in coerenza e a supporto di una gestione comunitaria dell’agrobiodiversità che coinvolga tutti i processi produttivi, fino ad arrivare alle pratiche di consumo.

Sempre in quest’ottica, nei tre anni di progetto, sono stati organizzati eventi di animazione territoriale, ospitati nelle aziende coinvolte nella coltivazione ed aperti a tutti gli attori, dalla produzione al consumo. In queste occasioni è stato stimolato un confronto diretto sulle possibili criticità di queste filiere ma anche sulle opportunità che la popolazione evolutiva può rappresentare nei rispettivi territori.

Macro Aree Climatiche (MAC)
Il progetto Cereali Resilienti ha definito le Macro Aree Climatiche usando la metodologia degli “analoghi climatici” con cui è possibile confrontare il clima di un determinato punto geografico con le zone circostanti.

Abbiamo quindi identificato 4 MAC: aree geografiche con una similarità climatica maggiore del 75% rispetto a un’azienda di riferimento (azienda-madre). La similarità è stata calcolata utilizzando i dati climatici della serie storica 1970-2000 disponibili su www.worldclim.org ed elaborati con il software Climate Analogues.

Queste 4 MAC sono state sovrapposte a 4 tipologie orografiche: collina, pianura, costa e montagna. Le aziende che si sono aggiunte successivamente al progetto sono state incluse nella loro MAC di riferimento e individuate come aziende-figlie.

In alcuni casi sono già state sperimentate la trasformazione e la commercializzazione di questi prodotti, valorizzati all’interno di canali di produzione e distribuzione locali. Oltre ad alcune difficoltà pratiche che tutti gli operatori riconoscono, è significativo come l’aspetto più critico, ma anche determinante per la realizzazione di questi sistemi, risulti la creazione di una comunicazione coerente ed efficace, che consenta di entrare in relazione diretta con gli utilizzatori intermedi e i consumatori finali dei prodotti, rafforzando la consapevolezza di tutti gli attori coinvolti e quindi il loro sentirsi parte integrante del processo.

La finalità ultima è quella di strutturare nei territori delle vere forme di co-gestione, che siano in grado di conservare e diffondere i valori ambientali, economici e sociali che la popolazione evolutiva porta con sé.

Lettera congiunta alla Commissione Europea

Lettera congiunta alla Commissione Europea

Una visione comune per la diversità delle piante

Ad aprile 2021 una serie di organizzazioni europee ha inviato una lettera comune alla Commissione evidenziando i punti seguenti.

Le regole esistenti per la produzione e la commercializzazione delle sementi favoriscono l’uniformità e la produttività a breve termine a spese della diversità delle piante coltivate, dell’ambiente e della diversità degli attori che sviluppano le sementi e le rendono disponibili. Trascurano i diritti definiti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle zone rurali (UNDROP) e il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (ITPGRFA), e dividono gli attori in categorie artificiali di “utenti” e “produttori” di sementi. 

Alla luce delle crisi del clima e della biodiversità, abbiamo bisogno di politiche che riconoscano, proteggano e sostengano il potenziale della diversità coltivata per favorire sistemi alimentari resilienti e garantire la nostra sicurezza alimentare futura. La diversità delle piante coltivate è il fondamento per guidare la transizione dei sistemi alimentari e invertire la perdita di biodiversità. 

La pandemia Covid-19 ha rafforzato questa necessità, e ha portato ad un aumento della domanda di semi ad impollinazione aperta adattati a livello locale e di prodotti locali. Il miglioramento genetico locale, la produzione e la gestione dinamica delle sementi, e la diversità dell’offerta commerciale di sementi, forniscono agli agricoltori opportunità di alto valore per attingere a questa domanda crescente, per esempio offrendo prodotti biologici, varietà tradizionali, specie trascurate e sottoutilizzate, e/o specialità regionali. 

Tuttavia, l’attuale quadro normativo sta deludendo gli agricoltori che operano al di fuori dell’agricoltura industriale, per esempio quelli che lavorano in condizioni agro-ecologiche o biologiche, quelli che vogliono lavorare con varietà ad impollinazione aperta, e quelli che lavorano in piccole superfici con stretti legami con i consumatori finali, poiché semplicemente non hanno accesso a varietà adatte alle loro esigenze e agli ambienti produttivi. Alla luce delle numerose sfide che l’agricoltura deve affrontare, è inaccettabile che il quadro di commercializzazione delle sementi discrimini quanti desiderano perseguire alternative caratterizzate da pratiche rispettose dell’ambiente e del clima. 

Qualsiasi riforma della legislazione sulla commercializzazione delle sementi deve realizzare il Green Deal europeo, le sue strategie per la biodiversità e Farm to Fork, e gli obiettivi dell’UE in materia di cambiamento climatico, promuovendo i diritti degli agricoltori alle sementi. Deve rispettare e sostenere gli sviluppi stimolanti del nuovo regolamento biologico, e anche riconoscere i considerevoli e costosi oneri imposti alla produzione e alla circolazione delle sementi dal nuovo regolamento fitosanitario, in particolare per i piccoli operatori. Deve essere coerente con gli impegni presi nell’ambito dell’ITPGRFA e della Convenzione sulla diversità biologica. Infine, ma non meno importante, deve far rispettare il diritto alle sementi e gli obblighi degli Stati di facilitare e rispettare questo diritto secondo l’UNDROP.

Ci sono stati alcuni miglioramenti nell’ultimo decennio, in particolare con le direttive sulle varietà da conservazione, e più recentemente nel nuovo regolamento del biologico. Tuttavia, la diversità è ancora limitata a nicchie, ognuna delle quali ha la sua serie di restrizioni, e la complessità del quadro stesso è proibitiva per molti piccoli attori. Le crisi del clima e della biodiversità, così come i cambiamenti sociali, economici e tecnologici nei decenni successivi all’adozione delle regole negli anni ’60, richiedono un ripensamento fondamentale.

Una legislazione riformata deve sostenere la diversità intraspecifica e intra-varietale, sostenendo così l’adattamento al cambiamento climatico, la transizione verso un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente, la produzione locale di sementi e cibo, i diritti degli agricoltori e diete più sane. Dovrebbe anche riconoscere e sostenere veramente la molteplicità dei sistemi sementieri, e offrire più scelta agli agricoltori. 

Per raggiungere questo obiettivo, la riforma deve riconoscere, proteggere e premiare il ruolo fondamentale giocato dai sistemi sementieri informali nella conservazione, nell’uso sostenibile e nella gestione dinamica della diversità, e nel garantire la resilienza dei nostri sistemi alimentari. Parallelamente alla legislazione e i diritti di proprietà intellettuale non devono danneggiare i diritti degli agricoltori. Tutti i quadri giuridici devono essere migliorati per evitare l’appropriazione indebita della diversità, compreso attraverso l’uso di informazioni digitali sulle sequenze genetiche.

I 34 FIRMATARI DELLA LETTERA
EU / REGIONALBiodynamic Federation Demeter Int
European Coordination Via Campesina
Reseau Meuse-Rhin-Moselle
AUSTRIAArche Noah / ÖBV-Via Campesina Austria
BELGIOBoerenforum, Vitale Rassen
CROAZIABiovrt-u skladu s prirodom – Biogarden
Croatian Org. Farmers’ Associations Alliance
Život – Association of Croatian family farms
ZMAG – Community Seed Bank
REPUBBLICA CECADemeter Czech & Slovakia / Permasemnika
CIPROCyprus Seed Savers
DANIMARCADemeterforbundet i Danmark
Frøsamlerne – Danish Seed Savers
ESTONIAMaadjas – Estonian Seed Savers
FRANCIADemeter France
Mouvement de l’Agriculture Bio-Dynamique
Le Réseau Semences Paysannes
GERMANIAD.V. Kulturpflanzen- und Nutztiervielfalt e.V.
GRECIAAegilops / Peliti
UNGHERIAMagház – Seed House
IRLANDAIrish Seed Savers Association
ITALIAAssociazione per l’Agr. Biodinamica in Italia
Demeter Associazione Italia
Rete Semi Rurali
LETTONIALatvian Permaculture Association
LUSSEMBURGOSEED Luxemburg
MALTANadir for Conservation
NORVEGIABiodynamic Association Norway
POLONIAFoundation AgriNatura for Agricultural Biodiversity
PORTOGALLOGAIA – Environmental Action and Intervention
Group
SVIZZERAGetreidezüchtung Peter Kunz
ProSpecieRara

Proposte specifiche per una possibile riforma:

Il campo di applicazione della legislazione dovrebbe essere delineato da una definizione rigorosa di commercializzazione limitata alle attività commerciali rivolte agli utilizzatori professionali di sementi. La legislazione, quindi, non dovrebbe regolare conservazione, uso sostenibile e gestione dinamica della diversità, compresi gli scambi di sementi tra agricoltori e hobbisti che sono gratuiti o che prevedono solo il rimborso delle spese. In particolare, non dovrebbe esistere un registro degli operatori. Questi sistemi sementieri, come sancito dall’UNDROP, devono essere fuori dal campo di applicazione della normativa. 

La legislazione deve garantire la libertà di scelta degli agricoltori sia per quanto riguarda le sementi (specie, varietà, popolazioni) che per quanto riguarda gli standard di produzione. 

Ci deve essere una chiara distinzione tra i regimi che concedono i diritti di proprietà intellettuale sulle nuove varietà vegetali e quelli che permettono l’accesso al mercato. La registrazione basata deve essere adattata e proporzionata ai bisogni e alle realtà della diversa gamma di attori, così come dei loro clienti. 

La legislazione deve garantire la trasparenza sui metodi di miglioramenti usati e sui diritti di proprietà intellettuale per tutte le varietà sul mercato.

– Le norme sulla sanità delle sementi e i meccanismi di controllo devono essere adattati ai rischi e alla scala di commercializzazione delle sementi, riconoscendo le diverse aspettative degli utenti e dei clienti riguardo ai criteri di qualità.

Le diversità colturali europee sono in pericolo

Le diversità colturali europee sono in pericolo

Per salvare la biodiversità occorre affrancarsi dal paradigma dell’agricoltura industriale. A Bruxelles si sta lavorando a una strategia ad hoc

di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 243 – Dicembre 2021

A fine novembre è stata presentata a Bruxelles la proposta per una Strategia per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità vegetale agricola, elaborata dal Programma cooperativo europeo sulle risorse genetiche vegetali (ecpgr.cgiar.org), una rete di centri di ricerca e banche del germoplasma. Si tratta di un tentativo ambizioso che vuole definire un vero e proprio piano di azione per far fronte a una situazione definita a rischio. Vediamo quali sono i problemi sollevati.

Molte banche europee del germoplasma (conservazione ex situ) non svolgono il loro compito a causa dell’insufficiente coordinamento a livello comunitario e della mancanza di risorse, capacità, infrastrutture e controlli di qualità a livello nazionale. Il cambiamento climatico e lo sfruttamento del territorio stanno minacciando seriamente la biodiversità naturale, tra cui i parentali selvatici delle specie agrarie (conservazione in situ).
Infine l’agrobiodiversità gestita nelle aziende agricole (conservazione on farm) è minacciata dai cambiamenti nell’uso dei terreni agricoli indotti dai sistemi di produzione industriali che sostituiscono le varietà tradizionali e locali con nuove varietà uniformi, così come dalla regolamentazione e dagli ostacoli alla commercializzazione e all’uso di varietà diversificate.

Insomma, la strategia ci racconta che, malgrado la buona volontà di molti attori del settore, le diversità colturali e naturali europee sono in pericolo, non solo come effetto collaterale della modernità ma anche a causa di politiche sbagliate, risorse insufficienti, legislazioni troppo vincolanti e mancanza di coordinamento istituzionale.
Senza un’azione correttiva immediata, la perdita di biodiversità aumenterà, con un impatto negativo sui sistemi agricoli del futuro, perché stiamo compromettendo la nostra capacità di fare miglioramento genetico delle piante agricole.

1950
In quegli anni un virus ha attaccato i campi di orzo negli Stati Uniti. Le piante erano particolarmente vulnerabili all’infezione a causa della loro uniformità.

Non a caso, il genetista Paul Gepts scriveva negli anni Novanta che il miglioramento genetico, così come realizzato negli ultimi 50 anni, taglia alla base l’albero su cui dovrebbe crescere: la diversità. Il motivo è semplice: la ricerca per il modello agricolo industriale usa la diversità per produrre nuove varietà che però sono uniformi, distinte e stabili e quindi nel lungo periodo espelle diversità dai sistemi agricoli. Il successo di questo modello e la sua esportazione su scala planetaria stanno distruggendo quei sistemi agricoli diversificati dove nel tempo si sono evolute le varietà locali, utilizzate come materia prima per il miglioramento genetico stesso. Dove andremo, quindi, a recuperare diversità quando tutta l’agricoltura sarà uniforme e industrializzata? Per visualizzare il problema basta fare un esempio. Negli anni Cinquanta quando l’agricoltura statunitense ha avuto una crisi dovuta a un virus che attaccava le piante di orzo (tutte uguali e uniformi nei campi e quindi molto vulnerabili), la ricerca ha trovato la resistenza a tale malattia nelle varietà locali coltivate in Etiopia. Quando anche questi agricoltori saranno convertiti all’uniformità e acquisteranno tutti gli anni sementi moderne prodotte dalle ditte sementiere, dove andremo a cercare quelle resistenze o quelle caratteristiche necessarie in futuro?

La risposta è evidente: bisogna uscire dal paradigma dominante dell’agricoltura industriale uniforme, diversificando i sistemi agricoli e rimettendo in gioco l’evoluzione della diversità in campo. Non solo per noi oggi, ma per i nostri figli domani.

credits ALTRECONOMIA

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Sistemi nazionali di gestione dell’agrobiodiversità

Sistemi nazionali di gestione dell’agrobiodiversità

In sintesi
Le organizzazioni della società civile attive sul fronte delle sementi e del materiale di propagazione contribuiscono all’utilizzo sostenibile della diversità genetica delle colture. Solitamente operano nel settore informale e sono spesso costrette a fronteggiare molte sfide e poca interazione con il sistema sementiero e alimentare formale.

DIVERSIFOOD ha analizzato cinque diversi sistemi nazionali di gestione dell’agrobiodiversità per identificare le tipologie di attori coinvolti e valutare i legami tra il settore sementiero formale e quello informale. L’obiettivo era determinare in che modo le costellazioni di attori, le loro interazioni e il contesto giuridico influiscano sulla prospettiva di preservare la diversità delle e l’agricoltura a livello nazionale. Le analisi dei cinque sistemi nazionali di gestione della agrobiodiversità sono state condotte dal punto di vista dei partner DIVERSIFOOD di rilevanza nazionale: Rete Semi Rurali (Italia), Arche Noah (Austria), Red Andaluza de Semillas (Spagna), ProSpecieRara (Svizzera) e Réseau Semences Paysannes (Francia).

Le cinque organizzazioni a confronto

Benché le cinque organizzazioni condividano la visione analoga di un sistema sementiero dinamico e attività centrali che vertono sulla tematica di interesse comunitario della conservazione e gestione della diversità genetica delle colture, esse differiscono in maniera significativa nelle strutture di governance, finanziamento e affiliazione. Mentre alcune dipendono al 99% da finanziamenti pubblici (nazionali o europei), altre percepiscono solo il 6% di finanziamenti pubblici. Queste ultime sono supportate perlopiù da quote associative private o da donazioni e sponsor che arrivano a coprire il 70% del loro reddito annuo, talvolta anche più.  In termini di affiliazione, alcune organizzazioni hanno membri collettivi (associazioni e organizzazioni) mentre altre hanno membri individuali. Le organizzazioni differiscono anche per dimensioni. Le più piccole si aggirano intorno ai 50 membri (solitamente collettivi) e hanno un piccolo staff (in media 6 persone), le più grandi contano più di 10.000 membri e fino a 39 impiegati. È stato rilevato inoltre uno schema geografico secondo cui le organizzazioni di seed saver supportate dai membri prevalgono in Nord Europa (sono composte perlopiù da giardinieri dilettanti e da seed saver privati) mentre le reti di organizzazioni agricole collegiali (che contano una piccola percentuale di “amateur” e giardinieri dilettanti) supportate da fondi pubblici sono più diffuse al Sud.

Comprendere il contesto giuridico

La maggior parte delle organizzazioni contribuisce ai dibattiti politici e giuridici nazionali e internazionali allo scopo di influenzare lo sviluppo del quadro normativo in una direzione più favorevole per la gestione delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. DIVERSIFOOD analizza l’impatto della legislazione sulla  diversità nel sistema sementiero. Le direttive della Commissione Europea sulle varietà da conservazione sono un quadro normativo assai rilevante in questo contesto. L’attuazione delle direttive varia da paese a paese.

In Italia la registrazione delle varietà da conservazione è vincolata alla definizione di una regione d’origine che non è sempre ben definita; in Germania, Francia e Svizzera molte varietà da conservazione sono registrate indicando una “regione d’origine” estesa all’intera nazione.                                                                             In Italia e Spagna la registrazione è gratuita, mentre in diversi paesi del Nord Europa è vincolata al pagamento di una quota una tantum o di una tassa annuale. Un’altra questione politica riguarda la possibilità dello scambio non commerciale di sementi di varietà non protette tra giardinieri e agricoltori; anche questa opzione è suscettibile di interpretazioni contrastanti negli stati membri: alcuni la consentono, altri pongono restrizioni in maniera spesso non troppo chiara. Le leggi nazionali restrittive sui prodotti fitosanitari, confezionate su misura delle esigenze del settore sementiero formale, su larga scala, possono rappresentare un altro ostacolo alla circolazione locale e all’uso sostenibile di risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura in diversi sistemi alimentari e sementieri. La complessità delle procedure amministrative da espletare per accedere alle risorse fitogenetiche spesso pregiudicano la disponibilità di tali risorse per l’agricoltura e la selettocultura. Ultimo ma non per questo meno importante, una normativa più rigida sui diritti di proprietà intellettuale (tutela della varietà vegetale e sistemi di brevetti) potrebbe impedire la circolazione della diversità e dell’innovazione basata sulle risorse fitogenetiche locali influenzando negativamente la diversità e sostenibilità del sistema sementiero.

Interazioni tra stakeholder – verso piattaforme per la gestione delle PGRFA

Tutte le organizzazioni auspicano che i sistemi sementieri nazionali tengano in maggior conto il ruolo degli attori sociali coinvolti nella conservazione, nel mantenimento e nel rinnovo della agrobiodiversità. Anche se tutti gli stati membri della UE hanno siglato il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (impegnandosi a promuovere i Diritti degli agricoltori in relazione alle risorse fitogenetiche enunciati nell’Art. 9) e hanno applicato le direttive come quelle sulle varietà da conservazione, in nessun paese esiste uno spazio formale o piattaforma in cui gli stakeholder formali e informali, istituzionali o civili possano discutere e negoziare le tematiche di interesse comune. Laddove vi siano piattaforme di comunicazione sul tema delle risorse fitogenetiche, gli attori che operano nel settore sementiero e alimentare su larga scala spesso prevalgono, e i pareri formulati da organizzazioni della società civile non sono tenuti in grande considerazione.

Possibili soluzioni

Attraverso studi, workshop e attività di ricerca, DIVERSIFOOD mette a fuoco i sistemi nazionali PGRFA, le loro esigenze, l’impatto del contesto giuridico sul loro sviluppo e le criticità da affrontare per rilanciare il loro contributo all’impiego sostenibile delle risorse fitogenetiche. Nel 2018, DIVERSIFOOD discuterà le raccomandazioni programmatiche elaborate nell’ambito del progetto in collaborazione con stakeholder esterni in una serie di workshop europei e nazionali e nel convegno finale di Rennes (Francia) nel dicembre 2018.

Letture consigliate

Commissione europea: Preparatory action on EU plant and animal genetic resources. Final Report.

Unione Europea 2016. ISBN: 978-92-79-54841-3.

TRANsformative Social Innovation Theory (TRANSIT) 2014-2017. Balázs, B., Aistara, G. et al. (2015). Report:

Transnational Seed Exchange Networks.