Progetto Riso Resiliente

Progetto Riso Resiliente

L’Italia è il più importante produttore di riso in Europa. È la quarta coltura più coltivata nel paese con circa 220 mila ha.

La produzione è localizzata principalmente nelle aree agricole intensive e fertili della Pianura Padana ma si sta espandendo in areali in cui la coltura era stata nel tempo abbandonata. Nelle zone vocate il riso viene gestito come monocoltura che induce rilevanti problemi ambientali. L’Italia continua ad avere più di 200 varietà di riso registrate nel catalogo varietale nazionale. 132 di queste sono moltiplicate e commercializzate come sementi. Negli ultimi anni il 70% della produzione è rappresentato da sole 20 varietà. In questo scenario hanno giocato un ruolo importante le tecnologie di selezione varietale legate alla resistenza agli erbi- cidi (©Clearfield e ©Provisia, vedi box p. 11), che hanno di fatto concentrato il mercato del sistema sementiero. Parallelamente a questa dinamica, negli ultimi decenni si è assistito ad una rilevante estensione della produzione di riso biologico. Il fenomeno è guidato da pochi agricoltori che hanno saputo innovare le tecniche agronomiche senza grande supporto istituzionale, soprattutto per ciò che riguarda il contenimento delle infestanti. La superficie a riso biologico nel 2019 è così stimata in 16,5 mila ettari. L’innovazione agronomica non è stata sufficientemente accompagnata da quella varietale.

In questa contraddizione si inserisce il progetto “Riso Resiliente” (2018- 2022), che sta sperimentando alcune soluzioni per sviluppare varietà adatte al biologico, coerenti alle differenti e molteplici soluzioni agronomiche di campo. Il processo di ricerca partecipativa, che ha coinvolto 7 aziende e più di 200 risicoltori, si propone di identificare le varietà di riso più adatte alla coltivazione biologica e biodinamica con lo scopo di facilitare la transizione dei sistemi risicoli convenzionali.

L’obiettivo a lungo termine è quello di risolvere le questioni più critiche e urgenti dei sistemi risicoli e di quelli naturali e di paesaggio in cui sono inseriti: la scarsità d’acqua, la salinizzazione del suolo, la presenza di nuove comunità di infestanti, la coesistenza con molti animali in habitat umido, la perdita di biodiversità e l’emissione di gas serra. Il progetto ha indagato il valore di resa nelle interazioni genotipo x località e genotipo x tecnica agronomica utilizzata per il contenimento delle infestanti. I risultati hanno permesso di identificare alcune promettenti combinazioni agronomiche/varietali che possono aumentare la stabilità delle rese nel tempo e rafforzano nel loro complesso l’importanza dell’adattamento specifico anche per le scelte varietali nel riso. L’azione ha voluto contemporaneamente introdurre gli stessi risicoltori biologici allo studio dei possibili vantaggi derivanti dall’utilizzo di miscele varietali, rispettivamente costituite da 20 varietà appartenenti alla classe “lunghi B”, 14 varietà di “Medi” e 8 di “Tondi”, con lo scopo di appurare se miscele e materiali eterogenei possa- no presentare gli stessi vantaggi sul contenimento delle infestanti, sull’uso dei nutrienti e mitigazione dei patogeni riscontrati sull’utilizzo delle altre specie, in cooperazione con la conoscenza degli agricoltori dei loro agroecosistemi.

Il progetto “Riso Resiliente” è sostenuto dalla Fondazione Cariplo e si concluderà a fine 2022.

Un video introduttivo si trova qui:

Storia delle varietà risicole

Storia delle varietà risicole

L’evoluzione varietale del Riso in Italia è stata condizionata da cinque elementi che hanno promosso la diversificazione di questa specie a partire da metà del XIX secolo: l’adattamento agli ambienti, l’incremento delle rese, la resistenza al brusone, la meccanizzazione della raccolta, il cambiamento dei regimi alimentari.

La prima menzione della presenza del riso in Italia la dobbiamo all’agronomo bolognese Crescenzio che ne scrive nel 1301, descrivendola come una coltura di zone umide, diffusa principalmente negli estuari dei fiumi delle coste italiane e commercializzata per le sue virtù salutistiche soprattutto dagli “speziali” come medicina e in cucina per il “bianco mangiare”. La grande diffusione di questa coltura si riconduce alle iniziative di bonifica del ‘500 volute dagli Sforza nel nord Italia. Il diffondersi della sua coltivazione venne favorita dalla crescita degli scambi commerciali (sia in Italia che in Europa e nel mondo) e in poco tempo raggiunse i 20 mila ettari nell’area piemontese-lombarda.

Nella metà del XVII secolo all’interno dei manuali di coltivazione troviamo i primi tentativi di descrivere le famiglie varietali coltivate. Bordiga (1880) differenzia tra “Nostrali” (presumibilmente materiali autoctoni adattati lungo i secoli) da altre varietà identificate dalla sua origine quali: la “Giavanese” il “riso Spagnuolo a scorza bianca” i risi “Giapponesi Aristati”, riso Peruviano, riso Francone, riso Catalano a scorza nera, riso Giapponese Binjuanquin, riso Giapponese Anangi, riso Bertone o Chinese. Tale repertorio testimonia l’esistenza di una intensa rete di scambi volta alla ricerca di alternative a varietà locali che in quei decenni erano soggette a continue epidemie di brusone o carbonchio (Pyricularia O.), condizione che comprometteva le rese. Nel 1919 Pinolini, nel suo trattato sulla coltivazione del riso, riportava 30 famiglie varietali, classificate in funzione dell’aspetto fenotipico (aristato, non aristato, nero, rosso, piccolo), dell’origine presunta (indiano, americano, sumatra, novara), della lunghezza del ciclo (precoce, tardivo) dalle caratteristiche organolettiche (odoroso, glutinoso).

Dal punto di vista pratico questa complicata tassonomia si riduce a 10 varietà coltivate in maniera maggioritaria: riso Nostrale o Nostrano, riso Novarese, riso Francone, riso Franconino, riso Mezza Resta, riso Ostiglia, riso Dorato, riso “Redaelli”, riso Aresta rossa, riso Spagnuolo, riso Catalana, riso Bertone,“i” risi giapponesi e riso Ranghino. Alcuni di questi sono oggi ancora coltivati come varietà da conservazione. Le prime decadi del 1900 sono state un periodo pionieristico per lo sviluppo della risicoltura: la diversificazione varietale, la razionalizzazione dell’uso delle acque, l’abbondanza di manodopera ne sono stati gli elementi sostanziali. La selezione massale effettuata sul materiale locale da decine di risicoltori (ad esempio nell’area della Baraggia a Vercelli – vedasi “Note sulla diffusione del riso in Italia” Notiziario n°23 RSR) ha contribuito a questa evoluzione, accompagnando l’avvento di innovazioni tecniche del tempo quali la semina su file, la mondatura manuale e la raccolta meccanizzata in campo.

La messa a punto della tecnica di ibridazione naturale del riso, che in Italia è stata introdotta nel 1925, ha permesso la diversificazione di questo materiale eterogeneo in una moltitudine di varietà, frutto dell’incrocio artificiale di parentali caratterizzati da cicli fenotipici anche molto distanti. Ad esempio l’incrocio fra la varietà italiana Vialone Nero (adattata a climi freddi continentali) con la varietà di origine americana denominata Lady (w)Rai(gh)t, selezionata in climi piu temperati, per dare origine a Vialone Nano; molto coltivato nella regione Veronese ma che è stato selezionato presso la stazione sperimentale di Vercelli. Grazie alla ibridazione i primi costitutori hanno posto attenzione alla taglia e alla resistenza all’allettamento, alla capacità di accestimento e alla resistenza al brusone (caratterizzato dalla continua evoluzione), fino alla resa in pileria.

UN CONTRIBUTO DIMENTICATO
In questa sommaria storia del riso in Italia vogliamo ricordare quella in- distinta ma fondamentale massa di braccianti che hanno reso possibile attraverso il loro lavoro il primato e la “modernizzazione” del coltivo nei primi decenni del 1900 . Delle inique condizioni di vita ne riportano già le cronache dell’epoca (1923):

“I mondatori incominciano la giornata alle 4:00 del mattino e la compiono 12 ore dopo, riposando mezzora alle 8:00 […] . Molti, spinti da guadagno, lavoravano dalle 4:00 pomeridiane al tramonto, ricevendo una metà o un terzo di più del compenso ordinario che oscilla per gli uomini fra 1,50 e 2 lire e per le donne fra 1,23 e 1.75 lire. [..]

Questi mondatori mangiano alla mattina nella pausa del pane di maiz, cruschello o risina con un po’ di cacio o di carne porcina di qualità inferio- re, a mezzodì una minestra di riso e fagiuoli conditi con lardo che si suol fare in comune per tutti i lavoratori del podere, alla sera sbocconcellano un po’ di pane con del cacio come alla mattina.”

In questo periodo la taglia veniva ridotta dai 160 cm di media dei primi del secolo ‘900 a circa 80 cm. Anche la durata del ciclo di produzione è scesa dai 170 giorni ai 135 degli anni 40 del secolo.

In questo periodo gli agricoltori hanno cominciato a preferire varietà precoci che permettevano di controllare meglio le infestanti e il riso crodo, così come la riduzione della taglia significava agevolare la gestione in campo della paglia che veniva lasciata in campo dalle prime mietitrebbie. Tra il 1925 e il 1962 il ciclo di produzione del riso medio viene ulteriormente ridotto di 5 giorni medi. Dal 1960 la selezione varietale si è concentrata sul miglioramento degli aspetti tecnologici, sulla produzione per il mercato internazionale ed infine per la resistenza ai patogeni. I gruppi varietali sono quindi ricondotti a classi merceologiche precise, che sono definite da tratti distintivi quali: dimensione della pianta, tipologia e dimensioni della cariosside (strette, affusolate o tonde), tecnologie di lavorazione. La selezione sposta l’attenzione dal campo al mercato. Vengono introdotte nuove varietà simil-indica (es. Thaibonnet), per competere sul mercato internazionale o più adatte ai processi di parboilizzazione, adeguando l’offerta al mutato stile di consumo del riso.

Nel 2002 l’Università della Louisiana mette a punto una tecnologia di mutagenesi più conosciuta come Clearfield per indurre la resistenza all’erbicida imazethapyr. Nel 2005 viene registrata una varietà selezionata con questa tecnica nel catalogo nazionale italiano. Tale evento modifica radicalmente il panorama varietale italiano in convenzionale: ad oggi le varietà selezionate con questa tecnologia coprono circa il 40% delle semine di riso in Italia.

Il processo di selezione negli ultimi decenni, volto al perseguimento di maggiore uniformità con lo scopo di coadiuvare il contenimento delle infestanti e aumentare la resa alla lavorazione, ha comportato una riduzione notevole della diversità varietale anche nel riso. Tale perdita costituisce un fattore critico, sia per facilitare la costruzione di un modello di selezione varietale dedicato ai regimi biologici (caratterizzato da estrema diversificazione di contesti e gestione agronomica) sia – più in generale – per alimentare una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, di cui la diversità delle risorse genetiche costituisce lo strumento fondamentale.

Classi merceologiche del riso commercializzato

Classi merceologiche del riso commercializzato

Le varietà di riso presenti in Italia sono da sempre molto numerose. Per questo è stato necessario stabilire una classificazione merceologica che le suddividesse in tipologie, basata principalmente sulle dimensioni del granello.

La classificazione merceologica del riso per il mercato italiano è piuttosto complessa. Si basa principalmente sulle dimensioni del granello, riferendosi anche alle principali varietà tradizionali. Inizialmente la legge n. 325/1958 stabiliva 4 classi merceologiche del riso, definite in base alle dimensioni del chicco lavorato: risi comuni, come Balilla e Selenio; risi semifini fra i quali Vialone Nano, Rosa Marchetti; risi fini, ad esempio S. Andrea, Ronaldo e risi superfini del tipo Arborio e Carnaroli. Tale classificazione non era tuttavia precisata da nessuno standard internazionale e, con la nascita della Comunità Europea e l’inizio dei commerci tra le diverse nazioni ognuna delle quali dotata di una propria normativa di riferimento, si rese necessaria una classificazione comune a tutti gli Stati. Inoltre questa classificazione poteva creare equivoci, venendo con fusa erroneamente con la qualità del prodotto da parte di un consumatore poco informato, che poteva considerare un riso comune come un riso di bassa qualità e un riso superfino con uno di qualità superiore.

Con il Regolamento (UE) n. 1308/2013 le varietà vengono classificate non solo in base alla lunghezza della cariosside ma anche in base al rapporto tra lunghezza e larghezza. La classificazione europea prevede quindi la suddivisione in:

•             riso a grani tondi o riso tondo o riso originario: lunghezza pari o inferiore a 5,2 mm e rapporto lunghezza-larghezza inferiore a 2;

•             riso a grani medi o riso medio: lunghezza superiore a 5,2 mm e pari o inferiore a 6 mm, con rapporto inferiore a 3;

•             riso a grani lunghi A o riso lungo A: lunghezza superiore a 6,0 mm e rapporto superiore a 2 e inferiore a 3;

•             riso a grani lunghi B o riso lungo B: lunghezza superiore a 6,0 mm e rapporto pari o superiore a 3.

L’attribuzione di una varietà ad una specifica classe merceologica viene effettuata attraverso l’analisi delle biometrie: 100 chicchi di riso (interi e senza difetti) vengono posti su uno scanner collegato ad uno specifico software che permette la misurazione di lunghezza e larghezza e il calcolo del loro rapporto. Con il D.Lgs. n.131/2017 viene abrogata la legge del 1958 e vengono definiti i criteri per la commercializzazione del riso in Italia (riso da interno). In questo decreto vengono definite 5 varietà tradizionali: Ribe, Arborio, Roma o Baldo, Carnaroli, Vialone nano e S. Andrea, per le quali viene definita la lunghezza e la larghezza del granello, la consistenza e il tipo di perla. Ad ognuna di queste vengono associati degli elenchi di varietà iscritte che possono essere vendute esclusivamente con il nome delle varietà tradizionali.

Per intenderci la varietà Leonidas CL è inserita nell’elenco che fa riferimento al Carnaroli per cui può essere commercializzata solo con la denominazione “Carnaroli” non col suo nome Leonidas CL. Questo significa che, quando compriamo un pacco di riso Carnaroli, potremmo trovare all’interno una delle 11 varietà che rientrano dell’elenco di riferimento. Nel caso del riso RIBE potremmo trovare una delle 42 varietà ammesse. Fa eccezione il Vialone Nano che ammette solo una varietà.

“Quando compriamo un pacco di riso Carnaroli, potremmo trovare all’interno una delle 11 varietà che rientrano dell’elenco di riferimento. Nel caso del riso RIBE potremmo trovare una delle 42 varietà ammesse.”

Ogni anno l’Ente Nazionale Risi (ENR) redige un elenco con tutte le varietà iscritte al registro varietale con una breve caratterizzazione, attribuendo a ciascuna la classe merceologica di riferimento. Queste varietà potranno essere commercializzate con il proprio nome. Nello stesso documento ENR pubblica le tabelle con le varietà che vengono afferite alle varietà tradizionali. Una volta lavorate potranno essere poste sul mercato non con la loro denominazione varietale, ma col nome della varietà tradizionale.

Il termine “Classico” abbinato al nome della varietà tradizionale (es. Carnaroli Classico) garantisce la presenza della varietà Carnaroli. Per ottenere la denominazione Classico è necessario certificare la tracciabilità attraverso l’ENR, accettando di sottoporsi ai controlli previsti e autorizzando l’inserimento della propria ragione sociale e della varietà di riso “classico” in produzione nell’albo detenuto da ENR. Per garantire la tracciabilità è necessario utilizzare seme certificato e non da reimpiego aziendale, denunciare le superfici a coltivazione, garantire la separazione del prodotto in azienda, in riseria e in magazzino e denunciare le giacenze a fine campagna. Questo passaggio ha un costo, non sempre sostenibile per i piccoli produttori, che preferiscono rinunciare alla denominazione.

IL D.Lgs 131/2017 stabilisce inoltre la possibilità di vendere miscele di diverse varietà di risi appartenenti alla stessa classe merceologica. In questo caso la denominazione di vendita non può riportare i nomi delle varietà mescolate, ma genericamente la classe merceologica che le accomuna ed eventualmente un nome di fantasia. Questo offre interessanti possibilità nell’ambito della commercializzazione di popolazioni eterogenee.

Nuova varietà di olivo sull’isola di Gorgona, F. Presti

Si chiama Bianca di Gorgona ed è la nuova varietà di olivo scoperta sull’isola di Gorgona dall’agronomo Francesco Presti in collaborazione con il CNR.

Gorgona è una piccola isola, dalla superficie di 220 ha, posta a 19 miglia dalla costa livornese che dal 1998 fa parte del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. L’Isola è un microcosmo unico, ha visto passare innumerevoli persone con le loro storie di uomini liberi, reclusi, religiosi, militari, contadini e pescatori sin da tempi remoti.

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Varietà migliorata [Bred variety]

Varietà derivata da un processo di miglioramento genetico, frutto di selezione scientificamente eseguita su una popolazione naturale o su una popolazione derivata da un incrocio. Perché si possa operare un’azione di selezione è necessario disporre di variabilità genetica.