Il sistema agrobiodiversità in Italia

Dic 1, 2019 | Articoli, Legislazione, Notiziari

Non potevamo aprire il 2020 senza una riflessione sulle politiche sulla biodiversità e in particolare sulla parte che ci interessa da vicino: la diversità agricola. Infatti, il 2020 era stato indicato come l’anno entro cui arrestare la perdita di biodiversità a livello globale: la Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB – www.cbd.int) nel 2010 aveva adottato il Piano Strategico per la Biodiversità (PSB) per il periodo 2011-2020, un quadro generale che avrebbe dovuto essere integrato in tutte le politiche delle Nazioni Unite e diventare operativo grazie ai piani d’azione nazionali. Per rispondere a questa esigenza, nel maggio 2011 l’Unione Europea aveva lanciato la sua Strategia sulla Biodiversità fino al 2020. L’obiettivo era molto ambizioso: “porre fine alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici e ripristinarli nei limiti del possibile, intensificando al tempo stesso il contributo dell’UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale”. Questa strategia, suddivisa in 6 obiettivi e 10 azioni, ha anche due capitoli dedicati alla conservazione della diversità genetica in agricoltura. Nel febbraio 2016, purtroppo, il Parlamento Europeo ha dovuto riconoscere il fallimento di questa strategia, prendendo atto dagli indicatori analizzati che con gli andamenti attuali nessuno degli obiettivi sarà raggiunto alla scadenza prevista. E, infatti, nel 2019 l’Unione Europea ha cominciato a mettere in avanti le lancette, individuando un più lontano 2050 come nuovo orizzonte temporale. Ma perché gli obiettivi non sono stati raggiunti? Erano veramente troppo ambiziosi? 

Forse, ma uno dei motivi del fallimento va ricercato nel sistema di governance politico, come emerge con chiarezza in alcuni dei commenti del Parlamento europeo: la mancanza di coerenza tra le varie politiche settoriali, la mancata applicazione nazionale e la non integrazione del tema della biodiversità nelle politiche non strettamente ambientali sono indicati come problemi da risolvere. La biodiversità per sua natura, infatti, attraversa vari domini, dall’ambiente, all’agricoltura, passando per il commercio e lo sviluppo economico, ma la nostra pubblica amministrazione è ancora organizzata per settori che si parlano con difficoltà. Costruire una visione comune e di conseguenza delle politiche pubbliche si sta dimostrando molto difficile: richiede un cambiamento culturale e una comune percezione di quali siano le priorità tra settori diversi. Ad esempio, chi decide se vale di più mantenere un sistema agricolo diversificato con siepi e bordure o ridurre il campo coltivato a un terreno sterile mantenuto artificialmente in vita da erbicidi, fertilizzanti e fungicidi? Come si capisce non è scelta facile che possa essere resa oggettiva da adeguate prove scientifiche. 

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Ecco cosa ci insegna la scadenza mancata del 2020: abbiamo una mole di dati scientifici a disposizione sulla scomparsa e l’importanza della biodiversità, abbiamo elaborato una serie di indicatori molto sofisticati per studiarla e monitorarla (vedi gli Obiettivi di Aichi promossi nel 2010 dalla CBD), i cittadini europei sono sempre più consapevoli di questa tematica (vedi i risultati dell’Eurobarometer 2019), ma tutto ciò non si traduce in politiche efficaci che modifichino le tendenze attuali.

Se la biodiversità non se la passa tanto bene, anche quella agricola non gode di buona salute. In parallelo a questo lavoro svolto prevalentemente dai ministeri dell’ambiente dei vari paesi e relativo all’implementazione della CBD, a livello internazionale esiste un accordo specifico che tratta della diversità agricola: il Trattato FAO sulle risorse genetiche vegetali (RGV) per l’agricoltura e l’alimentazione (www.planttreaty.org). L’ultima riunione del suo Organo di Governo, tenutasi nel novembre 2019 a Roma, ha messo in evidenza le difficoltà già citate per la CBD: assenza di visione generale e estrema specializzazione settoriale dei negoziatori hanno portato ad uno stallo della sua operatività. CBD e Trattato, anche se sono pensati come due strumenti che dovrebbero supportarsi a vicenda, soffrono della dicotomia tra agricoltura e ambiente e della mancanza di integrazione delle politiche tra questi settori. 

La situazione in Italia

Vediamo ora cosa succede in Italia, analizzando il sistema agrobiodiversità nazionale a partire dalle competenze delle nostre istituzioni pubbliche per finire con un’analisi della recente legge 194/2015 sulla biodiversità agricola.

Una prima competenza è ovviamente del Ministero della Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF), condivisa però con tutte le Regioni e le Province autonome, in forza del Titolo V della Costituzione la cui ultima riforma in senso più decentrato è avvenuta nel 2001. Il Trattato FAO è stato recepito dalla legge 101/2004 che da competenza alle Regioni su uso sostenibile e conservazione della diversità agricola, diritti degli agricoltori, creazione del sistema multilaterale di scambio e accesso facilitato alle RGV (gli articoli 5, 6, 9, 11 e 12), con obbligo di relazione annuale al ministero che ha la responsabilità di presentare il quadro nazionale. Nel 2008 la Conferenza Stato Regioni ha approvato il Piano Nazionale sulla Biodiversità di interesse Agrario (PNBA), che include un programma in tre fasi:

A) redazione delle linee guida nazionali;
B) analisi di varietà e razze animali identificate dalle Regioni;
C) attivazione dell’Anagrafe nazionale e del sistema di tutela e valorizzazione.

Nel luglio 2012, dopo un lavoro di 2 anni di un gruppo di 30 esperti, sono state pubblicate le Linee Guida per la Conservazione e la Caratterizzazione della Biodiversità di interesse agrario per dare una comune metodologia a livello nazionale su questo tema (http://planta-res.politicheagricole.it/pages/index.php). Le fasi B e C, come vedremo, sono diventate di competenza della legge 194.  Il MiPAAF si occupa anche della legislazione sementiera e gestisce il catalogo varietale, ivi compreso la parte sulle varietà da conservazione. Inoltre, il MiPAAF vigila sul Consiglio per la Ricerca in Agricoltura l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), i cui centri sparsi sul territorio gestiscono banche delle sementi delle diverse specie agrarie. Il CREA-DC (ex-ENSE) si occupa di certificazione e iscrizione varietale. 

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Massimo Angelini al Convegno di presentazione ufficiale delle “Linee guida per la conservazione e la caratterizzazione della biodiversità vegetale, animale e microbica di interesse per l’agricoltura” _ Bologna, 21 novembre 2012

Una seconda competenza ricade sotto il Ministero dell’Ambiente, cui spetta la traduzione nazionale della CBD, ratificata dall’Italia nel 1994. In questo ambito è stata elaborata nel 2010 la Strategia Nazionale per la Biodiversità (SBN), il cui ultimo rapporto sullo stato di attuazione è stato redatto nel biennio 2015-2016, con due specifiche aree di lavoro su risorse genetiche (incluse quelle agricole) e agricoltura. In particolare, questo ministero ha la responsabilità di gestire l’accesso e la ripartizione dei benefici derivanti dall’uso delle risorse genetiche (ABS) così come stabilito dal Protocollo di Nagoya, uno degli accordi secondari della CBD entrato in vigore nel 2014. 

Una terza competenza è del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), che si occupa della protezione delle varietà vegetali attraverso i vari strumenti di proprietà intellettuale (privativa vegetale, marchi e brevetto) e della loro relativa iscrizione al catalogo nazionale e comunitario (si tratta di un catalogo  diverso da quello varietale gestito dal MiPAAF per la commercializzazione delle sementi, per cui una varietà protetta risulta iscritta a due cataloghi: uno per la commercializzazione delle sementi e uno per la privativa vegetale). L’Ufficio Brevetti e Marchi del MISE rappresenta l’Italia nel Consiglio dell’Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali con sede ad Angers (www.cpvo.europa.eu – Francia) e anche all’interno dell’Ufficio Europeo sul Brevetto con sede a Monaco (www.epo.org – Germania). 

Una quarta competenza ricade sotto il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), che tramite le università e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) gestisce le molte collezioni pubbliche di risorse genetiche agricole conservate nelle loro banche. Ad esempio, la più grande banca italiana per numero di accessioni conservate, quella con sede a Bari, appartiene all’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR (www.ibbr.cnr.it).

Una quinta competenza è delle Regioni che gestiscono i Piani di Sviluppo Rurale (PSR) della Politica Agricola Comunitaria (PAC) e quindi le relative misure di supporto alla conservazione delle risorse genetiche vegetali e animali (misure 10.1 e 10.2). Si tratta di circa 160 milioni di euro a disposizione nel periodo 2014-2020. Nel 2016 lo stesso Parlamento europeo, nella nota sulla revisione di medio termine della Strategia sulla Biodiversità, chiedeva agli Stati membri di migliorare questo strumento con l’obiettivo di promuovere in maniera più efficace l’uso sostenibile della diversità agricola, riconoscendo l’assenza di progressi misurabili delle azioni adottate nei PSR. In pratica un fiume di soldi di cui è difficile valutare il reale impatto sulla diversità agricola. Ma le Regioni hanno anche altre responsabilità: alcune hanno adottato specifiche legislazioni regionali di tutela dell’agrobiodiversità (vedi tabella) e tutte sono il tramite attraverso cui le domande di iscrizione delle varietà da conservazione devono passare prima di arrivare al Ministero. Inoltre, come vedremo giocano un ruolo chiave nell’implementazione della legge 194.

Avere così tante competenze ripartite, o meglio disperse? Tra dicasteri e uffici diversi fa sì che sia difficile partorire una visione strategica comune sull’agrobiodiversità a livello nazionale, perché i vari attori istituzionali hanno la tendenza a non comunicare e a non elaborare politiche integrate: Agricoltura, Ricerca e Ambiente, Ministeri, Regioni ed Enti locali, tutti si contendono il tema e le competenze (e quindi i soldi quando ci sono..), in un grande valzer in cui ognuno resta a difesa della sua trincea, con poca cura dell’efficacia generale del sistema. Per capire quanto è difficile integrare la biodiversità nelle istituzioni e produrre politiche che rispondano ad una visione comune bastano due esempi. Primo, per arrivare a elaborare la SBN sono stati necessari circa 15 anni dalla ratifica della CBD, spesi nel tentativo di trovare una sintesi tra Agricoltura e Ambiente, mentre la redazione del PNBA e relative Linee Guida hanno richiesto solo (!) 8 anni forse perché non hanno avuto la partecipazione attiva dell’Ambiente. Secondo, l’Italia non ha ancora reso operativo il Protocollo di Nagoya convertendo in legge il Regolamento UE 511/2014, procedura estremamente complicata che ha visto Agricoltura e Ambiente su posizioni opposte prima di arrivare ad un compromesso, tanto che l’Italia è stata richiamata alla Corte di Giustizia Europea per questa inadempienza. In conclusione, possiamo affermare che il nostro sistema politico e amministrativo non si è ancora riorganizzato per integrare la biodiversità in maniera transettoriale. 

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Diversità di spighe di Orzo

La legge 194/2015

In questo panorama arriva nel 2015 la legge 194 “Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, approvata dopo un percorso parlamentare di 6-7 anni avvenuto in parallelo a quanto succedeva nel PNBA. Cerchiamo di capire se ha semplificato chiarendo ruoli e responsabilità o se ha aggiunto un altro livello di burocrazia al sistema già alquanto barocco. 

CBDConvenzione sulla Diversità Biologica
CCESCentri di Conservazione ex-situ
CNRConsiglio Nazionale delle Ricerche
CPVOUfficio Comunitario delle Varietà Vegetali
CREAConsiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria
ENSEEnte Nazionale Sementi Elette
EPOUfficio Europeo sul Brevetto
MiPAAFMinistero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
MISEMinistero dello Sviluppo Economico
MIURMinistero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
PACPolitica Agricola Comunitaria
PNBAPiano Nazionale sulla Biodiversità di interesse Agrario
PSBPiano Strategico per la Biodiversità
PSRPiano di Sviluppo Rurale
RGVRisorse Genetiche Vegetali per l’Agricoltura e l’Alimentazione
SBNStrategia Nazionale per la Biodiversità
GLOSSARIO

L’impianto della legge riprende quello della legge regionale della Regione Toscana e si articola negli elementi indicati nella figura 1. 

Ecco l’iter che deve seguire una risorsa per essere iscritta all’Anagrafe nazionale (esistono anche quelle periferiche gestite dalle Regioni): domanda alla Regione che tramite la sua Commissione Tecnico-Scientifica, prevista dalla legge regionale, o il Nucleo di Valutazione, se non ha una legge regionale ad hoc, verifica il dossier e lo trasmette al MiPAAF. A questo punto in 30 giorni il Ministero chiude l’istruttoria e emana apposito decreto per l’iscrizione. Una regione che ha una legge regionale finisce per avere: il repertorio regionale, l’anagrafe nazionale e, in ultimo, la sezione del catalogo sementiero dove iscrivere le varietà da conservazione: si corre il rischio di perdersi per strada nel tentativo di capire dove incasellare una varietà!

Percorso simile deve seguire l’agricoltore per diventare “custode” ed essere iscritto nella Rete Nazionale: domanda alla Regione e poi iscrizione da parte del MiPAAF. Le varie banche delle sementi attualmente operanti, siano esse afferenti al MiPAAF o al MIUR, devono fare una specifica domanda al MiPAAF per diventare Centri di Conservazione ex-situ (CCES) secondo la legge 194 e, finalmente, far parte della Rete Nazionale. Ovviamente l’iscrizione da parte del Ministero è soggetta al previo parere positivo delle Regioni che devono verificare: i) iscrizione nell’Anagrafe nazionale della risorsa genetica per la quale si propone la conservazione presso il CCES, ii) reale possesso dei requisiti del CCES, iii) presenza delle dichiarazioni di assunzione degli impegni da parte del CCES (vedi allegato 3 del DM 10400 del 24/10/2018). 

Finite tutte queste pratiche dovrebbero esistere l’Anagrafe e la Rete, gestita direttamente dal MiPAAF, con membri agricoltori custodi (singoli o associati) e CCES. Ovviamente il tutto sarà soggetto a un controllo “standardizzato e partecipato” definito da un futuro decreto del Direttore Generale dello Sviluppo Rurale previo parere del Comitato Permanente, istituito dall’articolo 8. Ad oggi l’Anagrafe è popolata con gli elenchi delle regioni Toscana, Umbria, Marche, Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. La legge prevede anche di creare il Portale Nazionale della Biodiversità di interesse agricolo e alimentare (art. 5) dove far confluire le informazioni delle singole banche dati. Nei prossimi mesi sapremo se tale portale andrà ad integrarsi a quello già esistente del MiPAAF (Planta Res – http://planta-res.politicheagricole.it/pages/index.php) o se sarà creata un’altra piattaforma.

LEGGI REGIONALI SULL’AGROBIODIVERSITA’

RegioneRiferimentiTitolo dispositivo
AbruzzoDelibera Giunta Regionale n. 1050 del 28 dicembre 2018 in attuazione della Legge n. 194 del 1 dicembre 2015Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare e Decreti applicativi e delle LLRR n. 64/2012 e n. 34/2015
BasilicataL.R. del 14 ottobre 2008, n. 26Tutela delle risorse genetiche autoctone vegetali ed animali
di interesse agrario
CalabriaL.R. del 25 maggio 2018, n. 14Tutela, conservazione, valorizzazione della diversità del
patrimonio di varietà, razze e ceppi microbici di interesse
agrario e alimentare del territorio calabrese
CampaniaL.R. del 19 gennaio 2007, n. 1, art. 3 Regolamento 3 luglio 2012, n. 6Regolamento di attuazione dell’articolo n. 33 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – Legge Finanziaria
regionale 2007), per la salvaguardia delle risorse genetiche agrarie
a rischio di estinzione
Emilia RomagnaL.R. del 29 gennaio 2008, n. 26Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario
del territorio emiliano-romagnolo
Friuli Venezia GiuliaL.R. del 22 aprile 2002, n. 11Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e forestale
LazioL.R. del 1 marzo 2000, n. 15Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario
LombardiaDecreto del 11 ottobre 2013, n. 9167Procedura per la presentazione e l’istruttoria delle domande di iscrizione alla sezione delle varietà da conservazione del registro nazionale delle varietà di specie agrarie e ortive
MarcheL.R. del 3 giugno 2003, n. 12Tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio
marchigiano
PiemonteL.R. del 22 gennaio 2019, n. 1, art. 44Riordino delle norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale
PugliaL.R. del 11 dicembre 2013, n. 39Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, forestale e zootecnico
SardegnaL.R. del 7 agosto 2014, n. 16Norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agrobiodiversità,
marchio collettivo, distretti
SiciliaL.R. del 18 novembre 2013, n. 19Tutela e valorizzazione delle risorse genetiche ‘Born in Sicily’ per l’agricoltura e l’alimentazione
ToscanaL.R. del 16 novembre 2004, n. 64Tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale
UmbriaL.R. del 4 settembre 2001, n. 25Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario
fonti: www.gazzettaufficiale.it

Ma qual è il motivo di far parte della Rete? Uno dei più importanti viene individuato nella possibilità di far circolare le risorse genetiche tra i membri della Rete: gli agricoltori e i CCES. Così recita il DM: “Al fine di garantire un uso durevole delle risorse genetiche tra i soggetti aderenti alla Rete è consentita la circolazione, senza scopo di lucro e nell’ambito locale di riferimento della risorsa genetica, di una modica quantità di materiale di riproduzione […]. Il Ministero, su proposta del Comitato permanente per la biodiversità di interesse agricolo e alimentare, definisce la modica quantità di materiale di riproduzione e propagazione di risorse genetiche vegetali, con riferimento alla singola specie, intesa come la quantità necessaria a mantenere l’interesse per le varietà locali a rischio di estinzione o di erosione genetica iscritte nell’Anagrafe nazionale e far conoscere e valorizzare le caratteristiche culturali di quest’ultime. Con successivo decreto del Direttore Generale dello sviluppo rurale si provvederà a definire le modiche quantità”. 

Nasce, però, spontanea una domanda: se stiamo parlando di risorse genetiche in pubblico dominio conservate ex-situ da soggetti statali la norma di riferimento per l’accesso è il Trattato FAO, che bisogno c’è di mettere in piedi un simile castello di carte? Le risorse, cioè, dovrebbero essere disponibili previa firma dell’Accordo Standard di Trasferimento Materiale previsto dal Trattato, in quanto facenti parti del sistema multilaterale. Inoltre, se sono passati 5 anni prima di avere le modalità operative della Rete, quanti ne dovranno passare per avere il decreto che stabilisce le modiche quantità per ogni specie e quindi, infine, vedere l’operatività della circolazione?

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Tavola pomologica di varietà rare e antiche del Vivaio Belfiore in esposizione a LiberaSemina, Firenze, 28 aprile 2019 _ foto R. Bocci

E per un agricoltore quale potrebbe essere il vantaggio di diventare “custode” secondo la legge 194? Per rispondere prendiamo spunto da quanto scritto dalla Regione Toscana nel rapporto “Tutela e valorizzazione dell’agrobiodiversità vegetale e animale in Toscana: analisi e indicazioni di policy”, pubblicato nel 2019, dove si individuano i seguenti punti: “i) riconoscimento a livello nazionale del ruolo di “custode” dell’agrobiodiversità in un determinato territorio; ii) possibilità di utilizzo di un marchio nazionale di “Agricoltore Custode” o “Allevatore Custode”, di gestione del MiPAAF; iii) una possibile facilitazione per la partecipazione ai premi e ai contributi delle misure dei PSR in materia di risorse genetiche; iv) una possibile facilitazione per la partecipazione a progetti regionali, nazionali e europei sulla tutela dell’agrobiodiversità; v) il riconoscimento di Agricoltore o di Allevatore custode nel sistema nazionale non ha nessun costo”. Come si vede manca una forte attrattiva economica o sociale, e la gratuità non deve trarre in inganno: tutte le risorse pubbliche necessarie per far funzionare il meccanismo burocratico sono risorse mancate per azioni concrete di sviluppo rurale. Alla fine, la motivazione maggiore può venire dal fatto di accedere alle misure specifiche del PSR che finanziano gli agricoltori custodi, o, in futuro, dal fatto che solo questi agricoltori potranno avere accesso a deroghe specifiche all’uso di varietà locali per ricevere finanziamenti su altre misure, come il biologico e l’integrato, o essere autorizzati a scrivere il nome della varietà coltivata nell’etichetta del prodotto. 

Rispetto a quelli che vengono definiti Centri di Conservazione ex-situ (CCES), la procedura prevista si configura come un ulteriore appesantimento burocratico a loro carico, aggiungendo un livello di controllo senza costruire un sistema unitario tra le banche del MiPAAF e quelle del MIUR: tutte dovranno essere “verificate” anche dalle Regioni, secondo le indicazioni contenute nell’allegato 3 del DM 10400/2018. Resta poco chiaro cosa ci possano guadagnare in termini di efficacia e riduzione delle duplicazioni.

Sul tema commercializzazione delle sementi il testo di legge (art. 11) va a modificare il famoso art. 19-bis della normativa sementiera (1096/1971 e successive modifiche) inserendo il seguente capoverso: “nonché il diritto al libero scambio all’interno della Rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”.

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Figura 1: L’impianto della legge 194
Articolo 19/bisModifica dell’articolo 19 / bis secondo l’articolo 11 della legge 194/2014
Ai produttori agricoli, residenti nei luoghi dove le “varietà da conservazione” iscritte nel registro di cui al comma 1 hanno evoluto le loro proprietà caratteristiche o che provvedano al loro recupero e mantenimento, è riconosciuto il diritto alla vendita diretta in ambito locale di modiche quantità di sementi o materiali da propagazione relativi a tali varietà, qualora prodotti nella azienda agricola condotta.Agli agricoltori che producono le varietà di sementi iscritte nel registro nazionale delle varietà da conservazione, nei luoghi dove tali varietà hanno evoluto le loro proprietà caratteristiche, sono riconosciuti il diritto alla vendita diretta e in ambito locale di sementi o di materiali di propagazione relativi a tali varietà e prodotti in azienda, nonché il diritto al libero scambio all’interno della Rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare, secondo le disposizioni del decreto legislativo 29 ottobre 2009, n. 149, e del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 267, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia fitosanitaria.

Affermare che lo scambio di varietà da conservazione diventi legittimo solo tra chi fa parte della Rete, è in contraddizione con le procedure di accesso alle RGV definite dal Trattato, in quanto ogni agricoltore ha diritto ad accedere a risorse in dominio pubblico conservate da strutture pubbliche. E lo scambio tra agricoltori e/o privati per fini di ricerca, sperimentazione e conservazione della biodiversità, non rientrando nella normativa sementiera, non può essere limitato dalla legge 194. In questo caso la legge va semplicemente a complicare la materia senza rendere più facile lo scambio.

Vedendo le procedure previste e i sistemi di controllo emerge chiaramente che tutto l’impianto della legge riprende quello della normativa sementiera (iscrizione, anagrafe, commissioni scientifiche), senza però avere una giustificazione economica o legale per dover reggere una simile burocrazia. Dall’altra parte, dimentica completamente uno degli obiettivi del Trattato: l’uso sostenibile della biodiversità agricola e quindi il sostegno, tramite politiche pubbliche, ad azioni che promuovano la diversificazione dei sistemi agricoli, l’allargamento della base genetica delle varietà coltivate, lo sviluppo di sistemi sementieri basati sulla diversità e la ricerca partecipata. La legge, al contrario, focalizza tutti i suoi sforzi solo sulla conservazione delle risorse genetiche autoctone a rischio di estinzione. 

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Figura 2: Le attività della Gestione Comunitaria dell’Agrobiodiversità

Dalla conservazione alla gestione dinamica

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Visita al Collettivo Semeurs du Lodèvois-Larzac, socio di RSP, progetto APRENTISEM Erasmus+, 5 novembre 2019 – Larzac, Francia

Un’ultima considerazione riguarda l’approccio alla conservazione della biodiversità che emerge dalla lettura della legge. La società civile è completamente assente dal paesaggio, a parte la possibilità data dall’entrare a far parte di quelle che vengono definite per legge come Comunità del cibo. Nel quadro dipinto dalla legge si vede un esercito di agricoltori custodi in solitudine pagati e/o controllati dai vari organi statali per la loro azione di conservazione. Negli ultimi anni questa visione statica, museale della diversità agricola è stata ampiamente superata per andare verso una gestione dinamica della diversità dentro le aziende agricole, con un ruolo chiave svolto da strutture sociali aggregative. Le comunità̀, e in generale gli aspetti e le norme sociali, infatti, svolgono un ruolo importante nella creazione e nella formazione dei sistemi sementieri a livello locale, ruolo che dovrebbe essere riconosciuto anche dai decisori politici e dalla comunità̀ scientifica.  La diversità̀ non è solo il risultato di una varietà̀ (più o meno eterogenea) in un dato ambiente ma anche delle sue interazioni con gli aspetti sociali considerati in senso lato, ad esempio l’organizzazione sociale della comunità̀ e le preferenze sociali riguardo al cibo. Proprio per questo il progetto di ricerca europeo DIVERSIFOOD (www.diversifood.eu) ha proposto di usare il concetto di Gestione Comunitaria dell’Agrobiodiversità, prendendolo a prestito da studi e analisi fatti nei paesi del sud del mondo. L’obiettivo principale di questo approccio è mostrare come il sostegno alle organizzazioni comunitarie e il rafforzamento delle loro capacità sia fondamentale per raggiungere l’uso sostenibile delle RGV, uno degli obblighi, ricordiamolo, del Trattato FAO. Come mostra la figura 2, questo approccio può̀ includere varie attività̀ e modalità̀ di gestione della diversità̀: case delle sementi, progetti partecipativi e decentralizzati di miglioramento genetico, aziende e cooperative di sementi locali, conservazione delle varietà locali, fiere ed eventi di scambio delle sementi.  La diversità, così, riacquista un valore e un ruolo sociale per diventare, se opportunamente promossa da politiche pubbliche, volano di un nuovo sviluppo rurale.

Nel 2003 su Nature un articolo dal titolo Dynamic Diversity definiva la “conservazione non come stasi: ma come mantenimento dell’eccitante, in continua evoluzione varietà della vita sulla Terra” e poneva le nostre società davanti ad una scelta drastica: “possiamo adoperarci per conservare un mondo naturale dinamico del quale siamo parte integrante oppure possiamo fallire in questa impresa e trovarci di fronte l’equivalente di una stanza bianca tappezzata delle fotografie delle specie e  degli habitat con i quali condividevamo il pianeta”. L’autrice, Sandra Knapp, ricercatrice del Museo di Storia Naturale di Londra, si riferiva alla biodiversità naturale e alle sfide della CBD, ma il rischio lo stiamo correndo anche per la diversità agricola.  

di Riccardo Bocci

Notiziaro 22

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