Servono un nuovo patto sociale e una narrazione diversa per realizzare una vera transizione agroecologica. Che non riguarda solo le campagne.
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 268 – Marzo 2024
Che cosa ci racconta la protesta dei trattori di questo inizio 2024? Un primo elemento è la sconfitta del processo politico dell’Unione europea: i tentativi di cambiamento contenuti nel Green Deal, seppure modesti, sono stati ridotti se non smantellati del tutto prima dal negoziato con il Parlamento europeo e poi, a inizio febbraio, per placare le proteste di piazza.
Il granello di sabbia che ha inceppato la strategia ambientale della Commissione europea è legato principalmente alla crisi dovuta alla guerra in Ucraina e alla riduzione del potere di acquisto dei cittadini. L’asse portante del cambiamento immaginato da Bruxelles avrebbe dovuto essere il consumatore europeo che, con le sue scelte di acquisto, avrebbe spinto verso la sostenibilità un settore recalcitrante.
Ma l’aumento dei costi di produzione e la contrazione dei consumi biologici hanno reso difficile questa transizione, mettendo in luce come tutta la strategia fosse stata mal digerita dai corpi sindacali.
In altre parole, la politica -luogo deputato al compromesso- non riuscendo a trasmettere al settore agricolo la necessità di cambiare aveva puntato tutto sui singoli consumatori, lasciando al mercato la capacità di mettere in atto strategie che, al contrario, avrebbero avuto bisogno del pieno coinvolgimento degli agricoltori.
La debolezza della politica, che oggi ritratta quanto aveva presentato come la più grande innovazione per la società, svela un secondo elemento: la cecità dei sindacati agricoli, rimasti inchiodati al loro ruolo di difesa dello status quo, senza capire che le sfide dei cambiamenti climatici comportano un ripensamento globale e drastico sia del fare agricoltura sia dei nostri sistemi alimentari.
Le aziende agricole europee che hanno chiuso tra il 2010 e il 2020 sono state tre milioni. Nella maggior parte dei casi avevano una superficie inferiore ai cinque ettari.
Avrebbero dovuto farsi carico di questa sfida, spiegarla agli agricoltori, accompagnare tecnicamente la transizione, costruire relazioni con i cittadini per spiegare il legame tra cibo e salute, allargando la visione dalla semplice difesa corporativa a un nuovo progetto per i produttori agricoli nella nostra società. Rimettere cioè in discussione politiche e strategie attuate dal Dopoguerra a oggi, e, con esse, la nostra visione di modernità in cui l’agricoltura è subalterna e residuale. Non dimentichiamoci che la riduzione del numero di contadini e la crescita della taglia delle aziende sono indicatori che per gli economisti denotano lo sviluppo di una società. Un punto che ci conduce ad affrontare il terzo elemento: la distanza incolmabile tra proiezione cittadina sul cibo e sulla realtà dei campi. Alcuni sondaggi in Francia e in Italia evidenziano come gli abitanti delle città siano molto vicini alle proteste dei trattori, ma al contempo d’accordo con le misure ambientali della Commissione.
Nel loro immaginario difendono i piccoli agricoltori oppressi dalle multinazionali (del seme, della chimica o della grande distribuzione), che però solo in minima parte sono in piazza. Dove a gran voce si chiede, invece, la fine delle rotazioni, lo stop alla riduzione dei pesticidi e si rivendica l’impossibilità di produrre senza l’uso della chimica di sintesi.
In questi anni si è fatta strada una narrazione urbana estetizzante (e narcotizzante dal punto di vista sociale) dell’agricoltura che lo storico Adriano Prosperi definisce nel libro “Un volgo disperso” (Einaudi, 2021): “Lo sguardo che la società del mondo urbanizzato occidentale porta sulla natura, con la sua percezione del mondo agricolo come naturale, tende a cancellare la presenza dei lavoratori della terra mentre proietta sull’agricoltura i colori di un’arcadia di cartapesta”. Per realizzare la transizione agroecologica abbiamo bisogno di una nuova narrazione e di un nuovo patto sociale: l’arcadia di cartapesta non ha scampo di fronte all’incedere dei trattori.