di Rosario Floriddia – Azienda Agricola Biologica Floriddia
Monte Frumentario, Terra di Resilienza, Cumparete, Mulino di Comunità, Forno di Vincenzo… è da questo gruppo, effervescente e fantasista, che per la prima volta ho sentito la parola resilienza applicata ad un contesto economico sociale, mi piacque proprio.
Pian piano però mi è diventata stucchevole, ora è tutto resiliente: uno yacht da 100 metri che ha due pannelli solari, i rifiuti che diventano “opportunità energetica pulita”. Nonostante tutto il progetto Cereali Resilienti ha mantenuto nei fatti il significato della parola e credo che, a partire dai ricercatori fino a noi agricoltori, ne dobbiamo essere fieri. Anche i funzionari della Regione Toscana ci hanno dato più volte soddisfazione per quello che abbiamo fatto e stiamo facendo. A partire dalle “mini ditte sementiere” che hanno l’opportunità di nascere per produrre seme da grani locali o popolazioni, fino al materiale eterogeneo che rappresenta una delle maggiori novità del nuovo regolamento europeo per il biologico, insomma, il fare RETE: tecnici che “mescolano”, agricoltori che provano e producono, ricercatori che testano e consigliano come trasformare la materia prima affinché abbia il massimo della salubrità, artigiani che preparano meraviglie da mangiare.
Non vi nascondo però che sono un po’ preoccupato per come sta andando questo mondo e ci sono dei momenti che vorrei abbandonare la scena e lasciare che entri sul palco il peggiore degli psicopatici che al posto del cervello ha la CRESCITA illimitata. Ma poi penso che, come un discreto numero di altri agricoltori, ho della terra e dei semi che posso riseminare, curandoli con garbo, all’infinito.
E ho un bel gruppo di persone che ogni tanto vengono a trovarmi per esortarmi a migliorare, che vuol dire più valore nutritivo in cosa coltivi e trasformi, più rispetto per il suolo e per cosa lo anima. Spesso ho anche l’onore di incontrare Pozzi che mi rammenta sempre di fare COMUNITÀ! Le prime volte non la prendevo sul serio questa parola, ma negli ultimi tempi mi sono affezionato… eppure anche questa ora me la ritrovo dappertutto.
Vi racconto una cosa deliziosa, me l’ha raccontata il mio amico Pietro Castellani. Pare che nella preistoria gli umani avessero la meglio sui mammut semplicemente urlando e agitando dei bastoni con fiamme all’estremità. Una decina di persone, con urli e fiammelle, facevano indietreggiare il mammut fino a farlo precipitare nel burrone retrostante. Quello si faceva un bel volo e moriva, il resto era una grande abbuffata. “Al mammut, con la sua stazza e potenza, gli bastava stare fermo e quegli ometti dovevano solo andarsene”. Sono paura e ignoranza che hanno fregato il mammut così grande e forte a cospetto degli urlatori. Il mammut siamo noi, più di sette miliardi di persone. Se decidessimo di coltivare semi resilienti, non avremmo bisogno della chimica che sconquassa equilibri delicati; se decidessimo di rafforzare il numero di comunità che fanno rete e scegliessimo noi cosa comprare e da chi, le parole resilienza e comunità riprenderebbero il loro significato.
Gli articoli di questo notiziario sono una meraviglia. La meraviglia di solito la regalano le favole invece, quello che andrete a leggere, sono fatti e storie vere, realmente accadute!
Analisi socio-economica sulla gestione e diffusione della semente di popolazione evolutiva in Toscana
di Adanella Rossi, Eleonora Rovini – Università di Pisa
Cereali resilienti ha indagato gli aspetti socio-economici della gestione locale della semente di popolazione e le forme di tutela e comunicazione del suo valore nei relativi sistemi di produzione-consumo.
l modo più efficace per accrescere l’agrobiodiversità è inserirla in sistemi colturali reali, a loro volta parte di sistemi di produzione e consumo consapevoli dei valori di questa biodiversità. È così che si possono creare le condizioni per una sua gestione in forme efficaci e sostenibili. Il progetto Cereali resilienti, tra le sue varie attività, si è proposto di valutare gli aspetti socio-economici legati alla diffusione delle popolazioni evolutive in Toscana – in particolare della popolazione di grano tenero denominata legalmente “SOLIBAM tenero Floriddia”.
Il progetto Cereali Resilienti è iniziato nel 2016 e terminerà ad aprile 2022.
Si è svolto in 2 fasi, una di indagine conoscitiva e di costituzione del Gruppo Operativo e una triennale volta ad adattare e diffondere la popolazione di frumento SOLIBAM FLORIDDIA in 4 MAC della Toscana.
Tutte le attività sono state finanziate dalla Regione Toscana tramite le misure 16.2, 1.2 e 1.3 del PSR.
Il progetto prevedeva di indagare alcuni ambiti fondamentali: aspetti organizzativi della gestione della semente tra le aziende, aspetti sociali ed economici legati alla sua produzione e al suo inserimento all’interno della filiera produttiva, forme di tutela e comunicazione del valore di queste sementi e colture. Il tutto con riferimento alle 4 Macro-Aree Climatiche (MAC) che sono riportate nella mappa a pagina 9. Il primo ambito richiedeva di focalizzarsi sugli agricoltori, sul loro atteggiamento verso le popolazioni ma anche sulla loro capacità di sviluppare un approccio collettivo attraverso sistemi locali di relazioni e di collaborazione, individuando anche strumenti utili allo scopo. Guardando agli agricoltori coinvolti, si evidenzia come negli anni ci sia stato un incremento del loro numero. Attualmente gli agricoltori che hanno acquistato e successivamente riprodotto la popolazione nelle loro aziende sono circa una trentina, suddivisi nelle 4 MAC. In tre aree, le aziende sono già in relazione tra loro, specie dove ci sono aziende di riferimento importanti per le attività produttive svolte, come l’az. Floriddia e l’az. Passerini. Nell’area MAC Montagna – Mugello e Amiata – il tessuto di relazioni invece non è molto sviluppato.
Il processo di creazione dei sistemi locali è dunque ancora nelle fasi iniziali, individuabili alcuni network locali consolidati tra chi riproduce il seme e chi lo acquista. Questo è legato anche al fatto che, al momento, l’unica azienda ad aver ottenuto l’autorizzazione per la riproduzione e commercializzazione delle popolazioni (Decisione di esecuzione 2014/150/UE) è l’Az. Floriddia, che ha anche messo in piedi una rete di impresa con alcune aziende della sua area, i “Semi Contadini”. Questa relazione contrattuale conferisce robustezza alla gestione collettiva della produzione di semente, garantendo condivisione di conoscenze e buone pratiche, tracciabilità, nonché adeguato valore economico alle piccole produzioni. Una strada dunque su cui lavorare.
– 33 aziende coinvolte – 250 ettari di superficie
– 500 quintali di semente prodotta – 2.000 quintali di granella prodotta
L’autogestione della semente implica per le aziende sia l’acquisizione di specifiche competenze e abilità per le operazioni necessarie per la produzione e il mantenimento della semente stessa, ma anche costi maggiori. Costi che tuttavia possono ripagarsi nel tempo perché permettono di svincolarsi dal sistema sementiero convenzionale, adattare il seme ai propri specifici contesti produttivi e soprattutto dare al prodotto finale un valore aggiunto. Un bel pezzo di sovranità alimentare.
La finalità ultima è quella di strutturare nei territori delle vere forme di co-gestione, in grado di diffondere i valori ambientali, economici e sociali che la popolazione evolutiva porta con sé.
In questo approccio all’agrobiodiversità diviene importante che nessuno si appropri della proprietà intellettuale di questa semente o che ne limiti la diffusione con altri strumenti di protezione. A questo scopo all’interno del progetto è stata creata un’etichetta open source, accessibile a tutti, che comunica i significati sociali e i criteri su cui si fonda l’utilizzo di questi semi. In questo modo chi sceglie di adottare la popolazione si impegna a rispettarne i principi, includendo la dichiarazione in ogni trasferimento delle sementi o dei suoi derivati. Il tutto in coerenza e a supporto di una gestione comunitaria dell’agrobiodiversità che coinvolga tutti i processi produttivi, fino ad arrivare alle pratiche di consumo.
Sempre in quest’ottica, nei tre anni di progetto, sono stati organizzati eventi di animazione territoriale, ospitati nelle aziende coinvolte nella coltivazione ed aperti a tutti gli attori, dalla produzione al consumo. In queste occasioni è stato stimolato un confronto diretto sulle possibili criticità di queste filiere ma anche sulle opportunità che la popolazione evolutiva può rappresentare nei rispettivi territori.
Macro AreeClimatiche(MAC) Il progetto Cereali Resilienti ha definito le Macro Aree Climatiche usando la metodologia degli “analoghi climatici” con cui è possibile confrontare il clima di un determinato punto geografico con le zone circostanti.
Abbiamo quindi identificato 4 MAC: aree geografiche con una similarità climatica maggiore del 75% rispetto a un’azienda di riferimento (azienda-madre). La similarità è stata calcolata utilizzando i dati climatici della serie storica 1970-2000 disponibili su www.worldclim.org ed elaborati con il software Climate Analogues.
Queste 4 MAC sono state sovrapposte a 4 tipologie orografiche: collina, pianura, costa e montagna. Le aziende che si sono aggiunte successivamente al progetto sono state incluse nella loro MAC di riferimento e individuate come aziende-figlie.
In alcuni casi sono già state sperimentate la trasformazione e la commercializzazione di questi prodotti, valorizzati all’interno di canali di produzione e distribuzione locali. Oltre ad alcune difficoltà pratiche che tutti gli operatori riconoscono, è significativo come l’aspetto più critico, ma anche determinante per la realizzazione di questi sistemi, risulti la creazione di una comunicazione coerente ed efficace, che consenta di entrare in relazione diretta con gli utilizzatori intermedi e i consumatori finali dei prodotti, rafforzando la consapevolezza di tutti gli attori coinvolti e quindi il loro sentirsi parte integrante del processo.
La finalità ultima è quella di strutturare nei territori delle vere forme di co-gestione, che siano in grado di conservare e diffondere i valori ambientali, economici e sociali che la popolazione evolutiva porta con sé.
Se davvero vogliamo cambiare qualcosa, dobbiamo capire bene che significato vogliamo dare al termine resiliente, soprattutto se utilizzato nei confronti di una filiera di produzione più che millenaria.
Maggio 2017, Scansano, Grosseto. Avevo un’ora a disposizione per raccontare perché, con Rete Semi Rurali, stavamo lavorando alla reintroduzione di varietà locali di grano sulla base di motivazioni agronomiche, economiche e nutrizionali. Com’è mio uso, ho fatto una breve introduzione per animare un dibattito che mi permettesse di completare l’informazione senza appesantire i presenti. Interviene un anziano in prima fila che chiede “Quanto rendono questi grani?” Cerco conferma negli occhi di chi fra i presenti da qualche tempo aveva adottato qualche varietà locale iniziando a commercializzarne farine e pasta e rispondo che in quelle zone, con notevoli oscillazioni annuali, si può ritenere buona una media di 15 quintali a ettaro. “Ooohh” mi risponde l’anziano “a Pomonte due anni fa ha reso 80 quintali!” Avevo pronta una cartucciera intera da sparare ma è bastata la domanda “A quanto li hanno venduti tutti quei quintali?” Senza alcuna esitazione l’anziano mi risponde che nessuno li aveva ritirati perché non avevano abbastanza proteine. Tanta era stata la felicità per lo straordinario risultato raggiunto che il lavoro e l’energia, i prodotti acquistati e le relative spese per arrivare ad un risultato di quel tipo, pur se andati del tutto sprecati, passavano in secondo piano.
Ho sempre più l’impressione che la nostra sia una missione culturale e sociale prima che di innovazione genetica o agronomica. Se vogliamo cambiare qualcosa, dobbiamo capire bene che significato vogliamo dare al termine resiliente, soprattutto se utilizzato per una filiera di produzione più che millenaria. Ci interessa qui sottolinearne il senso, ormai abusato e strapazzato in qualsiasi scritto o dibattito.
Solo qualche anno fa, nel 2015, quando abbiamo deciso il titolo di quello che è diventato un progetto di grande ispirazione, la parola resiliente era poco usata. A noi, in quel momento, sembrava rappresentare bene l’attitudine delle popolazioni evolutive di frumento ad adattarsi nel tempo alle condizioni ambientali in cui venivano coltivate. Condizioni ormai del tutto instabili e poco prevedibili. Unica certezza: l’aumento delle temperature medie e la diminuzione delle precipitazioni.
Incontro territoriale della MAC Collina presso az. agr. Floriddia, Maggio
Ma quale sia il percorso e in quali termini se ne manifestino gli effetti stagionali, è un mistero per tutti. Avere a disposizione una popolazione, in grado di non soccombere agli eventi imprevedibili e addirittura di stabilizzarsi su una media produttiva, quella sì finalmente prevedibile, ci sembrava un risultato straordinario. Lo scommettere che quel fenomeno, che stavamo osservando a latitudini e climi molto diversi tra loro, come Toscana e Sicilia, potesse verificarsi anche in contesti infra-regionali, ci ha appassionati ed intrigati. Nel frattempo, la Commissione europea sviluppava una linea progettuale per i PSR locali che sembrava adattarsi al nostro mandato di animazione del territorio: i PEI o Gruppi Operativi, quasi pensati e cuciti a nostra immagine e somiglianza. Poter mettere in pratica il proprio immaginario attraverso esperienze concrete è quanto di meglio ci si possa aspettare. Il dibattito applicativo ci ha portati ben presto a comprendere che la gestione di quelle sementi non era affatto scontata e poteva avvenire solamente in un sistema diverso da quello esistente.
La resilienza della semente e dei suoi derivati è condizionata non solo dal clima e dalle caratteristiche del suolo, e dalle infrastrutture presenti sul territorio, ma anche dalle attitudini relazionali delle comunità e dalla psicologia sociale che le contraddistingue e le diversifica.
Il primo pensiero è stato quello di proporre il coinvolgimento e la nascita di ditte sementiere locali. Il termine ditta aveva però un suono che stonava alle nostre orecchie, appariva quasi cacofonico rispetto al fluire delle idee che stavamo elaborando. È stato così che il termine “sistema sementiero” ha iniziato a prender forma, a farsi strada e a raccogliere consensi. Ci è apparso chiaro improvvisamente che un sistema sementiero diffuso sarebbe stata la simbiotica conseguenza della scelta di coltivare popolazioni evolutive, un sistema locale di produzione delle sementi, capace di flessibilità per rispondere alle esigenze degli attori e alle dinamiche organizzative e logistiche caratteristiche dei diversi territori: a ogni terreno il suo seme, a ogni territorio il suo sistema sementiero.
Un passo importante che ci ha permesso di presentarci alle comunità dei vari areali climatici della Toscana portando sì un nuovo seme – probabilmente più performante delle varietà locali – ma altrettanto rispettoso sia del metabolismo del suolo che del metabolismo di chi ne avrebbe acquistato e consumato i prodotti finali.
Altre sorprese e consapevolezze ci aspettavano al varco. L’incontro con le piccole comunità di coltivatori della zona collinare rivelava attitudini relazionali completamente diverse da quelle degli areali di montagna o costa. La resilienza della semente e dei suoi derivati era quindi condizionata non solo dal clima e dalle caratteristiche del suolo, non solo dalle infrastrutture presenti sul territorio, ma anche dalle attitudini relazionali delle comunità e dalla psicologia sociale che le contraddistingue e le diversifica. Diventava quindi necessario costruire un sistema di regole che fossero univoche e riconoscibili anche su territori diversi ma che, allo stesso tempo, permettessero una grande flessibilità di adattamento ai cangianti contesti psicosociali.
Dall’osservazione e dalla riflessione su queste necessità siamo giunti ad uno dei primi risultati tangibili di questo progetto: l’etichetta che accompagna le prime prove di vendita di una semente eterogenea non riconducibile ad una varietà da conservazione. È la prima volta che un’azienda agricola, in collaborazione con Rete Semi Rurali, vende semente di popolazione, mantenuta e selezionata nei propri campi, ufficialmente cartellinata dal CREADC e accompagnata da un’etichetta che sancisce diritti e doveri di chi apre quel sacco. Diritti e doveri sicuramente interessanti di per sé ma ancor più innovativi perché del tutto inattesi all’interno del sistema legale. Riconducibili invece ad un mondo in cui la fiducia reciproca torna ad essere il valore fondante riconosciuto. Si chiude il cerchio. La resilienza non sta solo nell’indiscutibile e fondamentale valore della variabilità genetica delle popolazioni evolutive. La resilienza trova la sua validazione nella ricostruzione di una collettività che si riconosce in un sistema relazionale ed organizzativo che, dal seme alla tavola, porta il segno della fiducia e della corresponsabilità dei soggetti che la animano e la sostengono.
di Stefano Benedettelli – Università degli Studi di Firenze
Il progetto Cereali Resilienti ha analizzato i cambiamenti della popolazione evolutiva rispetto ai differenti ambienti di coltivazione della Toscana.
Variabili considerate
Altezza della pianta
Lunghezza della spiga
Larghezza della spiga
Numero spighette
Numero di spighe aristate
Numero di spighe mutiche
Densità della spiga
Peso della spiga
Numero di cariossidi per spiga
Peso delle cariossidi per spiga
Peso 1000 cariossidi
Produzione
% Proteine
% Carbonio
Polifenoli Liberi e Legati
Flavonoidi Liberi e Legati
Attività anti-radicalica
Caratteristiche reologiche (W, P, L P/L)
Nelle 4 aziende-madri, così come in tutte le aziende figlie di ciascuna MAC, è stato seminato un ettaro di popolazione per due annate agrarie, 2019 e 2020. Tutti gli anni, in ogni azienda, l’intera superficie è stata suddivisa in 3 aree omogenee, per ciascuna delle quali sono stati fatti i rilievi su parcelle di 2 metri quadri. Da ogni area campione sono state misurate le altezze di 100 piante e prelevate 100 spighe, per un totale di 300 piante e 300 spighe per azienda e per anno. L’area di saggio è stata interamente raccolta e il seme prodotto è stato avviato alle analisi per la valutazione delle caratteristiche produttive e reologiche delle farine. Per ogni parcella sono stati raccolti i dati relativi alle variabili riportate nella tabella 1, per un totale di 7.800 dati complessivi.
Per i caratteri che dipendono più dal corredo genetico di ciascuna pianta piuttosto che dalla variabilità ambientale, come la presenza delle reste, il numero di spighette per ogni spiga e la densità della spiga, sono state calcolate le frequenze delle diverse tipologie per stimare la variazione genica all’interno di ogni azienda e all’interno delle MAC. A titolo di esempio si riporta il grafico del cambiamento osservato mutiche. Tra il 1° e il 2° anno, ad eccezione delle coltivazioni in pianura, si osserva un incremento delle spighe mutiche soprattutto nelle aziende situate sulla costa. Anche la densità della spiga tende a diminuire dal 1° al 2° anno di coltivazione, determinando la formazione di spighe molto lasche. Questo comportamento potrebbe essere imputato al fatto che, aumentando la competitività tra individui all’interno della popolazione, tendono a prevalere i genotipi con spiga con rachide più lungo.
Questo andamento, molto interessante, ha effetti positivi nell’incrementare la resistenza orizzontale alle malattie crittogamiche della spiga, riducendo o eliminando la presenza di micotossine della cariosside.
Infine, sulla base di tutti i parametri morfologici, produttivi e qualitativi, è stata eseguita un’analisi statistica per verificare come i vari ambienti di coltivazione abbiano determinato ulteriori cambiamenti e come questi possano darci indicazioni sull’adattamento della popolazione alle caratteristiche ecologiche. Queste indicazioni sono indispensabili per orientare le scelte delle linee da utilizzare nella costituzione delle popolazioni evolutive in base agli ambienti dove sono destinate.
Il panel test si è svolto a giugno 2021 presso l’azienda Floriddia con prodotti da forno e pasticceria preparati dalle farine delle aziende–madri delle 4 MAC per rilevare un giudizio di tipo edonistico su prodotti che ancora non ha un vero e proprio mercato.
Nel progetto Cereali Resilienti, al fine di migliorare la qualità degli alimenti derivati da popolazioni evolutive di cereali e valutare il loro gradimento da parte dei consumatori e quali innovazioni di prodotto fossero più attrattive per il mercato, FIRAB ha condotto un Test di accettabilità (analisi sensoriale). Il panel test si è svolto l’11 giugno 2021 presso l’azienda Floriddia promuovendo l’assaggio di prodotti da forno e pasticceria preparati dalle farine delle aziende–madri delle 4 MAC e registrando il feedback dei partecipanti su apposite schede. Si è trattato di un test di analisi sensoriale condotto da persone prive di competenze specifiche (consumer panel, distinto dal panel analitico realizzato da persone professionalmente preparate allo scopo, generalmente volto allo sviluppo di strategie di marketing) per valutare un giudizio di tipo edonistico per un prodotto che ancora non ha un vero e proprio mercato.
Le prove di assaggio di prodotti da forno e pasticceria, preparate con le farine molite a pietra dal Molino Angeli, sono state frutto di ricette sperimentali del mastro pasticcere Gabriele Cini, fiorentino, da anni impegnato in ricerca, insegnamento e rielaborazione di ricette tradizionali adattate all’uso di grani locali e popolazioni evolutive.
Le farine da popolazioni sono caratterizzate da una forza del glutine contenuta e da una eterogeneità, espressione del miscuglio di grani – geneticamente diversi tra loro – da cui si ottengono. Il loro utilizzo, in sostituzione delle varietà che si trovano in commercio (omogenee, per essere meglio gestite nel sistema agro-industriale), richiede da parte degli operatori di settore, trasformatori ed utilizzatori finali, un’attenta conoscenza per la loro valorizzazione. Di qui discende un accurato lavoro per preparare i prodotti ottenuti da queste farine, basato su un lavoro di concerto tra il mugnaio e il mastro pasticcere. I prodotti sono stati preparati nello stesso giorno del test, applicando la stessa ricetta per ognuna delle farine. A parità di altre condizioni solo la pasta madre era diversa, essendo stata ottenuta in modo diretto dalla farina di ciascuna azienda-madre.
In considerazione dell’emergenza COVID19, la partecipazione è stata limitata a 50 persone per un totale di 4 sessioni di panel test, ciascuna con la presenza di 12-13 partecipanti. Ogni sessione ha previsto un iniziale approccio di conoscenza e di (in)formazione sulla metodologia. Sono state create postazioni distanziate provviste di scheda sensoriale. I campioni di assaggio sono stati presentati uno alla volta, chiedendo di esprimere un giudizio edonistico su una scala con orientamento orizzontale (scala edonica da 1 a 5, con 5=ottimale). Dall’analisi stati stica dei giudizi dei partecipanti è stato ricavato il giudizio finale da cui emerge un grande apprezzamento generale per i prodotti a base di grani evolutivi.
Tutti i pani, nonché i biscotti ed i grissini, hanno ottenuto voti molto buoni – in alcune valutazioni anche ottimi – rispetto agli attributi qualitativi, con valori tra il 3 e il 4. Non solo, ma lo scoprire che tale ricchezza di diversità, che caratterizza le farine di popolazioni evolutive, si potesse anche tradurre in una ricchezza di sapori, aromi e sensazioni ben espressi durante le prove di assaggio, è stato considerato stimolante e ha favorito una maggiore attenzione dei partecipanti durante tutto il panel test. In particolare, è emerso che sono apprezzati gli attributi sensoriali relativi a sapore, aroma, odore, gusto, aspetto e consistenza per i pani ottenuti da farine con grani evolutivi, soprattutto per le MAC Collina e Pianura.
Grafico 1. Risultati dell’analisi sensoriale comparati per tutti e 3 i prodotti (pane, biscotti e grissini) per le 4 MAC: A = MAC Collina – Floriddia B = MAC Costa – Grimaldi C = MAC Pianura – Passerini D = MAC Montagna – Antonini
Per i grissini emergono giudizi leggermente più positivi per la popolazione della MAC collina. Infine, tutti i biscotti sono stati apprezzati indipendentemente dall’areale di coltivazione.
Dai risultati emerge come vi siano ottime prospettive per i prodotti da grani evolutivi, oltre che per il ruolo di fondamentale importanza nella tutela e conservazione della biodiversità, proprio in relazione al gradimento da parte dei consumatori e l’ottenimento di un prodotto innovativo, che può favorire e alimentare un’economia diversificata.
Attivare una filiera resiliente con prodotti da farine evolutive potrebbe aiutare ad affrontare un cambiamento sempre più necessario, sia nel sistema di produzione che di consumo. Per fare questo è molto importante che il riconoscimento di diversità e ricchezza delle varietà e popolazioni passi, non solo attraverso i contadini e le contadine, ma anche attraverso i fornai, i panificatori e ogni altro preparatore che devono sperimentare e conoscere le caratteristiche di tali farine biodiverse, per capire come valorizzare quelle giuste per le loro necessità.
Interessante sottolineare, infine, che i risultati dell’analisi sensoriale descrittiva quantitativa hanno evidenziato come i partecipanti abbiano particolarmente apprezzato questa ricchezza di profumi e aromi data dalla diversità genetica delle popolazioni, e come tale diversità sia stata valutata come una ricchezza e non un difetto.
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