Pratiche agronomiche a supporto della diversificazione colturale

Pratiche agronomiche a supporto della diversificazione colturale

La consociazione di lenticchia e frumento duro

di Federico Leoni, Gilbert Koskey, Stefano Carlesi, e Anna-Camilla Moonen – SSSUP

La crescente domanda per sistemi agricoli più sostenibili impone lo studio di strategie alternative per la gestione degli agro-ecosistemi, basate sulla diversificazione colturale, la tutela della biodiversità e l’utilizzo ottimizzato di input produttivi esterni.  

In questo contesto, la consociazione (intercropping) tra la lenticchia ed il frumento duro offre la possibilità di inserire, all’interno della rotazione colturale, una leguminosa di grande interesse economico ma di difficile gestione agronomica. La suscettibilità della lenticchia all’allettamento ed alla competizione da parte delle infestanti determina livelli produttivi estremamente variabili per questa coltura. Inoltre, nell’ultimo decennio le variazioni di resa sono state ulteriormente esacerbate da un evidente cambiamento climatico globale, caratterizzato da prolungate siccità durante il periodo invernale e da eventi atmosferici estremi. Tale variabilità mette in discussione la sostenibilità agronomica ed economica della lenticchia in monocoltura quindi, in alcuni contesti, la consociazione con il frumento può rappresentare l’unica soluzione per poterla coltivare.

La lenticchia durante le ultime fasi del suo ciclo di sviluppo risulta molto suscettibile all’allettamento e questo spesso compromette l’efficienza della sua raccolta meccanizzata. Al contrario, quando coltivata in consociazione con il frumento, la lenticchia utilizza i culmi del cereale come sostegno meccanico su cui “arrampicarsi”, limitando così la problematica. La lenticchia è inoltre una coltura notoriamente suscettibile alla competizione della flora lenta e del ridotto accumulo di biomassa. In un sistema di consociazione, la complementarità delle caratteristiche morfologiche della lenticchia e del frumento duro permette di ottimizzare gli spazi e di ridurre significativamente la presenza delle infestanti, senza rilevanti effetti negativi sulla produzione delle due colture.

Presso il Centro di Ricerche Agro-Ambientali “E. Avanzi”, i ricercatori del gruppo di Agroecologia della Scuola Superiore Sant’Anna stanno portando avanti delle sperimentazioni finalizzate allo studio ed all’ottimizzazione di questa promettente pratica agronomica. Durante i tre anni di sperimentazione condotte in un sistema cerealicolo a basso input, la produzione potenziale della lenticchia in monocoltura è stata in media di 0,87 t/ha mentre il sistema di consociazione ha avuto una produzione totale di 3.91 t/ha (lenticchia 1,17 t/ha + frumento 2,74 t/ha).

La scelta della cultivar di frumento è di fondamentale importanza per questo sistema. Varietà resistenti all’allettamento con altezza massima di 1,10 -1,20 m sono particolarmente adatte. Inoltre, l’utilizzo di una dose di semina ridotta per il frumento (60-70 kg/ ha) accoppiata ad una dose piena di lenticchia (da 70 a 120 kg/ha a seconda che si utilizzi una varietà micro o macrosperma) è risultata la soluzione migliore per massimizzare i benefici della consociazione. Per ulteriori dettagli si rimanda all’articolo pubblicato sulla rivista Agronomy dal titolo “Exploiting Plant Functional Diversity in Durum Wheat–Lentil Relay Intercropping to Stabilize Crop Yields under Contrasting Climatic Conditions” (mdpi. com/2073-4395/12/1/210/htm ).

La raccolta della lenticchia e del frumento in consociazione viene effettuata con un solo passaggio, a fine luglio, utilizzando una mietitrebbia da grano. Tramite uno studio specifico sulla granulometria del frumento e della lenticchia, i ricercatori della scuola Superiore Sant’Anna stanno modificando una vecchia macchina svecciatrice, implementando dei vagli speciali appositi per la separazione di queste due granelle. Prove preliminari effettuate con un vaglio da laboratorio ci rendono molto fiduciosi del fatto che a breve saremo in grado di mettere in funzione il macchinario per la separazione del frumento dalla lenticchia.

La Pasta

La Pasta

Pasta secca artigianale, storia, tipologia metodologia di produzione La pasta alimentare è prodotta con farina, acqua. La pasta viene fatta solo con semola. La produzione della pasta secca comprende la miscelazione degli ingredienti, l’idratazione, la gramolatura, la trafilatura, l’essiccamento ed il confezionamento. La trasformazione a bassa temperatura costituisce la premessa per la qualità del prodotto.

CENNI STORICI SULLA PASTA

Progetto CERERE

La pasta, ovvero l’impasto di farina di cereali e acqua per scopi alimentari era già in uso ai tempi della Magna Grecia (Sud Italia), conosciuta con il termine greco làganon. È solo nell’alto medioevo che si afferma la produzione, la cottura e l’uso della pasta, così come la conosciamo oggi. È il frutto di una serie di innovazioni e scambi sviluppatesi nel Mediterraneo Orientale, attraverso la cultura araba ed ebraica, che per primi importano in Sicilia un nuovo tipo di cibo chiamato Itria: una pasta di formato lungo e stretto (progenitore dei moderni spaghetti), conformazione che ne facilitava essiccazione a temperatura ambiente. Il processo di essiccazione costituisce il più economico e semplice strumento di conservazione degli alimenti, che rende possibile il trasporto e lo stoccaggio per molto tempo. il primo documento che storicamente cita la pasta secca in Italia è del 1152, ed è prodotto da un geografo arabo. Questo indicava nei pressi di Palermo un villaggio che “fabbrica tanta pasta e se ne esporta in tutte le parti nella Calabria in altri paesi musulmani e cristiani e se ne spediscono moltissimi carichi di navi”. La seconda innovazione, che sancisce il successo di questo cibo, fu l’introduzione un nuovo metodo di preparazione: la cottura in acqua bollente; più economica e rapida delle cotture prolungate in grassi o in forno. Nel Seicento si afferma come piatto popolare, grazie all’aumento della produzione di frumento e all’introduzione dell’uso del torchio, che permette la fabbricazione meccanica della pasta (fino a quel momento prodotta esclusivamente a mano) in quantità maggiore e a prezzi più bassi. In particolare, a Na-poli (al tempo tra le città più popolose di Europa), la pasta diventa un alimento comune, facilmente conservabile, ma soprattutto in grado di saziare in maniera bilanciata quella crescente popolazione che si stava inurbando, abbandonando i lavori agricoli. Per tutto il periodo rinascimentale e fino al 1700 la pasta costituiva un elemento di accompagnamento a carne e ortaggi, il che ha aiutato la sua diffusione in tutte le regioni che costituiscono l’attuale Italia, diversificandosi in diversi formati (usi e preparazioni molti dei quali si trovano ancora adesso). La pasta dal medioevo al 1800 veniva condita con burro e formaggio, solo successivamente le preparazioni si sono fatte più elaborate. La necessità di meglio consumare un cibo che, una volta cotto, risultava molle e viscido per l’uso dei grassi, ha permesso anche l’ampia diffusione di un’altra innovazione nel campo alimentare: la forchetta. Le migrazioni italiane dei primi decenni del 1900, che coinvolgevano prevalentemente dei popoli del sud Italia, grandi consumatori di questo alimento, ha permesso di affermare la pasta quale piatto popolare e mondializzato. L’ing. Cirillo a Napoli 1919, ideò un metodo di essicazione artificiale che riduceva i tempi di essiccazione rendendolo indipendente dalle condizioni climatiche e che determinò il passaggio definitivo alla produzione industriale.

SELEZIONE DELLE MATERIE PRIME

La pasta in Italia viene fatta solo da farine provenienti dal-la lavorazione del grano duro (Triticum durum), questo oltre ad essere una prescrizione di legge (norma) costituisce una premessa per la qualità del prodotto. La struttura vitrea e non polverosa della cariosside permette di ottenere uno sfarinato (la semola), più grossolana e spigolosa della farina di grano tenero e dal caratteristico colore giallo ambrato. La selezione delle materie prime di un pastificio artigiana-le parte dalla semina del frumento, mediante la selezione di varietà che nel tempo hanno dimostrato maggiore propensione alla trasformazione e pastificazione. Normalmente un pastificio artigianale lavora farine provenienti da varietà moderne, da varietà locali e negli ultimi anni anche con grani duri di popolazioni eterogenee, queste poi sono utilizzate sia in purezza, sia in miscela con lo scopo di adattare la materia prima ai differenti usi, formati e mercati. Per questa estrema variabilità delle materie prime, nelle aziende artigianali è difficile ottenere una standardizza-zione del prodotto finito che varia per gusto, colore e tempi di cottura. Dopo la raccolta, la granella viene stoccata in magazzini puliti e sanificati precedentemente. Alla raccolta viene va-lutato sia lo stato sanitario che l’umidità della cariosside di frumento, che per il corretto stoccaggio deve essere inferiore 13% di umidità. Prima di stoccarla in magazzino, la granella viene ripulita da pietre grani spezzati, semi non ancora maturi di altre specie e polvere e quindi viene stoccata all’interno dei silos. Pulizia e bassa percentuale di umidità della granella costituiscono la condizione preliminare per assicurare la qualità è la sanità della farina e quindi della pasta. Tutte le granelle utilizzati in pastificazione devono essere conformi alla legislazione in materia igienico-sanitaria e tecnologica. Per la pasta prodotta in Italia la legge prevede un minimo di proteine di almeno il 10,50%, ma le aziende italiane producono pasta con un livello proteico medio del 12-13%

VALORE NUTRIZIONALI DELLE MATERIE PRIME
Decine di studi hanno dimostrato come farine provenienti da grani di varietà locali presentino un contenuto di composti antiossidanti (flavonoidi), probiotici (inulina) e sali minerali, in quantità rilevanti rispetto a quelli presenti nelle varietà moderne. La pasta prodotta da queste farine ha dimostrato di avere spiccate capacità antinfiammatorie, in grado di giocare un ruolo protettivo per l’organismo diminuendo il contenuto di colesterolo, riducendo l’indice glicemico e altri parametri infiammatori promotori di gravi e più importanti malattie. Infine, il glutine di queste varietà ha una composizione sensibilmente diversa rispetto alle moderne, tale caratteristica riduce la sensibilizza-zione dell’organismo e l’insorgenza di problemi legate alla gluten sensitivity. Queste caratteristiche positive sono riscontrabili nella pasta a condizione che il processo di trasformazione tuteli questi elementi nutrizionali naturalmente presenti.

MACINAZIONE

Lo sfarinato proveniente dal grano duro viene denominato semola. La semola può essere classificata in base alla sua granulometria ed al contenuto in ceneri e proteine in: se-mola, semolato, semola integrale di grano duro e farina di grano duro, secondo lo schema:

tipo farinaumidita max %ceneri min %ceneri max %proteine min %
semola14,50 0,910,5
semolato14,500,91,3511,5
semola integrale di grano duro14,501,41,811,5
farina di grano duro14,501,361,3611,5

La macinazione a pietra permette al germe contenuto nel-la cariosside di non separarsi completamente migliorando le qualità organolettiche. dopo la macinatura lo sfarinato ottenuto viene trasferito nel buratto dove la semola viene separata dalla crusca. A titolo di esempio in un mulino di piccole dimensioni da 100 kg di grano si ottengono circa 20-22 kg di crusca e cruschello, 8 – 10 kg di farina sottile, 62-65 kg di semola adatta per la pastificazione. La quantità di semola ottenuta varia in base: alla qualità del grano, maggiore è la resa maggiore è il tenore proteico, maggiore è la resa e maggiore sarà la capacità di idratazione delle farine, idratazione che condizione fortemente le fasi successive. I produttori di paste artigianali che utilizzano farine ottenute da macina a pietra e da varietà locali si basano anche su metodi empirici per la valutazione della qualità.

GESTIONE E CONFEZIONAMENTO DELLE FARINE

Al fine di utilizzare al meglio le semole ottenute da questa macinatura le farine vengono stoccate in sacchetti di carta (che assicurano la permeabilità all’aria) in confezioni di 25 kg. I sacchi vengono conservati in locali freschi, per ridurre il rischio di proliferazioni di insetti e lo sviluppo di funghi e minimizzando l’azione delle perossidasi sui grassi liberati nella fase di molitura, condizione che conferisce odori e sa-pori sgradevoli alla pasta.

TRASFORMAZIONE TIPI E FORMATI DI PASTA

La pasta alimentare è un alimento a base di farina a diversi gradi di raffinazione, destinata alla cottura in acqua bollente e sale. Il primo criterio di classificazione delle paste alimentari si basa sul loro contenuto di umidità: le paste secche (umidità massima del 12,50%) e le paste fresche (umidità massima del 30%), che per il loro contenuto di umidità sono poco conservabili. Il secondo criterio si riferisce al processo tecnologico di produzione. Si distinguono le paste trafilate (l’impasto vie-ne spinto contro uno stampo forato “trafila”) producendo paste corte, lunghe o forate, e le paste laminate (l’impasto viene schiacciato tra cilindri allungando delle sfoglie) che produce formati lunghi, spianati e sottili; ad es. lasagne, tagliatelle e pappardelle. Il terzo criterio tiene conto degli ingredienti utilizzati: La pasta secca è preparata esclusivamente con semola e acqua, Per quelle fresche è consentito l’utilizzo di farina di grano tenero, mentre nella produzione di paste speciali viene utilizzata semola, acqua e uova

IDRATAZIONE D’IMPASTO (TIPI DI MACCHINE) E LA GRAMOLATURA

La produzione della pasta secca comprende diverse fasi: la miscelazione degli ingredienti e idratazione, la gramolatura, la trafilatura, l’essiccamento ed infine il confezionamento. Nella prima fase si miscela semola e acqua (preferibilmente non molto calcarea e con una temperatura compresa da 28 a 38 c°). Lo sfarinato viene inserito in una vasca impastatrice a pale e l’acqua viene aggiunta gradualmente. Una corretta idratazione della semola rende l’impasto omogeneo ed è fondamentale per ottenere buona pasta. L’acqua presente nell’impasto innesca una complessa serie di reazioni chimiche che determinano la formazione di un reticolato proteico che poi risulterà fondamentale per la tenuta della consistenza della pasta in cottura. Nei processi artigianali la «ricetta base» prevede le proporzioni di 30 Kg di acqua per 100 Kg di semola lavorata. Questo valore è dipendente dalla qualità della farina utilizzata. L’eccesso di acqua nell’impasto porta ad una massa troppo plastica e fluida che non è lavorabile. La quantità di acqua dipende anche dal tipo di pasta che si vuole produrre ogni formato ha una ricetta che cambia a seconda della forma e della cartella (spessore della pasta). Il processo di idratazione formazione del glutine e successivo orientamento dura circa 15-20 minuti Allungare ulteriormente i tempi di impastamento significa aumentare l’ossidazione dei componenti della massa e ridurre la forza della maglia glutinica che nel frattempo si sta costituendo. Nella produzione artigianale è importante ridurre lo «stress» dell’impasto e ridurre le temperature di lavorazione.

TRAFILATURA

L’impasto viene a questo punto modellato nella trafila. La trafilatura è il processo mediante il quale l’impasto viene fatto passare attraverso una sagoma chiamata “matrice”. Le matrici si differenziano per il diametro dei fori che sono di forma e dimensioni diverse in funzione del formato di pasta desiderato. Una volta modellato dai fori della sago-ma, una serie di coltelli rotanti, posti all’uscita della trafila tagliano il prodotto. Regolando la velocità di rotazione dei coltelli decidiamo la lunghezza del formato. Il materiale con cui le trafile sono realizzate influiscono sulla porosità e la struttura della superficie esterna della pasta.

PRE-INCARTO: ESSICCAZIONE, STABILIZZAZIONE E ASSESTAMENTI (MATURAZIONE)

Alla pasta appena formata viene data una prima asciuga-tura tramite delle ventole allo scopo di fissare la forma ed eliminare la collosità superficiale che potrebbe farla attaccare durante la fase successiva. La pasta a questo punto ha già la sua forma ed è pronta per l’essiccazione. Viene depositata su dei telai forati che agevolano la circolazione dell’aria. Importante è l’omogeneità della disposizione del prodotto sui telai. Infatti, ogni telaio è caricato dalla medesima quantità di pasta lavorata. I telai vengono impilati in carrelli e quindi trasferiti in celle statiche dedicati alla essiccazione. L’essiccazione avviene sottraendo umidità alla pasta, in questa fase la pasta adagiata sui telai viene ventilata e riscaldata con cicli alternati consentendo all’acqua di lasciare la pasta in modo uniforme immettendo aria fresca ed asciutta ed estraendo tra-mite aspiratori aria calda e umida in modo che l’umidità contenuta al cento del formato migra correttamente ver-so l’esterno. E’ possibile impostare le ricette ovvero temperatura e durata della ventilazione che cambiano anche tenendo conto dell’ambiente esterno (i parametri per l’essiccazione dello stesso formato cambiano d’estate rispetto all’inverno ma anche tra una giornata di sole ed una piovosa).Gli essiccatoi statici vengono programmati secondo il parametro della temperatura, tempo e velocità di circo-lazione dell’aria; se questa fase molto delicata non viene eseguita in modo corretto il risultato sarà quello di avere una pasta fragile che una volta cotta rischia di frantumarsi è importante assicurare la costanza di circolazione dell’a-ria e la progressiva perdita di umidità all’interno dell’impasto. La fase di essicazione dura variabilmente in funzione dei formati di pasta da 20 a 36 ore. Allo scopo di assicura-re l’integrità nutrizionale del prodotto, durante i processi di gramolatura, trafilatura ed essiccazione i pastai cercano di lavorare con temperature che non superano 45°. Il processo di essiccazione viene arrestato quando l’umidità all’interno della pasta lavorata e al di sotto del 12,5%, che è anche la soglia di legge per la commercializzazione della pasta secca. In seguito alla fase di essiccazione, la pasta su-bisce un ulteriore processo di assestamento che dura fino a 36 ore. In questa fase il prodotto finito viene riportato a temperatura ambiente.

METODI DI ESSICAZIONE DELLA PASTA

Il processo di industrializzazione della produzione della pasta realizzato a partire dagli anni ‘30 del xx secolo ha richiesto se-mole caratterizzate da elevata tenacità e plasticità. Caratteristiche utili alla lavorazione meccanica. Queste caratteristiche si sono ottenute anche grazie alla selezione di varietà caratterizzate da elevata «forza «e tenore di glutine. Ciò ha permesso la radicale compressione dei tempi dei processi di produzione della pasta convenzionale. Se, in condizioni ottimali e fino all’inizio del 1900, la fase di essiccazione degli spaghetti richiedeva da 8 a 10 giorni, oggi con le tecnologie che riescono a controllare meglio temperatura e areazione, si arrivati a ridurre questo lasso di tempo fino a 2-3 ore nella condizione di massima temperatura di essiccazione, (circa 100°) riducendo però i costi di produzione globali. In funzione delle elevate temperature raggiunte in essiccazione, la pasta subisce delle profonde modificazioni della sua struttura che porta anche al minore rilascio di amido in cottura e quindi una maggiore resistenza alla cottura prolungata. Questo pro-cesso vantaggioso sul piano industriale ha però determinato una notevole perdita delle qualità nutrizionali, che è da ricondursi al ben conosciuto fenomeno di interazione delle proteine solforate con gli zuccheri ad alte temperature L’incremento della temperatura durante l’essiccazione provoca un danno alle proteine che possono essere modificate funzionalmente (reazioni di Maillard) e diventare meno biodisponibili. Il problema riguarda gli aminoacidi essenziali, in particolare la lisina. Il danno termico nei confronti delle proteine causato dal-le elevate temperature può essere misurato attraverso la quantità di furosina. In linea generale una temperatura di essiccazione inferiore ai 60°C sia in fase di trafilatura, sia soprattutto in fase di essicca-tura, limita il danno termico, perché non altera la struttura del glutine e mantiene intatte le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto.

TRAFILE

TRAFILE
TRAFILA IN TEFLON
Nella trafila in teflon la “matrice” è composta da teflon. La scelta di questa trafila è generalmente riservata a pastifici industriali in quanto il passaggio dell’impasto attraverso la matrice in teflon esercita meno attrito e permettendo un incremento della produzione il risultato sarà una pasta con una superficie molto compatta e lucida.

TRAFILA IN BRONZO
La “matrice” di questo tipo di trafila è in bronzo, esercitando più attrito tende a surriscaldare e per evitare ciò bisogna ridurre la velocita di estrusione contribuendo a lasciare la superficie della pasta più porosa, favorendo la capacità di trattenere il condimento anche dopo la cottura. La pasta trafilata al bronzo si pre-senta con una superficie porosa e dall’aspetto opaco

PER APPROFONDIRE

La pasta. Storia e cultura di un cibo universale – Silvano Serventi, Françoise Sabban

Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola – Massimo Montanari

Si ringrazia il Pastificio Testa per la preziosa consulenza tecnica

Foto di Giuseppe De Santis

Raffaele Cappelli

Raffaele Cappelli

Nel 1906 Nazareno Strampelli ebbe modo di poter svolgere le sperimentazioni in campo sui danni della siccità nel frumento meridionale su un fondo agricolo vicino a Foggia di proprietà di Raffaele e Antonio Cappelli, dediti all’agricoltura e alla gestione dei possedimenti familiari in Puglia. Proprio per dare
testimonianza della generosità dei fratelli Cappelli nel sostegno alla sua attività, Strampelli dedicò loro una varietà di grano duro autunnale ottenuta dalla varietà tunisina “Jeanh Rhetifah” che già dal 1915 si chiamava “Cappelli” ma che assunse il nome completo “Senatore Cappelli” al momento del rilascio, nel
1923, a due anni dalla morte di Raffaele Cappelli, da poco nominato Senatore.

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