AIAB, ARI, RURE e Crocevia inviano al Primo Ministro S.Berlusconi, al Ministro dell’Agricoltura On. Zaia, ai Presidenti nazionali dei sindacati COLDIRETTI e CIA, e Segretari generali di FIOM-CGIL, FIM-CISL e UILM-UIL, una lettera che richiama, in questo periodo di crisi, l’attenzione sul mondo agricolo italiano, e suggerisce opportune strategie di sviluppo.

(segue il testo della lettera)

AIAB, ARI, RURE e Crocevia inviano al Primo Ministro S.Berlusconi, al Ministro dell’Agricoltura On. Zaia, ai Presidenti nazionali dei sindacati COLDIRETTI e CIA, e Segretari generali di FIOM-CGIL, FIM-CISL e UILM-UIL, una lettera che richiama, in questo periodo di crisi, l’attenzione sul mondo agricolo italiano, e suggerisce opportune strategie di sviluppo.

 

All’attenzione dell’On.le Berlusconi, Primo Ministro
All’attenzione dell’On.le Zaia, Ministro dell’Agricoltura
Al Presidente Nazionale COLDIRETTI Marini
Al Presidente nazionale CIA Politi
Al segretario generale della FIOM – CGIL
Al segretario generale della FIM – CISL
Al segretario generale della UILM – UIL

Loro sedi
Signor Primo Ministro,
Signor Ministro dell’agricoltura,
Cari Presidenti,
Cari Segretari,

Ci rivolgiamo direttamente a voi con questa nostra lettera per comunicarvi le aspettative di quella parte dell’agricoltura italiana che, normalmente definita come “economicamente scarsamente rilevante” rappresenta a tuttoggi il cuore stesso della nostra agricoltura come confermano i recentissimi dati dell’ISTAT “La distribuzione delle aziende agricole per forma di conduzione conferma il carattere tipicamente familiare che caratterizza la struttura dell’agricoltura italiana: le aziende a conduzione diretta del coltivatore sono circa 1,6 milioni, pari al 93,9% del complesso di aziende con SAU, e detengono complessivamente 10 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata (78,8% del totale)…”.

Non stiamo qui a ricordarne il cruciale valore sociale ma a sottolineare ancora una volta il suo enorme contributo all’economia di questo paese ed al settore agricolo nazionale, tra i più importanti del Pianeta. Certo non possiamo passare sotto silenzio che tra il 2000 ed il 2007 ben mezzo milione di aziende agricole sono sparite, praticamente tutte con una taglia inferiore ai 50 ettari., ma crediamo anche che la forza di chi resta a lavorare nei campi o nelle stalle sarà difficile da piegare proprio in questo periodo in cui il lavoro diventa sempre più incerto e privo di stabilità. Nella confusione totale che ci sembra regni tra quanti debbono indirizzare le politiche pubbliche economiche necessarie ad affrontare la tremenda crisi della recessione/depressione che colpisce il modello attuale di sviluppo non si cita mai l’agricoltura come un settore coinvolto nella ricerca delle soluzioni.

Si continua a pensare a misure singole – più o meno sostenibili e solidali – per far fronte alle continue rotture che emergono nella stabilità e sostenibilità di un modello di sviluppo che da molto tempo non era più ne sostenibile ne stabile. La crisi finanziaria, la cosiddetta “crisi alimentare” che durerà ancora, i sussulti del valore dell’energia e, ben più grave ma meno presente nella cultura dell’insicurezza che sembra sovrastarci, l’avanzare dei cambi climatici continuano a produrre impegni di spesa miliardari parziali, localizzati, episodici che non solo non riparano il danno ma rischiano di aggravarlo a causa della velleità delle misure proposte. Noi crediamo che occorra necessariamente uscire dalle ricette che ricalcano le stesse vie che hanno prodotto la crisi attuale ed assumere con coraggio correttivi estremamente sostanziali alle politiche economiche che debbono ritrovare la supremazia della loro natura pubblica se si intende essere efficaci sia nella quantità di denaro investita che nell’impatto delle stesse politiche. Niente di nuovo al momento appare, è sempre lo stesso elenco: soldi all’industria per la produzione di auto, soldi per le infrastrutture orientate alla estroversione dell’economia e basate sulla volontà di caricare sulla società tutta intera una parte maggiore delle esternalità dei comparti industriali. Il resto è ipoteticamente indirizzato a sostenere i consumi privati. Mai specificatamente quelli alimentari.

Signor Primo Ministro, Signor Ministro, Cari Segretari

Cambiamo di logica e misuriamo i costi monetari e sociali del sostegno mirato a singoli comparti o a settori interi.

Siamo sicuri che l’industria dell’auto così come oggi è strutturata sia o possa continuare ad essere l’elemento centrale e fondante del nostro sistema produttivo? Assumiamo l’occupazione, il lavoro come riferimento, non per un malinteso filantropismo ma perché tutti sanno che “la finanza produce soldi, il lavoro produce ricchezza” per tutti. Guardiamo i vari settori e allora ci accorgeremmo che l’agricoltura, anche grazie alla presenza importante di lavoro irregolare, con gli oltre 4 milioni “di persone impiegate” ufficialmente, rappresenta molto di più del classico 4% degli occupati totali che ci attribuiscono le statistiche di settore. Quelle “persone impiegate” sono per oltre 3 milioni “manodopera familiare” cioè strutture produttive che – attraverso l’autosfruttamento – riescono a tenere testa agli svantaggi concorrenziali prodotti dalle politiche agricole che favoriscono il modello industriale di agricoltura, che favoriscono la concentrazione del sostegno pubblico su di un numero ristrettissimo di aziende – l’1% delle aziende gode di oltre un quarto degli aiuti – e di produzioni agricole.

Malgrado le crisi vecchie e nuove e la drastica riduzione del numero delle aziende e degli addetti avvenuta tra il 200 ed il 2007, il tessuto produttivo agricolo italiano ha ancora una presenza molto importante in tutte le regioni italiane, fatte le dovute differenze sociali, economiche ed agroecologiche, riesce a contrastare i processi di concentrazione acceleratesi a seguito delle ultime riforme della PAC e delle regole che governano il mercato dei diritti a produrre (latte e vino). Rappresenta ancora un potenziale economico, oltre che sociale, di cui il paese potrebbe e dovrebbe approfittare. Anche in considerazione del processo di erosione di quote sempre più rilevanti del mercato interno agroalimentare a vantaggio del mercato mondiale transnazionale. Aumentano le nostre esportazioni agroalimentari ma la nostra agricoltura perde sempre di più la sua capacità di approvvigionare il mercato interno perché quasi niente è predisposto per facilitargli questo compito. Certo per farlo occorre capovolgere la logica delle politiche, avere il coraggio di decidere quale modello agricolo è più funzionale, nel contesto europeo, alla struttura produttiva agricola e rurale nazionale. Si tratta di scegliere tra un’agricoltura intensiva in capitali o diverse agricolture intensive in lavoro. La seconda opzione offre maggiori margini di resistenza alla crisi attuale e consente di farne uno strumento per fronteggiare il crollo dei consumi alimentari e la crescita dei costi di produzioni , non certo dovuti alla inesistente crescita del costo del lavoro ma dovuti al controllo ferreo che un gruppo molto ristretto di industrie hanno sugli input produttivi ed all’accaparramento del valore che viene fatto in particolare dalla GDO, a valle.

Modificare l’uso di questi input ed il loro consumo, ad esempio attraverso un’agricoltura agroecologica, biologica o biodinamica, il circuito corto, lo sviluppo del mercato interno passando per il sostegno al mercato di prossimità, consente di mantenere i prezzi finali entro una dimensione che permette ai consumatori di acquistare ed agli agricoltori di produrre.. Certo che manca tutto per sostenere una strategia di questa natura a livello generale. Non ci sono incentivi, non ci sono supporti, non ci sono protezioni dalla concorrenza sleale, non ci sono misure sociali a sostegno, non ci sono reti di trasporto adatte a queste modalità, non ci sono sistemi distributivi decentrati. E poi c’è un processo di concentrazione delle terre ed una pressione esercitata dal loro uso non agricolo che rende l’accesso alle terre agricole necessarie ad allargare la maglia aziendale o alla creazione di nuove aziende (giovani, neorurali o contadini di ritorno) difficile e quasi impossibile. Insomma non ci sono le politiche economiche necessarie. Infatti si rottamano vecchie automobili e frigoriferi ma non sarebbe più semplice rottamare i trattori che hanno più di 15 anni e sostenere, magari con l’esenzione dell’IVA, quelli che si comprano un trattore nuovo con una potenza non superiore a 100 cavalli?Così si libererebbero i piazzali dei rivenditori pieni di trattori non venduti e gli operai metalmeccanici lavorerebbero.. Costerebbe anche di meno di altre rottamazioni e produrrebbe un effetto moltiplicatore molto più ampio. Certo non basta rottamare trattori, infatti un’ampia riconversione sostenibile della nostra agricoltura di dimensione piccola e media creerebbe occasioni di lavoro a costi decrescenti “….Per questo non sono interventi temporanei e parziali che interessano ma una strategia di sviluppo che metta al centro il riconoscimento della sostenibilità ambientale dell’agricoltura, il ruolo di volano che la qualità ambientale e le produzioni tipiche, hanno verso molti altri settori produttivi ed i compiti delle aziende; quindi, i sostegni ed i servizi per svolgere a pieno il ruolo assegnato” (AIAB, 2005)

Signor Primo Ministro, Signor Ministro, cari Presidenti, cari Segretari

La nostra esperienza ci fornisce suggerimenti su cui basare possibili strategie di “sviluppo” agricolo:

Noi chiediamo la salvaguardia dei livelli di occupazione, sia in termini di lavoro che di terre occupate da attività agricole senza nessuna scissione tra produzione e salvaguardia ambientale.
Il territorio e la sua complessità è lo spazio in cui si devono muovere le linee di politica agraria, lo sviluppo rurale è l’obiettivo strategico generale. Il nostro obiettivo di lungo periodo è quello di consolidare dei territori rurali durevoli, in cui l’atto produttivo sia ripartito in modo socialmente giusto e capace di mantenere il numero più alto possibile di addetti in campagna sia in agricoltura che negli altri settori.
Un economia diversificata accompagnata da un’agricoltura diversificata, nell’azienda e nel territorio e tra i territori, secondo le specificità storiche, economiche ed ecologiche, capace di trasformare in valore aggiunto le differenze e le specificità delle aziende, dei territori, delle tradizioni culturali, dei paesaggi, degli agroecosistemi
Un’economia articolata, a partire dal locale, in rete coordinata di cicli corti (nel tempo e nello spazio) capaci di potenziare la qualità dei prodotti e dei sistemi di produzione e sfruttare al meglio il potenziale rappresentato dal mercato nazionale, in particolare.
Una funzione politica capace di ristabilire un contatto ed un dialogo diretto con i consumatori – sempre più lontani dai processi di produzione degli alimenti – sui prezzi, sulla qualità, sui vincoli della produzione, per sviluppare i legami effettivi e non folcloristici tra città e campagna, tra produttori e consumatori.
Signor Primo Ministro, Signor Ministro, cari presidenti, cari Segretari

Chiediamo un gesto di attenzione verso l’agricoltura contadina: rottamare i trattori e le altre macchine agricole, come abbiamo proposto, sarebbe un primo segno concreto che vorremmo fosse seguito a tempi stretti da una semplificazione della burocrazia e delle regole che rallentano e rendono più costosa l’attività di oltre il 90% delle aziende agricole italiane che sono e restano a conduzione familiare e di modeste dimensioni.

Accettate i nostri saluti cordiali,

AIAB – ASSOCIAZIONE ITALIANA AGRICOLTURA BIOLOGICA – Andrea Ferrante
ARI – ASSOCIAZIONE RURALE ITALIANA – Francesco Benciolini
CENTRO INTERNAZIONALE CROCEVIA – Antonio Onorati
RURE – RURALI REGGIANI – Giardo Filippini

Per contatti
CENTRO INTERNAZIONALE CROCEVIA – Antonio Onorati
Email: crocevia@croceviaterra.it
www.croceviaterra.it