Riassunto Lo scopo del miglioramento genetico partecipativo (Participatory Plant Breeding, PPB) è quello di coinvolgere gli agricoltori nella caratterizzazione fenotipica dei materiali in selezione e nella loro valutazione in termini di adattamento ambientale e sostenibilità. Nell’ambito del Progetto MiPAAF “Risorse Genetiche Vegetali”, il CREA Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali – sede di Bergamo, in collaborazione con Rete Semi Rurali, ha avviato la prima esperienza in Italia di PPB per il mais. Nel 2017, un set di 173 diallelici ottenuti da incroci tra varietà locali italiane e straniere è stato distribuito a 38 aziende agricole locate in 12 regioni, seguendo un disegno sperimentale a blocchi incompleti. Gli stessi genotipi sono stati seminati a Bergamo in due repliche. I risultati raccolti dagli agricoltori hanno consentito di identificare i diallelici più adatti ai diversi areali di coltivazione, materiali che sono stati riproposti nel secondo anno (2018). L’utilizzo di genotipi tradizionali di mais per questo approccio ha destato interesse in un ampio numero di aziende, che si sono rese disponibili a proseguire la sperimentazione. Un altro risultato interessante di questa collaborazione è stata l’organizzazione di incontri tecnici di formazione con gli agricoltori.
Abstract Participatory Plant Breeding (PPB) aims to involve farmers in the selected materials’ phenotypic characterisation and in their evaluation of environmental adaptability and sustainability. In the framework of the Project “Plant Genetic Resources”, funded by the Ministry of Agriculture, CREA Research Center for Cereal and Industrial Crops (Bergamo), in collaboration with Rete Semi Rurali (RSR), launched the first maize PPB experience in Italy. In 2017 a set of 173 populations derived from crosses among 25 Italian and foreign landraces was sown in 38 organic and low-input small farms located in 12 regions, following an alpha design with incomplete blocks. The same genotypes were sown in Bergamo using a row-column design in two replications. The results collected by farmers allowed the identification of the most adapted materials for each environment, which were grown in the second year (2018). Using traditional genotypes for this breeding approach raised a large interest among many farmers, who decided to continue to grow them. Another interesting output of this collaboration was the organization of technical and educational meetings with the farmers
Lingue: audio originali con sottotitoli in italiano e inglese
Agricoltori, scienziati, panificatori e trasformatori, comunità locali, consumatori esigenti: protagonisti di un movimento che ha abbracciato una grande sfida, quella di cambiare la pratica agricola. Facendo ricerca e innovazione a partire dalla valorizzazione delle conoscenze preziose di chi da sempre lavora la terra e ne trasforma i prodotti.
Negli ultimi anni, molti agricoltori e agronomi stanno riportando in campo varietà locali di cereali che stavano sparendo per lasciare spazio a poche varietà commerciali, tutte uguali, omogenee, uniformi, adatte soprattutto alle trasformazioni industriali su larga scala.
Le varietà locali, al contrario, sono diverse, selezionate nei secoli in diversi climi e adatte ai diversi suoli e usi alimentari. Oggi il loro recupero e poi la selezione in campo, fatta insieme da chi ha esperienza di coltivazione e da chi sa analizzarle da un punto di vista genetico e chimico, apre la porta a una ampia diversità di prodotti e di nuove filiere locali.
Consumatori, ricercatori e produttori, uniti in reti locali e internazionali, recuperano i valori culturali di produzioni di alta qualità e valore nutrizionale adatte ai diversi territori e non indistintamente uguali in ogni angolo del mondo. Le reti rurali difendono il ruolo degli agricoltori come protagonisti indiscussi della produzione alimentare e promuovono una maggiore attenzione da parte di tutti nei confronti del valore dei cibo e della biodiversità agroalimentare come chiave di sviluppo, di resilienza alle crisi climatiche, di crescita sociale e culturale e di gestione sostenibile del territorio.
Il documentario “Cereali – rinascimento in campo” racconta le nuove filiere, dalla semina ai prodotti finali, attraverso le parole, i racconti, le emozioni di cinque protagonisti chiave: agricoltori, ricercatori e produttori. Attorno a loro e con loro, le comunità e le reti che mettono in campo la passione di chi è convinto che l’agricoltura non debba e non possa essere trasformata in una catena di produzione industriale. Di chi sa che la diversità agricola è la chiave per tenere insieme le culture e le colture, le comunità e i territori, l’ambiente e la salute, la tradizione e l’innovazione.
La lenticchia è la protagonista di una ricerca sull’agro-biodiversità intraspecifica che dal due anni si sta realizzando sui campi della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Tradizionalmente coltivata in Italia, negli ultimi 50 anni la lenticchia ha conosciuto un generale decremento sia delle superfici coltivate che per l’alimentazione umana. Recentemente si sta osservando un aumento dei consumi a livello nazionale, ma questo non è bastato per invertire le tendenze di produzione, tanto che l’Italia importa ogni anno il 98% del suo fabbisogno.
Questa specie, insieme ad altri legumi minori, è molto interessante per diverse ragioni. Da un punto di vista nutrizionale è ricca in proteine ed elementi nutritivi, tra cui ferro e zinco, e il suo profilo amminoacidico è complementare a quello dei cereali. Da un punto di vista agronomico è una coltura che ha una bassa capacità di competere con le infestanti, tuttavia presenta esigenze ridotte in virtù della sua capacità azotofissatrice che la rende una perfetta candidata nella rotazione con colture quali il frumento. Questo ultimo aspetto ha una rilevanza determinante per l’agricoltura biologica in cui la rotazione è pratica imprescindibile per il mantenimento di una buona fertilità del terreno e per il controllo di infestanti e malattie. Inoltre, appare sempre più evidente come un altro compito dell’agricoltura biologica sia quello di promuovere la diversità sia nei campi che in tavola, andando a riscoprire colture e prodotti abbandonati nel periodo della “modernizzazione” agricola ma cruciali alleati per la salute.
È in questo contesto che, insieme ai miei colleghi della Scuola Superiore Sant’Anna e a molti sostenitori che mi hanno aiutata e mi aiutano in questo progetto, dal 2018 studio le differenze tra diverse varietà ed ecotipi di lenticchia nel tentativo di divulgare l’importanza dell’identità genetica di questa coltura.
Questa sperimentazione rientra all’interno del progetto LEGVALUE che è finanziato dall’Unione europea e si occupa di valorizzare le leguminose da granella in diversi paesi europei grazie a programmi di ricerca non solo di tipo genetico e agronomico, ma anche di tipo economico studiandone il mercato ed il loro utilizzo.
La ricerca che sto conducendo è partita dalla valutazione delle potenzialità colturali di un centinaio di varietà locali italiane di lenticchia – tra cui la lenticchia di Calasetta, di Villalba, di Ventotene, di Ustica, di Linosa, di Pantelleria, di Onano, di Viggiano, di Castelluccio – reperite presso agricoltori sparsi sulla penisola, grazie anche all’intervento della Casa delle Sementi di Rete Semi Rurali, e presso alcune banche del seme tra cui CNR di Bari, IPK, ARSIAL, Università di Perugia, Università di Palermo. Il lavoro di studio degli ecotipi italiani è iniziato con una caratterizzazione fenotipica, volta a classificare il materiale in base ad alcuni aspetti quali la grandezza del seme (microsperma ovvero a seme piccolo e macrosperma ovvero a seme grande), l’altezza della pianta, la tendenza ad allettare, la produttività in granella, la quantità di biomassa della pianta, la sensibilità ai patogeni e il contenuto in azoto. Questa caratterizzazione è stata poi accompagnata da una valutazione partecipata di agricoltori, tecnici e studenti per raccogliere le diverse impressioni e valutazioni sulla collezione in campo e suggerire linee di ricerca specifiche con un’attenzione anche alla commercializzazione. Si prevede di concludere il lavoro di caratterizzazione con un’analisi genetica del materiale per poter comprendere più a fondo la natura delle differenze fenotipiche e quindi la loro riproducibilità, oltre che individuare le parentele e le similitudini delle moltissime varietà locali che si coltivano su piccole superfici.
Giornata di valutazione in campo delle parcelle di varietà italiane di lenticchia, Scuola Superiore Sant’Anna, San Piero a Grado, 4 luglio 2019 # E. Lorenzetti/SSSA
Un altro filone fondamentale di questa ricerca è la valutazione della risposta della lenticchia alla tecnica colturale della miscela varietale. Le varietà locali italiane che stiamo studiando e caratterizzando saranno oggetto di un ulteriore esperimento per osservarle non più come coltura pura, bensì come miscugli e provare a capire se migliorano le loro performance quando sono mischiate insieme nello stesso campo. Il prossimo anno, quando il materiale sarà in quantità sufficiente, costituiremo diversi tipi di miscele scegliendo le lenticchie in base alle loro caratteristiche morfologiche (microsperme e macrosperme, precocità e tardività, ecc..), ai punteggi ricevuti rispetto a differenti tipologie colturali (coltura pura e consociazione) ma anche alle prove di cottura. Quest’anno abbiamo intanto testato delle miscele di varietà commerciali. Quattro tipi di lenticchie microsperme – 2 selezionate e vendute nel centro Italia, la Screziata gialla e la Robin; 2 selezionate e vendute nel sud Italia, la nera e la Turca – sono state coltivate insieme, in diverse combinazioni, per valutarne la produttività, la nodulazione, la risposta alle infestanti, la biomassa e il contenuto in Azoto.
A causa delle limitazioni dovute alla pandemia, quest’anno non siamo stati nella condizione di svolgere le giornate di campo per la valutazione partecipativa e gli approfondimenti sui dati raccolti fino ad oggi. Tuttavia, abbiamo provato a raccontare il nostro lavoro in due brevi video che potete trovare sul canale Youtube della Scuola Superiore Sant’Anna (www.youtube.com/user/ScuolaSantanna/videos). Il primo, dal titolo Miscugli varietali: una prova LEGVALUE sulle lenticchie italiane, racconta la prova sulle miscele varietali. Il secondo, dal titolo Varietà di lenticchie italiane: una prova LEGVALUE sulla biodiversità in campo, mostra la collezione in campo delle varietà locali di lenticchia.
# Elisa Lorenzetti
Dottoranda al gruppo di Agroecologia,
Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna
Dal 2018 Rete Semi Rurali è coinvolta in un progetto finanziato dalla misura 16.2 del PSR della Regione Umbria dal titolo SELIANTHUS ‘Selezione evolutiva e partecipativa di grano e girasole per l’autoriproduzione in agricoltura biologica’.Il progetto è iniziato con il recupero e lo studio di varietà di girasole ormai abbandonate con l’obiettivo di costituire una o più popolazioni in grado di adattarsi ai diversi ambienti di coltivazione del centro Italia e di soddisfare alcune caratteristiche nutrizionali ed organolettiche che rendono il girasole una coltura molto interessante nel mondo del biologico.
In questi anni molti sono stati gli aspetti innovativi, dalla ricerca e la rimessa in campo di varietà che si adattano a un contesto di agricoltura biologica tramite l’allestimento di campi di confronto varietale, alla formazione degli agricoltori sulla gestione della semente in azienda, snodo fondamentale per una corretta riappropriazione di un patrimonio varietale abbandonato, fino all’approccio partecipativo delle giornate in campo aperte alla valutazione delle parcelle delle varietà in sperimentazione da parte di agricoltori e altri stakeholder.
Giornata di valutazione e selezione in campo con gli agricoltori presso l’az. agr. Torre Colombaia. Alfredo Fasola segna con un nastro rosso le piante “migliori”, progetto SELIANTHUS, San Biagio della Valle (PG), 29 agosto 2019 # foto Livia Polegri
Da oltre dieci anni l’azienda agricola Torre Colombaia coltiva la varietà Elena, reperita presso un’azienda dell’est Europa che ancora conserva semente non ibrida, per la produzione di olio spremuto a freddo e di seme decorticato. L’interesse verso questa varietà stava proprio nella sua duplice attitudine: ottima sotto il profilo degli acidi grassi (principalmente acido linoleico, un grasso omega-6) e dal seme grosso e facilmente decorticabile. Il motivo per cui Torre Colombaia ha dovuto rivolgersi così lontano per il reperimento del seme è molto semplice: dall’arrivo degli ibridi in Italia le varietà di girasole sono state completamente abbandonate, tanto da risultare introvabili. Anche le banche del germoplasma e le università italiane non ne conservano pressoché alcuna, eppure il patrimonio varietale di girasole italiano era vasto.
Con l’avvio del progetto Selianthus, RSR si è attivata per richiedere le accessioni di girasole di origine italiana conservate presso alcune banche del germoplasma in Europa e Nord America e in prova presso alcune realtà associative. Nel corso del primo anno siamo riusciti a recuperare 25 varietà di cui: 16 dall’IPK (Germania), 2 dalla USDA (U.S.A), 2 dall’Università di Udine, 3 dall’associazione francese “Agrobio-Perigord” che ha in prova alcune varietà dell’est Europa, 1 dalla ditta sementiera Arcoiris che da qualche anno ha recuperato una varietà dell’est Europa, e 1 da un agronomo abruzzese che ha selezionato e riprodotto in campo un fuoritipo di una varietà che sembra interessante. Nei campi di confronto varietale sono state testate anche alcune varietà reperite in occasione degli scambi semi, purtroppo nessuna di queste era accompagnata da una scheda informativa o tecnica. Le informazioni sull’origine del seme, tuttavia, erano scarse anche per quelli provenienti dalle banche del germoplasma: paese di costituzione o località in cui è stato recuperato il seme, anno di ingresso nella Banca o di introduzione in azienda da parte dell’agricoltore.
Nel corso delle annate agrarie 2019 e 2020, presso le 3 aziende agricole, sono stati allestiti campi di moltiplicazione della semente. In questo caso, considerato che il girasole è una specie a libera impollinazione, si è proceduto alla moltiplicazione in isolamento spaziale di 3 varietà presso l’azienda agricola Janas – con una distanza minima tra le parcelle di 1000 metri – e in isolamento meccanico di 16 varietà presso l’azienda agricola Melagrani attraverso l’utilizzo di reti antinsetto. Presso l’azienda agricola Torre Colombaia invece è stato allestito un campo sperimentale di 27 parcelle con 7 varietà in prova e 2 ibridi come confronto tramite un disegno randomizzato con 3 repliche.
Grazie al lavoro di sperimentazione e moltiplicazione delle piccole quantità ricevute, nel corso del 2020, è stato possibile distribuire un pò di seme agli agricoltori interessati che abbiamo incontrato nel corso delle attività di campo, raccogliere informazioni agronomiche delle varietà provenienti dalle Banche del Germoplasma e confrontare alcune delle varietà più interessanti tra loro in regime di agricoltura biologica.
La raccolta dei dati è di primaria importanza per poter avviare la costituzione di una popolazione di girasole, siamo quindi partiti dall’individuazione dei parametri considerati di interesse per gli agricoltori coinvolti nella sperimentazione. Questi dati di campo (di tipo agronomico e genetico) saranno opportunamente incrociati con quelli provenienti dalla fase finale del progetto: analisi di laboratorio per la definizione del profilo degli acidi grassi e del contenuto di vitamine, dati di tipo tecnologico sulla facilità della decorticazione, dati di tipo produttivo e organolettico sulla resa e la qualità dell’olio.
I principali dati di campo rilevati sulle varietà testate sono stati:
Precocità. Questo è forse il parametro più importante perché definisce i giorni che intercorrono tra la semina e la fioritura. In un ambiente di bassa collina del Centro Italia, dove raramente le aziende possono ricorrere all’irrigazione, è fondamentale concentrarsi su varietà precoci o medio precoci e scartare quelle tardive, in modo che il periodo molto delicato della fioritura non si trovi in corrispondenza della stagione più secca;
Altezza della pianta e grandezza della calatide. Questi due parametri andrebbero considerati congiuntamente perché una vigoria troppo elevata della parte vegetativa della pianta potrebbe andare a scapito della grandezza della calatide. Allo stesso tempo una calatide grossa e pesante potrebbe spezzare un fusto troppo alto, alcune delle varietà testate hanno raggiunto i 2,5 m di altezza;
Numero e grandezza dei semi (acheni). Questi due parametri sono ovviamente collegati alla produttività ma anche alla facilità di decorticazione.
L’analisi dei dati di questi parametri – raccolti nel corso dei due anni – è alla base di considerazioni che portano all’individuazione di quelle varietà che riuniscono il maggior numero di requisiti richiesti, solo a quel punto si potrà procedere alla costituzione di popolazioni attraverso il loro incrocio. In seguito, sarà necessario valutare l’adattamento di una nuova popolazione a contesti ambientali e agricoli differenti. Un percorso certamente lungo ma che ci trova ad un buon punto grazie alla realizzazione di questo progetto che non potrà che essere il punto di partenza per ulteriori approfondimenti.
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