Valorizzazione economica delle popolazioni evolutive in Toscana
di Claudio Pozzi – Rete Semi Rurali
L’occasione è scaturita dai Progetti Europei per l’Innovazione che, attraverso le misure 16.1 e 16.2 del PSR, ci hanno permesso di costituire il Gruppo Operativo “Cereali Resilienti” in Toscana nel 2017 e di sostenerne le attività fino ad oggi.
Il lavoro di diffusione e studio della popolazione evolutiva di frumento tenero arrivata in Italia nel 2010 dall’Istituto Icarda di Aleppo – grazie al progetto SOLIBAM – era in fase avanzata e c’erano tutti i presupposti per consolidarne la diffusione sul territorio toscano.
L’idea iniziale nell’introdurre la popolazione era di dotare gli agricoltori di autonomia selezionando al suo interno piante ben adattate ai diversi contesti pedoclimatico e ai metodi di coltivazione. Ben presto è diventato chiaro che quella “banca del seme” poteva essere preziosa di per sé come oggetto di coltivazione in pieno campo e di successiva trasformazione. L’incommensurabile diversità genetica evoluta nel tempo può infatti garantire agli agricoltori un miglioramento e, cosa ancor più interessante, una stabilizzazione delle rese rispetto a quanto osservato nella coltivazione delle varietà locali in purezza o in miscuglio.
L’idea di Cereali Resilienti era di confermare la sostanziale differenza della popolazione adattata in Sicilia rispetto a quella adattata in Toscana e verificare se vi fosse la stessa capacità di adattamento ad ambienti differenti di un territorio più limitato come quello toscano.
La Azienda agricola Floriddia di Peccioli aveva nel frattempo acquisito le competenze e la strumentazione per poter produrre e vendere semente ad altri agricoltori utilizzando la deroga concessa in via sperimentale dalla Commissione Europea. La disponibilità di semente era all’inizio ridotta ma è stato comunque possibile, una volta individuati gli areali climatici principali, scegliere quattro “aziende madri” – una per ogni areale – che facessero ognuna da riferimento per almeno altre quattro aziende “figlie”.
Oggi che il percorso di adattamento nei quattro areali regionali è a buon punto e che siamo in grado di monitorarne gli effetti da un punto di vista agronomico e nutraceutico (attraverso esami di laboratorio), la terza fase del progetto ci porta a indagare il gradimento dei prodotti e l’approccio comunicativo da adottare per una buona comprensione del processo agro-ecologico che sottende al progetto stesso. Se l’idea è quella di costruire comunità intorno al seme è infatti necessario che la comunità locale possa comprendere appieno i vantaggi che derivano dalla trasformazione delle pratiche colturali e delle relazioni fra i soggetti che sono protagonisti della filiera dal seme al cibo.
Il lavoro in atto negli incontri locali, incentrato sulla degustazione dei prodotti da popolazione evolutiva, paragonati a prodotti di buona qualità ma da farine convenzionali, porta a coinvolgere i presenti sia nella valutazione del gradimento che nella partecipazione critica e propositiva al linguaggio comunicativo. È questo l’aspetto su cui si incontrano maggiori difficoltà. Trovare soluzioni non banali, che colpiscano la curiosità e stimolino l’attenzione del pubblico senza scadere in un approccio da slogan pubblicitario non è affatto semplice.
Numerose sono state le ore trascorse a cercare soluzioni che ci appaiono brillanti e sofisticate per poi essere rapidamente demolite alla prima uscita pubblica. È un percorso stimolante, funzionale al consolidamento del rapporto di fiducia fra gli attori della filiera, oggi chiamati a esprimersi su contenuti e forme della comunicazione che riguardano non solo un prodotto ma l’intero processo.
La scelta di un logo, il progetto di un’etichetta, divengono momenti di crescita della comunità che si riconosce nel valore della partecipazione e percepisce la centralità della relazione come momento di garanzia per una consapevole transizione verso nuovi modelli di gestione del benessere comune.