Orti urbani e sociali in Europa

Mag 17, 2023 | Articoli, Comunità

Spazi agricoli in città e la nascita di nuove comunità

di Elenia Penna, Elia Renzi – Società Toscana di Orticultura

L’orticoltura urbana sta diventando sempre più popolare e praticata. Coltivare è da sempre una prerogativa delle aree rurali attorno alle città: la coltivazione degli orti è una delle poche attività, insieme al florovivaismo, alla cura di giardini e alla frutticoltura, che alimenta il legame tra urbano e rurale, anche quando le città erano ancora cinte da mura in tutta Europa.

Fin dall’antichità, gli orti sono stati parte integrante di città, castelli, monasteri, eremi e insediamenti. Se pensiamo, per esempio, all’Europa medioevale troviamo molto spesso una fascia di orti urbani collocata tra la fine degli insediamenti e le mura cittadine: in quell’area marginale, che oggi potremmo chiamare periferia, sorgevano orti, con presenza di alberi da frutto e pozzi, utili in caso d’assedio o di pandemie. Gli orti erano talvolta disciplinati da regolamenti o leggi che prevedevano la coltivazione di alberi da frutto. I residui di questo antico mondo scomparso sono ancor oggi evidenti nella toponomastica di alcune strade: per esempio a Firenze, Via dell’Orto o Via dell’Ortone sono realizzate dove un tempo sorgevano gli orti.

Nel periodo delle grandi dittature e successivamente della guerra, in Italia nacquero delle vere e proprie guide per la gestione dell’orto domestico.
Al termine del secondo conflitto mondiale, in Europa iniziò la ricostruzione e con essa una massiccia urbanizzazione che ha cambiato inesorabilmente la gestione e l’aspetto dei paesaggi rurali e urbani. Le aree urbane sono cresciute esponenzialmente e le reti stradali si sono intersecate alle tante aree coltivate. Inoltre, lo spostamento dalla campagna alla città ha dato luogo a territori sempre più degradati e incolti, e a città sempre più invivibili con pochi spazi verdi.

Molte persone che provenivano dalle campagne o avevano nella storia familiare un legame con la terra, nel corso degli anni si sono arrangiate conquistando lembi di terra in aree marginali e interstiziali, costruendo orti urbani spesso diventati vere e proprie discariche diffuse ai margini di strade principali, ferrovie o lungo i fiumi, accumulando sporcizia, plastica e utilizzando discutibili metodi di coltivazione.

A partire già dagli anni ’70, però, gli orti urbani hanno iniziato ad assumere un nuovo ruolo, riconnettendo le comunità alla natura e generando nuovi spazi organizzati per città sempre più affollate e affogate di cemento. I sempre più numerosi orti sociali “invadono” i centri urbani europei rivelando il bisogno delle comunità contemporanee di accedere a spazi verdi in città per migliorare la qualità della vita e confrontarsi con nuovi problemi e urgenze: la crisi climatica, la siccità, l’aumento di ondate di calore, il cambiamento dello stile di vita o l’innalzamento del tasso di urbanizzazione.

Viaggiando in Europa si scopre quanto ogni luogo verde che nasce in città sia identitario dei suoi cittadini. Chi partecipa al progetto solitamente porta qualcosa di sé, della sua vita e della sua cultura, caratterizzando la storia di quel luogo per sempre. Questa partecipazione genera co-creazione: ciascun individuo, all’interno di questa condivisione, lascia andare qualcosa di sé per il bene della collettività a cui si unisce.

Nell’orto si incontrano persone di ogni età e provenienza sociale. Il filo rosso che lega tutti questi orti urbani è il senso di comunità e collettività che alimentano.

Nella periferia di Berlino, ad esempio, è nata l’esperienza “Garten der Hoffnung / bustan-ul-amal”, un orto basato sull’inter-religione e il multiculturalismo dove l’aspetto della coltivazione si sposa con quello della spiritualità e dell’interazione pacifica tra religioni diverse. Mentre in un orto comune di prossimità situato in piccole aree verdi, gestito dall’associazione Kulturlabor Trial & Error, si dimostra che non c’è bisogno di grandi spazi per coltivare e prendersi cura di noi e della terra; qui vengono coltivate erbe aromatiche resistenti che possono essere facilmente fruibili dai vicini di quartiere in modo spontaneo e costante nell’anno. Altri orti, più vicini ai luoghi legati all’educazione (scuole, accademie e università) hanno una caratterizzazione e identità didattica per consentire a bambini e ragazzi di entrare in contatto con le piante durante e fuori dalle lezioni.

Nell’orto, inoltre, si incontrano persone di ogni età e provenienza sociale: in Spagna nella periferia di Barcellona l’organizzazione “Conreu Sereny” porta avanti un progetto di orticoltura sociale dove richiedenti asilo vengono accolti per un percorso di inclusione e inserimento lavorativo in cui si apprende la lingua locale e si impara a fare agricoltura. Il contesto caratterizza molto l’anima dell’orto urbano, come dimostra il “Petuelpark” a Monaco di Baviera, dove un parco urbano nato per rigenerare un’area degradata a causa della grande presenza di microcriminalità e mancanza di inclusione ha cambiato l’assetto paesaggistico dell’area e ridotto il tasso di criminalità.

Il filo rosso che lega tutti questi orti urbani è il senso di comunità e collettività che alimentano. Questi luoghi sono circoli virtuosi di relazione, confronto e soprattutto azione, abitati da tanto verde e movimenti sociali. Le comunità che vivono tali spazi si caratterizzano per una proattività e un entusiasmo in grado di coinvolgere nuove persone e generazioni, contaminando anche chi non fa parte dell’orto in modo diretto.

Notiziaro 33

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