Un chicco di riso pieno di storia: Mario Maratelli, un agricoltore appassionato e un osservatore attento
Il 20 novembre 1879 a Vercelli nacque, da genitori ignoti, Mario Maratelli, destinato a diventare un protagonista della risicoltura italiana dei primi del ‘900. Maratelli ebbe una infanzia difficile passando per tre famiglie, prima di giungere ad una adozione definitiva in una famiglia nel paese di Avigliano Vercellese. Dopo le scuole, decise di aiutare lo zio nei lavori agricoli e, con la morte della madre, il giovane si trovò proprietario di alcuni terreni.
Fra il XIX e il XX secolo la risicoltura italiana manifestò una vivacità eccezionale e si espanse notevolmente ma, a causa della presenza di una infezione fungina (brusone), furono introdotte in Italia nuove varietà di riso indiano, giapponese e cinese, per provarne la resistenza. Nei primi anni del XX secolo fece la sua comparsa il riso “Chinese Originario” apprezzato per la ridotta taglia e per la sua elevata resistenza al brusone. E fu proprio in un campo di riso “Chinese originario” che Maratelli, nell’agosto del 1914, osservò una pianta molto diversa dalle altre. Complice una mutazione naturale, una pianta di riso presentava una maggior quantità di chicchi, spighe più lunghe di colore più intenso e, soprattutto, si presentava già matura per la raccolta. La Grande Guerra interruppe i progetti dell’agricoltore piemontese che, sopravvissuto al conflitto, si sposò e con i quattro figli, nel 1923, acquistò una cascina più grande per poter sostenere la famiglia.
Agricoltore attivo e attento alla comunità locale, Maratelli diventò un punto di riferimento per gli agricoltori della zona. La sua generosità divenne nota e, con l’aiuto della moglie, trasformò la cascina in un luogo ospitale, un centro di incontro per tutta la comunità. Con lo spirito dello “sperimentatore pratico”, Maratelli. fin dal 1914 continuò a seminare quel riso che aveva osservato alcuni anni prima, con ottimi risultati tanto che anche altri agricoltori ne iniziarono la coltivazione.
Nel 1921 la varietà fu finalmente iscritta nel Registro Nazionale diventando, in poco tempo, molto importante: nel 1938 il Maratelli rappresentava una parte importante della superficie italiana coltivata a riso, con produzioni medie di quasi 60 q/ha. Mario Maratelli per la sua coltivazione fu premiato nel 1923 con la Medaglia d’Oro al Concorso nazionale di Selezione sementi dalla Regia Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli. I riconoscimenti continuarono negli anni successivi: nel 1930 ebbe il Diploma di Gran Merito e un premio di £. 2.000 dalla Cattedra Provinciale di Agricoltura; nell’anno 1933 fu insignito del diploma di Terza Classe al Merito Rurale e, nel 1952, fu nominato Cavaliere della Repubblica. Maratelli morì il 20 aprile 1955.
Perfetta per minestre, risotti e per la panissa piemontese questa varietà di riso fu protagonista, fino agli anni ’70, nelle tavole degli italiani. In quegli anni però manifestò tutta la sua sensibilità agli antiparassitari. Soppiantato da altre varietà più adatte alla moderna risicoltura, il Maratelli ha rischiato di scomparire fino a che Slow food, e poi un’ Associazione locale, hanno provveduto a valorizzare l’opera e la figura di Maratelli. Dal 2015, la ditta Maratelli, erede dell’azienda agricola di Asigliano Vercellese, è ritornata ad essere la custode in purezza del seme.
La figura di Maratelli non ci racconta la storia di un grande scienziato ma quella di un attento osservatore, di un agricoltore appassionato che ha messo a disposizione di quella comunità, che lo aveva accolto da orfano, la scoperta di un riso dalle qualità eccezionali.
La biologa americana scomparsa dieci anni fa ha formulato la teoria della simbiogenesi. Storia di una eretica un po’ hippy che ha rivoluzionato la biologia evoluzionistica
Per avere un saggio del carattere di una persona, a volte bastano le parole che sceglie. Quando nel 1994 le chiesero un capitolo per un libro divulgativo, lei lo intitolò “Gaia è un osso duro”. O così è stato tradotto. L’originale era meno politicamente corretto: “Gaia is a Tough Bitch”… Non aveva peli sulla lingua Lynn Margulis, la biologa americana che Richard Dawkins, l’autore de Il gene egoista e suo acerrimo nemico, definiva “apostola della simbiogenesi”. Proprio tra questi due termini, ‘Gaia’ e ‘simbiogenesi’, si è sviluppata la sua carriera scientifica eterodossa, rivoluzionaria e un po’ hippy.
Nata a Chicago in una famiglia ebraica, Lynn Petra Alexander (questo il nome da nubile) si appassiona presto alla biologia, in particolare allo studio degli organismi unicellulari. Termina gli studi proprio mentre si sta consolidando la cosiddetta nuova sintesi darwiniana, ovvero un aggiornamento della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin alla luce delle nuove scoperte, il DNA e la genetica.
A partire dalle sue ricerche, che Margulis ricorda per tutta la vita essere rimaste sempre all’interno di una visione evoluzionista, comincia a farsi avanti un’idea originale. La teoria di Darwin sostiene che sono le mutazioni causali a favorire o meno gli esseri: è la selezione naturale a determinare chi sopravvive e ha prole, e chi invece no. Margulis comincia a pensare che per la formazione di nuovi organi, tessuti, comportamenti o metabolismi possa avere un ruolo un altro meccanismo: la simbiosi. Con i suoi studi riesce a dimostrare che non è solamente un’idea eretica: alcuni degli organelli delle cellule eucariotiche di oggi erano un tempo degli organismi indipendenti che sono stati inglobati in una nuova forma di vita simbiotica.
Margulis arriva a ipotizzare che sia proprio la simbiogenesi, il meccanismo da lei descritto, a essere il vero motore dell’evoluzione e non, come sostengono Dawkins e gli altri neo-darwinisti, la selezione naturale, che al massimo sfavorisce alcuni tratti, ma non ha la forza di determinarne di nuovi. I suoi avversari la accusano di non credere alle evidenze della scienza e che la sua sia solamente una fede, da apostola appunto. Oggi, dopo che Margulis è stata sempre impegnata a difendere le proprie idee, la simbiogenesi è dimostrata in diverse specie animali e vegetali, e la si insegna in qualsiasi corso di laurea in biologia del mondo.
Dallo studio dell’evoluzione della vita e dalla sua grande passione per conoscere culture diverse nasce anche la sua adesione all’ipotesi di Gaia formulata da James Lovelock. L’idea è in sé abbastanza semplice: la Terra nel suo insieme di flora, fauna e sistemi naturali si può considerare complessivamente un essere vivente essa stessa. Gaia è quindi un sistema complesso, come lo sono i viventi, che reagisce alle perturbazioni cercando di mantenere un equilibrio che permetta di sopravvivere. Mantenere senza alterare questo equilibrio è il compito che ha l’uomo, perché non è dominatore della Terra, ma solamente parte di un condominio che deve essere tutto in salute per permettere anche la sua sopravvivenza come specie. Greg Hinkle, un ex studente di Margulis, ha riassunto l’ipotesi Gaia mostrando quanto sia in armonia con l’idea della simbiogenesi: “Gaia è semplicemente la simbiosi vista dallo spazio”. Accanto alle sue ricerche, Margulis ha avuto anche un’altra grande passione, quella per l’insegnamento. Sono moltissimi gli studenti che ha formato nel corso dei 22 anni di corsi alla Boston University e che hanno contribuito a diffondere le sue idee nelle università di mezzo mondo.
di Marco Boscolo
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