Il lato oscuro della proprietà intellettuale sui semi

Set 1, 2020 | Collaborazioni redazionali

Anche in Italia le ditte vanno a caccia degli agricoltori “fuorilegge”. Per sfuggire alla morsa occorrono sistemi nuovi, fuori dai monopoli della filiera industriale.

di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 229 – Settembre 2020

A novembre 2019 un agricoltore di Vittoria in Sicilia è entrato di diritto nella storia delle battaglie legali sulle sementi. Il giudice del tribunale di Ragusa l’ha condannato a un anno di carcere con la condizionale, al pagamento di 15mila euro di multa e al risarcimento di 70mila euro per danni patrimoniali oltre alle spese processuali. Oggetto della causa è la coltivazione nella sua azienda di un pomodoro di proprietà della Syngenta Crop Protection, senza avere acquistato legalmente il seme di detta varietà. Sembra una pena spropositata a fronte del crimine commesso ma la proprietà intellettuale non lascia scampo e in questo caso era necessario dare un segnale forte per colpire i molti che utilizzano questi sistemi abusivi di commercializzazione delle piantine.

Infatti nella zona del ragusano circa il 30% delle coltivazioni di pomodoro è fatta in maniera illegale eludendo il riconoscimento della proprietà intellettuale sulle sementi, come prontamente denuncia il sito della società che ha citato in causa l’agricoltore (una ditta privata olandese denominata Ufficio per la lotta alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale sul materiale vegetale dal cui sito è possibile fare denunce anonime di agricoltori supposti truffaldini, aib-seeds.com). Ovviamente non stiamo parlando di agricoltura familiare o di piccola scala ma del cuore pulsante della produzione industriale di pomodoro, filiera dove la ricchezza si trova a monte e a valle della produzione ma ne resta veramente poca a chi lavora la terra.

15.000: un contadino di Ragusa è stato condannato al pagamento di una multa da 15mila euro per avere coltivato nella sua azienda un pomodoro senza avere acquistato legalmente il seme della varietà dall’azienda produttrice

Questa sentenza è la cartina di tornasole di un mondo che ha perso il suo legame con la terra e non ha vergogna nell’applicare una pena così enorme perché ha scisso per sempre la relazione simbolica tra gli agricoltori del passato e quelli di oggi. Le battaglie sulle sementi, infatti, sono spesso state combattute tra ditte sementiere senza coinvolgere gli agricoltori. L’avvento degli Ogm e delle biotecnologie negli anni 90 ha cambiato le carte in tavola ma ancora in Italia non avevamo visto il lato oscuro della proprietà intellettuale in azione. Mi spiego: valeva una specie di codice non scritto per cui se la ricerca, pubblica e privata, ha usato come materia prima le sementi prodotte dagli agricoltori nel corso della storia senza alcuna ricompensa, allora gli agricoltori di oggi dovrebbero avere una sorta di riconoscimento di questo debito morale. Questo è uno dei motivi per cui le varietà moderne non sono protette da un vero e proprio brevetto industriale ma da un sistema più “leggero” chiamato privativa vegetale.

La sentenza ci indica, inoltre, dove sta andando la nostra agricoltura: anche nei settori di punta i margini sono così stretti che si fa fatica a rispettare i sempre più rigidi e costosi sistemi di proprietà intellettuale. L’innovazione varietale privatizzata costa troppo rispetto al sistema produttivo e per far rispettare le regole le ditte sementiere ricorrono a società di consulenza specializzate nel controllo della proprietà intellettuale (oltre all’Aib citata prima, ricordiamo anche la francese Sicasov, sicasov.com) per scovare e punire gli agricoltori fuorilegge. Uno scenario inquietante. Per scappare a questa morsa agli agricoltori non resta altro che costruire nuovi sistemi sementieri reinventando la ricerca varietale per dar vita ad altri modelli agricoli disconnessi dai monopoli della filiera industriale. Solo che da soli non possono farcela, hanno bisogno del supporto consapevole di noi cittadini.

credits ALTRECONOMIA

https://altreconomia.it

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