In attesa della proposta legislativa della Commissione europea, in Parlamento si stanno discutendo tre proposte di legge in materia.
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 260 – Giugno 2023
Si sta consumando un duro e serrato confronto sul futuro della ricerca agricola italiana che ha come oggetto le Tecniche di evoluzione assistita (Tea) o nuovi Ogm, a seconda dei punti di vista. A livello comunitario siamo in attesa della proposta legislativa della Commissione europea, che avrebbe dovuto vedere la luce ai primi di giugno ed è stata rimandata perché il testo non è ancora pronto; o meglio non c’è accordo politico sulla visione di fondo. In attesa del verdetto europeo il legislatore italiano si sta muovendo alacremente con ben tre proposte di legge in discussione al Parlamento e, addirittura, una norma ad hoc nel decreto sull’emergenza siccità, per facilitare la coltivazione in campo aperto di piante prodotte con tecniche di mutagenesi sito-diretta e cisgenesi (Tea) per ricerca e sperimentazione. Come se i problemi dell’agricoltura italiana si risolvessero di colpo grazie all’uso di questa tecnologia miracolosa.
L’oggetto del contendere è decidere se queste piante debbano seguire o meno lo stesso iter autorizzativo degli Ogm, arrivando in ultima analisi a deregolamentare il settore considerandole assimilabili alle varietà tradizionali. Bisogna ricordarsi che la messa in commercio e la possibilità di fare sperimentazione in campo di varietà geneticamente modificate sono disciplinate dalla direttiva 2001/18 con un approccio restrittivo basato su valutazione caso per caso, produzione di dossier specifici per ogni pianta, tracciabilità di tutto il processo, fino all’etichettatura dei prodotti. A oggi le Tea sono assimilate agli Ogm, anche in seguito a due decisioni della Corte di giustizia europea.
Qual è, quindi, la fretta che consiglia i parlamentari italiani a legiferare su una materia così scivolosa, senza attendere il procedimento di armonizzazione europeo? L’unica spiegazione è che sulle Tea si stia giocando una battaglia puramente ideologica, come se il mondo della ricerca volesse consumare una sorta di rivincita “scientifica” rispetto a quanto vissuto al tempo degli Ogm.
A quel tempo -questa è la narrazione- le posizioni anti-scientifiche dei cittadini e delle associazioni ambientaliste sono riuscite a fare breccia nella politica, che non ha ascoltato le voci esperte della scienza. Oggi, questo non deve succedere indipendentemente dalla reale necessità di usare queste tecnologie. Deve passare il principio che la scienza è neutrale e superiore ai dibattiti politici e sociali. È questo il vero oggetto del contendere. Fate attenzione al linguaggio usato per descrivere le Tea: accuratezza, precisione, velocità, con un occhio ai cambiamenti climatici (resistenza alla siccità), alla sostenibilità (la tolleranza agli insetti) e ovviamente al made in Italy, attraverso la correzione dei difetti presenti nelle varietà locali. Come opporsi a questo ben di dio? In parte è una retorica già vista al tempo degli Ogm, quando la scienza parlava di prima, seconda e terza generazione, di cui solo la prima è diventata realtà.
Un articolo pubblicato su Nature Food nel gennaio 2023 (“Reframing the local-global food systems debate through a resilience lens”) mette proprio la diversità in cima ai sette principi sui cui costruire i sistemi alimentari del futuro. Il tema, sostengono gli autori, non è tanto cercare di capire se è meglio il modello locale o globale di agricoltura (ognuno dei due può esserlo in contesti determinati e diversi), ma incoraggiare la diversità a tutti i livelli, lungo tutta la filiera alimentare.
Ovviamente, non si tratta solo di lavorare sulle pratiche, ma, soprattutto, sulle politiche, sui sistemi di governance e sulle dinamiche commerciali, dominate da veri e propri oligopoli e monopoli. Non a caso, l’articolo discute di governance policentrica e di ampia partecipazione della società civile alle politiche, elementi centrali per bilanciare la concentrazione di potere che viviamo oggi. E qui emerge un nodo dolente, legato al sistema di conoscenze e di informazioni sul funzionamento dei sistemi alimentari. È necessaria, infatti, una vera e propria alfabetizzazione alimentare in grado di rendere consapevoli cittadini e politici, troppo spesso influenzati dalla pubblicità e dalle attività di lobbying dell’industria agroalimentare. Per riallocare il potere tra gli attori della società e al loro interno, ci vuole un doppio percorso: politico dall’alto e sociale dal basso, come rivendicazione di diritti.
La direttiva europea 2001/18 disciplina la messa in commercio e la possibilità di fare sperimentazione in campo delle varietà geneticamente modificate.
La differenza oggi la fa la potenza della tecnologia, che porta alcuni scienziati a immaginare che l’unico limite sia nella nostra immaginazione e, ovviamente, nelle restrizioni legali che la politica metterà. Nessuno ricorda, però, che la maggior parte dei caratteri di interesse agronomico sono su base multifattoriale (legati all’espressione di più geni allo stesso tempo), che sono influenzati dall’ambiente e che il genoma è un sistema molto più fluido e complesso di quanto pensavamo anni fa quando si insegnava il dogma centrale della biologia basato sul principio che un gene (tratto fisico di Dna) codifica per una proteina. Insomma, la corsa alle Tea riporta indietro l’orologio delle scienze agrarie, facendoci tornare a un’epoca di positivismo scientifico riduzionista che pensavamo ormai superata.
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