Negli ultimi decenni è cresciuta la consapevolezza della necessità di una profonda trasformazione del sistema alimentare globale per superare i limiti e le vulnerabilità che sta mostrando. Una tale trasformazione si è rivelata tuttavia molto complessa, perché prevede di mettere in discussione le logiche, le regole, le infrastrutture e i rapporti di forza che caratterizzano questo sistema.
Si sono così fatti strada un forte interesse e un crescente impegno per un’azione a livello territoriale, con il presupposto che su scala locale ci siano condizioni più favorevoli per una migliore gestione delle risorse, lo sviluppo di nuove visioni e nuovi approcci, l’interazione tra i diversi soggetti coinvolti. Si tratta di un’azione di ri-territorializzazione dei sistemi alimentari che coinvolge le pratiche di produzione e consumo, ma che consente anche di creare nuovi sistemi di governance, indirizzati a una gestione democratica dei processi decisionali attorno al cibo. Dunque anche una ri-politicizzazione del cibo, una sua ricollocazione in uno spazio politico di confronto e co-gestione.
Di pari passo con l’attivazione dal basso di esperienze alternative che hanno visto produttori e consumatori ritrovare un legame diretto e sviluppare nuove forme di relazione attorno a una visione condivisa di processi produttivi e prodotti (le varie esperienze di filiera corta), la volontà di far crescere sui territori una capacità di gestione comunitaria delle questioni del cibo ha portato alla diffusione di nuovi modelli organizzativi, gestiti in collaborazione tra soggetti privati e pubblici, come i distretti del cibo e i bio-distretti o distretti biologici, le comunità del cibo e le politiche locali del cibo.
Queste ultime, diffusesi nell’ultimo decennio in numerose città del mondo, sono la maggiore espressione dello sforzo di ricostruire sistemi alimentari locali: riconnettono il consumo urbano a sistemi produttivi di prossimità; si prefiggono un approccio sistemico, cercando di integrare politiche e azioni dei diversi ambiti che direttamente o indirettamente sono connessi alle pratiche di produzione e consumo di cibo (es. agricoltura, pianificazione territoriale, commercio, educazione, salute, ristorazione pubblica, welfare); favoriscono lo sviluppo di iniziative innovative e mettono a sistema le iniziative esistenti, creando nuove relazioni tra amministrazioni pubbliche, imprese e società civile; creano spazi di democrazia, dove la comunità può ritrovare voce e contribuire alla definizione di politiche pubbliche a sostegno di un determinato sistema-cibo (l’idea della sovranità alimentare). Alle opportunità che si aprono con la ri-territorializzazione dei sistemi alimentari corrispondono però anche sfide importanti. Tutti i soggetti coinvolti sono chiamati a una nuova responsabilità, nello sforzo per contribuire all’affermarsi di nuove visioni e nuovi approcci. In particolare, produttori e consumatori devono sviluppare consapevolezza del proprio ruolo, un ruolo che dall’innovazione nelle pratiche si estende alla costruzione delle politiche, in una condizione comune di cittadinanza alimentare aperta alla partecipazione attiva e impegnata nel generare cambiamento.
4 esperienze legate al progetto europeo LiveSeeding
RENNES
Rennes, con i suoi 220.000 abitanti, è il capoluogo della regione della Bretagna, nel nord-ovest della Francia e ha aderito al Patto di Milano nel 2017, insieme ad altre 47 città francesi. È stata una delle prime 10 città a impegnarsi a sviluppare politiche agroecologiche e alimentari per nutrire i propri abitanti in modo sano, con cibo accessibile a tutti. Dal 2017 ha sviluppato un Piano Alimentare Sostenibile (PAS) per integrare alimenti sani ed equilibrati nelle mense scolastiche. Dopo 3 anni, gli obiettivi iniziali sono stati superati in termini di prodotti biologici e riduzione dei rifiuti. Il PAS è completato da un Progetto Alimentare Territoriale (PAT) firmato nel 2022 dopo due anni di ampia consultazione con gli abitanti di Rennes e della sua metropoli (43 comuni intorno alla città) sulla domanda “Quale agricoltura e quale cibo domani nella metropoli? Il PAT propone una strategia con obiettivi e azioni che riguardano l’intera catena alimentare: agricoltura, trasformazione, distribuzione e anche consumatori.
Jardin partagé, Rennes
L’obiettivo principale è quello di eliminare l’uso di pesticidi sintetici nella regione entro il 2030. Rennes è impegnata a sviluppare i suoi 500 ettari di terreno agricolo in città, che rappresentano una risorsa per lo sviluppo dell’agricoltura periurbana e delle fattorie urbane, incoraggiandole a produrre in modo biologico. La città sostiene l’insediamento di agricoltori in aziende agricole sul territorio per far incontrare il mondo rurale e quello urbano. In questi ultimi anni, inoltre, Rennes, attraverso la messa a disposizione di terreni ed edifici e investendo nella loro governance, ha creato degli spazi collaborativi con un’ampia missione: essere luoghi inclusivi, al servizio della transizione ecologica e in grado di offrire a tutti un migliore accesso al cibo locale e biologico. Uno di questi si trova nella parte occidentale della città, la Prévalaye, oggi vero e proprio laboratorio di agricoltura urbana. Gli eventi sulla Prévalaye incoraggiano le persone a riscoprire la cucina e a mettere in discussione la propria alimentazione e quindi la propria salute, al fine di rendere i cittadini attori di una transizione ecologica popolare e conviviale. Dal 2014 è nato un festival annuale “dal campo al piatto” per comunicare il progetto a un vasto pubblico, e sensibilizzare i cittadini sulla diversità coltivata e le sementi specifiche per l’agricoltura biologica.
VALENCIA
I settori agroalimentare e della pesca rivestono una grande importanza economica e sociale in Spagna, rappresentando l’11% del PIL e impiegando più di 2,6 milioni di persone. Nella Regione di Valencia le attività economiche primarie contribuiscono al 2,2% del PIL e l’industria agroalimentare all’1,8%.
Tuttavia, il sistema agricolo metropolitano di Valencia (che ha diversi riconoscimenti internazionali come quello di patrimonio immateriale dell’UNESCO e Sistema Importante del Patrimonio Agricolo Mondiale della FAO) ha perso peso nelle relazioni economiche con la città e ha innescato processi di abbandono dell’attività agricola e della pesca con conseguente degrado dell’ambiente e perdita di peso nei flussi di approvvigionamento urbano. In questo contesto, la proposta comunale sull’alimentazione sostenibile e locale, inquadrata nella Strategia Urbana 2030, cerca di rafforzare e riterritorializzare il proprio sistema agroalimentare, puntando sui valori e sulle potenzialità di un sistema agricolo città-regione e fornendo uno spazio pubblico all’aperto che possa essere utilizzato come punto di riferimento o di incontro tra prodotti locali, sostenibili, sani e culturalmente radicati, e la popolazione della città.
Allo stesso tempo, mira a trasformare la cultura agroalimentare della città, sostenendo modelli produttivi, sociali e ambientali più sostenibili, e promuovendo lo sviluppo di catene del valore più eque che possano migliorare la redditività degli agricoltori, che sono i protagonisti di questa attività. Alcune delle principali linee d’azione in corso di attuazione sono:
POLO ALIMENTARE SOSTENIBILE
Promozione di una serie di progetti alimentari sostenibili e locali coordinati nel mercato all’ingrosso, come Ecotira, iniziativa sviluppata nel 2022 come progetto pilota, articolato come food hub cooperativo. Nella fase pilota sono state servite 10 scuole dell’area metropolitana e ora il progetto è in fase di espansione. APPROVVIGIONAMENTO PUBBLICO Il progetto prevede lo sviluppo di appalti pubblici sani, sostenibili ed equi, articolati con la produzione locale, in tutti i contratti di servizi e fornitura alimentare del Comune, con un’attenzione di genere e ai gruppi in situazioni di vulnerabilità (bambini, malati, anziani, esclusione so ciale, ecc.). A tal fine, sono stati sviluppati un capitolato e un sistema di monitoraggio e valutazione (software) per regolare l’appalto del servizio mensa nelle scuole e negli asili nido comunali, al fine di migliorare la qualità e la sostenibilità del cibo offerto.
DIRITTO A UN’ALIMENTAZIONE SANA E SOSTENIBILE
Si tratta di interventi rivolti a persone in situazione di vulnerabilità per assicurare l’accesso ad alimenti freschi prodotti sul territorio e favorire la crescita delle loro capacità tramite la formazione e l’utilizzo autonomo dei servizi offerti. Uno dei progetti realizzati è legato all’uso di una Coin Card per facilitare il consumo di alimenti freschi nei mercati comunali, dando autonomia e dignità ai beneficiari, in quanto questo strumento permette loro di scegliere cosa consumare.
Il progetto LIVESEEDING arriva in città in un momento perfetto. Il Comune ha sviluppato un’ampia gamma di politiche alimentari sostenibili e salutari ed è pronto a raccogliere la sfida di analizzare e implementare l’integrazione di sementi, popolazioni e varietà selezionate per il bio nelle politiche alimentari comunali.
GINEVRA
La città di Ginevra si trova all’estremità della Svizzera, con poca continuità territoriale con essa. Il suo territorio angusto è incastrato tra due montagne e i rapporti con i suoi vicini non sono sempre stati facili, per cui nel corso della storia è stata attenta a preservare la terra intorno alla città, necessaria per nutrire i suoi abitanti. Sorprendentemente, l’enorme pressione fondiaria dovuta alla ricchezza della città non ha posto fine a questa situazione ed è ancora oggi circondata da una vasta cintura agricola.
Fin dal XVI secolo, Ginevra è stata la culla dell’orticoltura svizzera e i suoi agricoltori hanno selezionato molte famose varietà contadine, scomparse con l’arrivo delle varietà moderne nel XX secolo. La fondazione nel 1978 dei Jardins de Cocagne, prima cooperativa agricola a contratto in Europa, ha aperto la strada a una fitta rete di iniziative che collegano direttamente i produttori con i consumatori impegnati. Oggi a Ginevra sono attive una dozzina di strutture contrattuali, sostenute da un movimento di cittadini, il MAPC.
Nel 2004, il Cantone di Ginevra ha istituito GRTA, un marchio di garanzia utilizzato da 360 aziende per certificare l’origine locale dei prodotti coltivati. Il Comune di Ginevra è impegnato a promuovere la sovranità alimentare nell’agglomerato attraverso il programma “Nourrir la Ville” di Agenda 21.
Sta attuando questo programma in tre aree di azione: promuovere i circuiti brevi, incoraggiare l’alimentazione sostenibile e sviluppare l’agricoltura urbana. Nel 2011 è stata creata una nuova azienda di produzione di sementi: Semences de Pays, che lavora sulla selezione contadina delle varietà locali tradizionali, con l’obiettivo di mantenerle e diffonderle agli agricoltori e ai privati, anche attraverso una rete regionale di selezione partecipativa.
SCANDICCI
Scandicci è storicamente una città a forte vocazione agricola, anche se ad oggi molto del suo territorio in pianura è urbanizzato. L’amministrazione comunale infatti ha da sempre mostrato una certa sensibilità verso le cosiddette “Politiche del cibo”, ad esempio investendo molto sulle mense che riforniscono le scuole del territorio; quest’ultime utilizzano prodotti locali e coltivati in biologico e i cittadini stessi si sono costituiti in una commissione che partecipa attivamente alla loro gestione.
Inoltre dal 2020, grazie al progetto regionale 100 mila orti in Toscana, nel quartiere di Vingone sono stati creati 36 orti urbani, gestiti in modo comunitario e nel rispetto dei principi dell’agricoltura biologica e della biodiversità. Infine, col progetto LIVESEEDING si lavorerà per portare la diversità al centro delle politiche del cibo della città.
Spazi agricoli in città e la nascita di nuove comunità
di Elenia Penna, Elia Renzi – Società Toscana di Orticultura
L’orticoltura urbana sta diventando sempre più popolare e praticata. Coltivare è da sempre una prerogativa delle aree rurali attorno alle città: la coltivazione degli orti è una delle poche attività, insieme al florovivaismo, alla cura di giardini e alla frutticoltura, che alimenta il legame tra urbano e rurale, anche quando le città erano ancora cinte da mura in tutta Europa.
Fin dall’antichità, gli orti sono stati parte integrante di città, castelli, monasteri, eremi e insediamenti. Se pensiamo, per esempio, all’Europa medioevale troviamo molto spesso una fascia di orti urbani collocata tra la fine degli insediamenti e le mura cittadine: in quell’area marginale, che oggi potremmo chiamare periferia, sorgevano orti, con presenza di alberi da frutto e pozzi, utili in caso d’assedio o di pandemie. Gli orti erano talvolta disciplinati da regolamenti o leggi che prevedevano la coltivazione di alberi da frutto. I residui di questo antico mondo scomparso sono ancor oggi evidenti nella toponomastica di alcune strade: per esempio a Firenze, Via dell’Orto o Via dell’Ortone sono realizzate dove un tempo sorgevano gli orti.
Nel periodo delle grandi dittature e successivamente della guerra, in Italia nacquero delle vere e proprie guide per la gestione dell’orto domestico. Al termine del secondo conflitto mondiale, in Europa iniziò la ricostruzione e con essa una massiccia urbanizzazione che ha cambiato inesorabilmente la gestione e l’aspetto dei paesaggi rurali e urbani. Le aree urbane sono cresciute esponenzialmente e le reti stradali si sono intersecate alle tante aree coltivate. Inoltre, lo spostamento dalla campagna alla città ha dato luogo a territori sempre più degradati e incolti, e a città sempre più invivibili con pochi spazi verdi.
Molte persone che provenivano dalle campagne o avevano nella storia familiare un legame con la terra, nel corso degli anni si sono arrangiate conquistando lembi di terra in aree marginali e interstiziali, costruendo orti urbani spesso diventati vere e proprie discariche diffuse ai margini di strade principali, ferrovie o lungo i fiumi, accumulando sporcizia, plastica e utilizzando discutibili metodi di coltivazione.
A partire già dagli anni ’70, però, gli orti urbani hanno iniziato ad assumere un nuovo ruolo, riconnettendo le comunità alla natura e generando nuovi spazi organizzati per città sempre più affollate e affogate di cemento. I sempre più numerosi orti sociali “invadono” i centri urbani europei rivelando il bisogno delle comunità contemporanee di accedere a spazi verdi in città per migliorare la qualità della vita e confrontarsi con nuovi problemi e urgenze: la crisi climatica, la siccità, l’aumento di ondate di calore, il cambiamento dello stile di vita o l’innalzamento del tasso di urbanizzazione.
Viaggiando in Europa si scopre quanto ogni luogo verde che nasce in città sia identitario dei suoi cittadini. Chi partecipa al progetto solitamente porta qualcosa di sé, della sua vita e della sua cultura, caratterizzando la storia di quel luogo per sempre. Questa partecipazione genera co-creazione: ciascun individuo, all’interno di questa condivisione, lascia andare qualcosa di sé per il bene della collettività a cui si unisce.
Nell’orto si incontrano persone di ogni età e provenienza sociale. Il filo rosso che lega tutti questi orti urbani è il senso di comunità e collettività che alimentano.
Nella periferia di Berlino, ad esempio, è nata l’esperienza “Garten der Hoffnung / bustan-ul-amal”, un orto basato sull’inter-religione e il multiculturalismo dove l’aspetto della coltivazione si sposa con quello della spiritualità e dell’interazione pacifica tra religioni diverse. Mentre in un orto comune di prossimità situato in piccole aree verdi, gestito dall’associazione Kulturlabor Trial & Error, si dimostra che non c’è bisogno di grandi spazi per coltivare e prendersi cura di noi e della terra; qui vengono coltivate erbe aromatiche resistenti che possono essere facilmente fruibili dai vicini di quartiere in modo spontaneo e costante nell’anno. Altri orti, più vicini ai luoghi legati all’educazione (scuole, accademie e università) hanno una caratterizzazione e identità didattica per consentire a bambini e ragazzi di entrare in contatto con le piante durante e fuori dalle lezioni.
Nell’orto, inoltre, si incontrano persone di ogni età e provenienza sociale: in Spagna nella periferia di Barcellona l’organizzazione “Conreu Sereny” porta avanti un progetto di orticoltura sociale dove richiedenti asilo vengono accolti per un percorso di inclusione e inserimento lavorativo in cui si apprende la lingua locale e si impara a fare agricoltura. Il contesto caratterizza molto l’anima dell’orto urbano, come dimostra il “Petuelpark” a Monaco di Baviera, dove un parco urbano nato per rigenerare un’area degradata a causa della grande presenza di microcriminalità e mancanza di inclusione ha cambiato l’assetto paesaggistico dell’area e ridotto il tasso di criminalità.
Il filo rosso che lega tutti questi orti urbani è il senso di comunità e collettività che alimentano. Questi luoghi sono circoli virtuosi di relazione, confronto e soprattutto azione, abitati da tanto verde e movimenti sociali. Le comunità che vivono tali spazi si caratterizzano per una proattività e un entusiasmo in grado di coinvolgere nuove persone e generazioni, contaminando anche chi non fa parte dell’orto in modo diretto.
Le sementi e le pratiche agricole per la nostra salute e quella del Pianeta
di Véronique Chable e Gauthier Chapelle
Se la biodiversità fosse un gomitolo, il bellissimo volume di Véronique Chable e Gauthier Chapelle sarebbe una guida per dipanarlo nelle sue molte componenti. I 20 capitoli si snodano attraverso la descrizione dei sistemi agricoli tradizionali e contemporanei, i metodi di selezione, gli impatti sull’alimentazione umana, l’attività di salvaguardia e promozione della biodiversità in campo attuata dalle banche delle sementi, anche grazie a metodologie partecipative, lo sviluppo di filiere sostenibili, locali e vitali, sganciate da un’economia fossile dominata da dinamiche internazionali. Il tutto corredato da appassionanti casi studio, come quello del mais rosso dei Paesi Baschi, quello dei miscugli di grani tradizionali in Aquitania, gli Irish Seed Savers e la stessa Rete Semi Rurali. Buona riscoperta della biodiversità, che dopo questa lettura ci parrà sicuramente più complessa ma anche molto più preziosa.
Biodiversità, paesaggio planetario e giustizia sociale.
Gilles Clément è nato ad Argenton-sur-Creuse, nella valle della Loira, il 6 ottobre 1943. Trasferitosi ad Orano, in Algeria, grazie a un professore di liceo iniziò ad appassionarsi alle scienze naturali e al paesaggio. Diplomatosi come ingegnieur horticole (1967) e poi come paesaggista nel 1969 presso l’Istituto nazionale di orticoltura e paesaggio di Angers, Clément iniziò una vivace attività professionale affiancata dall’insegnamento alla scuola nazionale di Versailles iniziato fin dal 1979. Parallelamente svolse attività di progettista di giardini con un approccio moderno e aperto dove il giardino è una struttura vivente che il giardiniere aiuta solo a strutturare.
L’evoluzione e i cambiamenti, le erbe che camminano sono il concetto innovativo dell’approccio di Clément che ha dato origine al “giardino in movimento” (1991), singolare e visionario concetto espresso proprio dal paesaggista francese sia nelle sue opere che nel giardino della sua casa costruita a La Vallée in Nuova Aquitania, un remoto angolo della Francia.
Il “giardino in movimento” – come quello realizzato al Parc André-Citroën di Parigi – è un complesso sistema nel quale si assiste a un continuo mutare dell’organizzazione degli spazi per l’introduzione di nuove piante ma anche per la presenza di visitatori che con i loro comportamenti e preferenze per una zona più che un’altra, delineano con il tempo le aree e i percorsi. È l’esperienza stessa di vita del parco che ne determina il futuro in una visione del tutto originale delle funzioni di giardino pubblico.
All’idea di movimento l’agronomo francese affiancò presto anche il concetto di mescolanza planetaria delle specie vegetali tradotta in un’altra sua opera, “Il giardino planetario” (1999). Secondo questa visione la mescolanza planetaria può essere il nuovo paradigma in cui le relazioni tra giardino, paesaggio e natura si articolano secondo una nuova configurazione: il pianeta è un giardino “concluso” nel quale la natura ha i suoi cicli e i suoi comportamenti che vengono solo osservati e assecondati dal giardiniere.
Dopo queste due originali interpretazioni, Clément ha dato un contributo importante e impegnato con il concetto di “terzo paesaggio” (2003) rappresentato dall’insieme degli spazi, rurali e urbani, abbandonati dall’uomo alla natura e quindi diventati rifugio di biodiversità e di particolarità botaniche. Una parafrasi forse del Terzo Stato di Sieyès – l’abate rivoluzionario che formulò l’uguaglianza dei cittadini in un celebre libretto del 1789 poco prima dello scoppio della Rivoluzione nel quale si stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini e forse anche di tutti i paesaggi, operando così un’equità paesaggistica che è anche sociale.
Un modo diverso di interpretare gli spazi ma soprattutto i rapporti fra uomo e ambiente che travalica gli aspetti puramente tecnici per diventare filosofia di vita. Lontano dai formalismi di un’arte dei giardini che, per Clément, è “figlia ideologica del potere”, gli spazi proposti dall’agronomo francese sono liberi di variare, di trovare nuovi equilibri e di cambiare nel tempo secondo dinamiche nelle quali l’uomo (o il giardiniere) si inserisce “in punta dei piedi”.
Una sua frase può facilmente sintetizzare il suo pensiero e il suo agire: «Fare quanto più con, e quanto possibile meno contro le energie in gioco in un luogo determinato». I temi toccati non si fermano a quelli sopra esposti ma già loro sono sufficienti a delineare, più che un personaggio, un pensiero attento verso le forme di vita e di attenzione estrema verso la diversità – sia essa biologica o culturale. La biodiversità, la migrazione, la contaminazione, rappresentati anche dal giardino in movimento, diventano immagini di un modo di vivere che ha valore planetario.
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