Il cambiamento epocale nei consumi del biologico

Il cambiamento epocale nei consumi del biologico

La guerra e la crisi economica fanno calare gli acquisti e i negozi specializzati faticano mentre la Gdo regge. Cresce clamorosamente l’hard discount

di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 252 – Ottobre 2022

Dall’8 all’11 settembre si è tenuto a Bologna il Salone internazionale del biologico e del naturale (Sana). Se ormai una serie di padiglioni sono dominati dalla cosmetica bio (in costante ascesa), va sottolineato il ruolo crescente della sezione “Sanatech”. L’obiettivo è di caratterizzare la fiera anche come un momento nazionale di scambio su tecniche e pratiche tra operatori. È importante ricordarsi che non esiste un evento simile e di come, al contrario, sarebbe necessario per diffondere saperi e innovazioni.

Camminando tra gli stand, però, si respirava un’aria pesante: come se una tempesta perfetta avesse colpito il settore. Se, infatti, la crisi dovuta al Covid-19 ha avuto ripercussioni positive con un incremento delle vendite dei prodotti biologici, la guerra in corso, combinando aumento dell’inflazione e dei costi di produzione, sta avendo l’effetto opposto. E questo pessimismo diffuso è stato confermato dall’andamento dei numeri del settore, presentati a Sana. Il centro studi Nomisma e il Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica (Sinab) hanno raccontato lo stato dell’arte del biologico nel 2021 e nei primi sei mesi del 2022, confermando alcune tendenze in atto in questi dieci anni, ma registrando anche una flessione dei consumi interni, sia nel 2021 sia nel 2022.

Dal lato delle superfici coltivate e degli operatori biologici la crescita continua, con un incremento del 3%, per cui l’Italia arriva al 17,4% di ettari, diventando uno dei Paesi leader a livello europeo, anche se il traguardo del 25% indicato per il 2030 nella strategia “Farm to fork” della Commissione europea è ancora lontano. Per quanto riguarda i consumi interni, al contrario, la crisi economica si fa sentire: nel 2021 si registra una flessione del 4,6% rispetto all’anno precedente e i primi sei mesi del 2022 confermano questo andamento con un calo dell’1,1%. All’interno di queste percentuali ci sono, però, vincitori e vinti.

La flessione maggiore la registrano infatti i negozi specializzati (-8%) mentre la Grande distribuzione organizzata (ormai definita come Distribuzione moderna, Dm, per sancire l’ineluttabilità di questa tipologia distributiva) regge il colpo (+0,4%) e, addirittura, il mondo degli hard discount registra un clamoroso +13,8% rispetto al 2021. Secondo Nomisma, la Dm pesa ormai per il 57% delle vendite (era il 47% nel 2020), mentre negozi specializzati e altre forme di vendita locali scendono al 42% a fronte del 53% del 2020. Insomma, la crisi del potere di acquisto delle famiglie sta velocizzando un cambiamento epocale in un settore nato sulla base di una forte relazione di prossimità tra produzione e consumo. 

Il calo dei consumi di prodotti biologici in Italia nel 2021 rispetto all’anno precedente è stato del 4,6%. Anche i primi sei mesi del 2022 registrano un andamento negativo (-1.1%)

Ma un altro fattore sta avendo un impatto forse ancora maggiore su questa trasformazione: l’aumento dei costi energetici di produzione dovuto alla guerra. La bolletta energetica sta mettendo in crisi soprattutto il mondo della trasformazione artigianale, incapace di far fronte con le proprie risorse economiche a un periodo lungo di contrazione delle vendite e aumento dei costi. Potremmo assistere alla scomparsa di questo tessuto produttivo, fatto di piccole e medie realtà con un forte attaccamento alle produzioni locali, a vantaggio di imprese di maggior dimensioni capaci di assorbire la crisi tramite l’accesso al mondo della finanza. Il fatto che l’export bio sia cresciuto del 16% tra il 2021 e il 2022 è un dato positivo, ma certifica anche la trasformazione che stiamo raccontando. Servirebbe il supporto della politica per non lasciare questi operatori in balìa delle speculazioni di mercato, ed evitare un’ulteriore desertificazione dei nostri territori.

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L’invincibile armata che minaccia il biologico

L’invincibile armata che minaccia il biologico

Industria, scienza, politica e mercato spingono per usare i nuovi Ogm nelle coltivazioni bio. È una battaglia da combattere in campo

di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 246 – Marzo 2022

Se la forza di un settore e la sua capacità di innovazione si vedono nei momenti difficili, i prossimi mesi saranno cruciali per il biologico. Una pericolosa insidia si nasconde dietro il suo successo. L’Unione europea ha stabilito nella strategia “From farm to fork” l’obiettivo del 25% della superficie a biologico nel 2030: significa un quarto dell’agricoltura europea che smette di usare prodotti chimici di sintesi. Il mondo industriale ha già risposto sottolineando come non sia possibile questo cambiamento senza mettere a rischio la produttività e sta, con sempre più forza, proponendo l’alternativa: al posto della chimica è necessaria l’innovazione tecnologica legata alle biotecnologie.

Solo usando quelle che si definiscono come Tecnologie per l’evoluzione assistita, Nuove tecnologie di miglioramento genetico o più semplicemente nuovi Ogm, a seconda del punto di vista di chi ne parla, l’agricoltura europea potrà essere produttiva, sostenibile e competitiva. È una narrazione potente che, saldando industria e scienza, ha già convinto i sindacati agricoli. C’è solo un piccolo problema, a oggi il biologico non può far uso di Ogm, così dice la legge e così vogliono le organizzazioni di settore rappresentate dalla Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica. Per risolvere questo dettaglio stiamo assistendo a due operazioni con l’obiettivo di mettere in un angolo il biologico e costringerlo ad accettare questa tecnologia. La prima lavora sul piano politico. In questi mesi a Bruxelles si deciderà se i nuovi Ogm saranno regolamentati come i vecchi (controlli stringenti basati sul principio di precauzione) o se avranno un loro sistema semplificato. In tal caso, non essendo Ogm, potranno essere usati nel biologico.

È pari al 25% la percentuale di superficie a biologico, stabilita dalla strategia “From farm to fork”, da raggiungere nel 2030

La seconda operazione è culturale. Nelle varie conferenze sul tema sono invitate a partecipare singole voci del biologico che, senza rappresentare nessuno se non loro stessi, esprimono il loro favore alle nuove tecnologie con le motivazioni di sempre: non si può perdere il treno del progresso, senza tecnologia non saremo in grado di competere con Paesi come la Cina, queste tecnologie risolveranno il problema della fame nel mondo. L’obiettivo è incrinare dall’interno le resistenze del biologico agli Ogm, vecchi e nuovi, e presentare ai decisori politici un biologico moderno e innovativo, pronto a lanciarsi nelle sfide tecnologiche, e uno passatista e antiscientifico. Non sarà facile resistere alla doppia morsa.

Nella peggiore delle ipotesi il biologico dovrà darsi degli standard privati per garantire l’assenza di nuovi Ogm dalle sue coltivazioni, ma come tracciarli se saranno deregolamentati? Quando sono arrivati i primi Ogm, a metà anni Novanta del secolo scorso, la mobilitazione sociale ha forzato la mano della politica portando di fatto a una moratoria della coltivazione in Europa. A quei tempi uno dei motori nascosti di questo successo è stata la grande distribuzione organizzata (Gdo), che da subito ha percepito il malessere dei cittadini e ha promosso campagne pubblicitarie contro gli Ogm.

Il risultato delle campagne ha portato al blocco degli Ogm, ma allo stesso tempo ha consentito alla Gdo di lanciare i prodotti a marchi proprio (private label), gli unici garantiti come Ogm free. Dietro gli Ogm è avvenuta una battaglia nella filiera agroindustriale che ha portato al consolidamento della Gdo. Sui nuovi Ogm, fino a oggi, nessun gigante dell’agroalimentare si è mosso ma sembra che questa volta la Gdo resterà a guardare la partita da spettatore, il suo risultato l’ha già ottenuto. Come potrà il biologico da solo con il suo mondo sociale di riferimento vincere l’invincibile armata, composta da industria, scienza, politica e mercato?

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Lettera congiunta alla Commissione Europea

Lettera congiunta alla Commissione Europea

Una visione comune per la diversità delle piante

Ad aprile 2021 una serie di organizzazioni europee ha inviato una lettera comune alla Commissione evidenziando i punti seguenti.

Le regole esistenti per la produzione e la commercializzazione delle sementi favoriscono l’uniformità e la produttività a breve termine a spese della diversità delle piante coltivate, dell’ambiente e della diversità degli attori che sviluppano le sementi e le rendono disponibili. Trascurano i diritti definiti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle zone rurali (UNDROP) e il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (ITPGRFA), e dividono gli attori in categorie artificiali di “utenti” e “produttori” di sementi. 

Alla luce delle crisi del clima e della biodiversità, abbiamo bisogno di politiche che riconoscano, proteggano e sostengano il potenziale della diversità coltivata per favorire sistemi alimentari resilienti e garantire la nostra sicurezza alimentare futura. La diversità delle piante coltivate è il fondamento per guidare la transizione dei sistemi alimentari e invertire la perdita di biodiversità. 

La pandemia Covid-19 ha rafforzato questa necessità, e ha portato ad un aumento della domanda di semi ad impollinazione aperta adattati a livello locale e di prodotti locali. Il miglioramento genetico locale, la produzione e la gestione dinamica delle sementi, e la diversità dell’offerta commerciale di sementi, forniscono agli agricoltori opportunità di alto valore per attingere a questa domanda crescente, per esempio offrendo prodotti biologici, varietà tradizionali, specie trascurate e sottoutilizzate, e/o specialità regionali. 

Tuttavia, l’attuale quadro normativo sta deludendo gli agricoltori che operano al di fuori dell’agricoltura industriale, per esempio quelli che lavorano in condizioni agro-ecologiche o biologiche, quelli che vogliono lavorare con varietà ad impollinazione aperta, e quelli che lavorano in piccole superfici con stretti legami con i consumatori finali, poiché semplicemente non hanno accesso a varietà adatte alle loro esigenze e agli ambienti produttivi. Alla luce delle numerose sfide che l’agricoltura deve affrontare, è inaccettabile che il quadro di commercializzazione delle sementi discrimini quanti desiderano perseguire alternative caratterizzate da pratiche rispettose dell’ambiente e del clima. 

Qualsiasi riforma della legislazione sulla commercializzazione delle sementi deve realizzare il Green Deal europeo, le sue strategie per la biodiversità e Farm to Fork, e gli obiettivi dell’UE in materia di cambiamento climatico, promuovendo i diritti degli agricoltori alle sementi. Deve rispettare e sostenere gli sviluppi stimolanti del nuovo regolamento biologico, e anche riconoscere i considerevoli e costosi oneri imposti alla produzione e alla circolazione delle sementi dal nuovo regolamento fitosanitario, in particolare per i piccoli operatori. Deve essere coerente con gli impegni presi nell’ambito dell’ITPGRFA e della Convenzione sulla diversità biologica. Infine, ma non meno importante, deve far rispettare il diritto alle sementi e gli obblighi degli Stati di facilitare e rispettare questo diritto secondo l’UNDROP.

Ci sono stati alcuni miglioramenti nell’ultimo decennio, in particolare con le direttive sulle varietà da conservazione, e più recentemente nel nuovo regolamento del biologico. Tuttavia, la diversità è ancora limitata a nicchie, ognuna delle quali ha la sua serie di restrizioni, e la complessità del quadro stesso è proibitiva per molti piccoli attori. Le crisi del clima e della biodiversità, così come i cambiamenti sociali, economici e tecnologici nei decenni successivi all’adozione delle regole negli anni ’60, richiedono un ripensamento fondamentale.

Una legislazione riformata deve sostenere la diversità intraspecifica e intra-varietale, sostenendo così l’adattamento al cambiamento climatico, la transizione verso un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente, la produzione locale di sementi e cibo, i diritti degli agricoltori e diete più sane. Dovrebbe anche riconoscere e sostenere veramente la molteplicità dei sistemi sementieri, e offrire più scelta agli agricoltori. 

Per raggiungere questo obiettivo, la riforma deve riconoscere, proteggere e premiare il ruolo fondamentale giocato dai sistemi sementieri informali nella conservazione, nell’uso sostenibile e nella gestione dinamica della diversità, e nel garantire la resilienza dei nostri sistemi alimentari. Parallelamente alla legislazione e i diritti di proprietà intellettuale non devono danneggiare i diritti degli agricoltori. Tutti i quadri giuridici devono essere migliorati per evitare l’appropriazione indebita della diversità, compreso attraverso l’uso di informazioni digitali sulle sequenze genetiche.

I 34 FIRMATARI DELLA LETTERA
EU / REGIONALBiodynamic Federation Demeter Int
European Coordination Via Campesina
Reseau Meuse-Rhin-Moselle
AUSTRIAArche Noah / ÖBV-Via Campesina Austria
BELGIOBoerenforum, Vitale Rassen
CROAZIABiovrt-u skladu s prirodom – Biogarden
Croatian Org. Farmers’ Associations Alliance
Život – Association of Croatian family farms
ZMAG – Community Seed Bank
REPUBBLICA CECADemeter Czech & Slovakia / Permasemnika
CIPROCyprus Seed Savers
DANIMARCADemeterforbundet i Danmark
Frøsamlerne – Danish Seed Savers
ESTONIAMaadjas – Estonian Seed Savers
FRANCIADemeter France
Mouvement de l’Agriculture Bio-Dynamique
Le Réseau Semences Paysannes
GERMANIAD.V. Kulturpflanzen- und Nutztiervielfalt e.V.
GRECIAAegilops / Peliti
UNGHERIAMagház – Seed House
IRLANDAIrish Seed Savers Association
ITALIAAssociazione per l’Agr. Biodinamica in Italia
Demeter Associazione Italia
Rete Semi Rurali
LETTONIALatvian Permaculture Association
LUSSEMBURGOSEED Luxemburg
MALTANadir for Conservation
NORVEGIABiodynamic Association Norway
POLONIAFoundation AgriNatura for Agricultural Biodiversity
PORTOGALLOGAIA – Environmental Action and Intervention
Group
SVIZZERAGetreidezüchtung Peter Kunz
ProSpecieRara

Proposte specifiche per una possibile riforma:

Il campo di applicazione della legislazione dovrebbe essere delineato da una definizione rigorosa di commercializzazione limitata alle attività commerciali rivolte agli utilizzatori professionali di sementi. La legislazione, quindi, non dovrebbe regolare conservazione, uso sostenibile e gestione dinamica della diversità, compresi gli scambi di sementi tra agricoltori e hobbisti che sono gratuiti o che prevedono solo il rimborso delle spese. In particolare, non dovrebbe esistere un registro degli operatori. Questi sistemi sementieri, come sancito dall’UNDROP, devono essere fuori dal campo di applicazione della normativa. 

La legislazione deve garantire la libertà di scelta degli agricoltori sia per quanto riguarda le sementi (specie, varietà, popolazioni) che per quanto riguarda gli standard di produzione. 

Ci deve essere una chiara distinzione tra i regimi che concedono i diritti di proprietà intellettuale sulle nuove varietà vegetali e quelli che permettono l’accesso al mercato. La registrazione basata deve essere adattata e proporzionata ai bisogni e alle realtà della diversa gamma di attori, così come dei loro clienti. 

La legislazione deve garantire la trasparenza sui metodi di miglioramenti usati e sui diritti di proprietà intellettuale per tutte le varietà sul mercato.

– Le norme sulla sanità delle sementi e i meccanismi di controllo devono essere adattati ai rischi e alla scala di commercializzazione delle sementi, riconoscendo le diverse aspettative degli utenti e dei clienti riguardo ai criteri di qualità.

Il punto di vista dei contadini

Il punto di vista dei contadini

Dal Coordinamento Europeo La Via Campesina

Dobbiamo trovare una risposta alle sfide attuali delineate nelle strategie Farm to Fork e Biodiversità.

Queste sfide includono l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’emancipazione dalla dipendenza da fertilizzanti azotati e pesticidi e il recupero dell’enorme biodiversità coltivata che è stata persa negli ultimi cento anni. Per fare ciò, gli agricoltori europei devono essere in grado di:

  • adattare le colture al proprio territorio e al proprio contesto, selezionando e moltiplicando le sementi prese dai propri campi;
  • scambiare le proprie sementi per rinnovare costantemente la diversità;
  • avere accesso alla diversità delle varietà cosiddette “tradizionali”, selezionate in assenza di input chimici.

I sistemi sementieri contadini sono essenziali per rinnovare la biodiversità: il sistema formale e commerciale è stato in effetti creato estraendo tutte le sue risorse dal sistema informale. La FAO stima che il 75% della biodiversità coltivata è stato perso con l’uso di varietà commerciali omogenee e stabili. Inoltre, l’attuale dematerializzazione delle risorse genetiche causa una perdita incommensurabile di informazioni genetiche non digitalizzabili. Le centinaia di milioni di agricoltori che riproducono i loro semi ogni anno creano molta più diversità di qualche migliaio di ricercatori con attrezzature sofisticate. I numerosi tratti di adattamento poligenico che le piante mostrano di fronte ai cambiamenti climatici non appaiono nelle provette di laboratorio, poiché queste ultime si limitano a selezionare solo alcuni tratti monogenici. Rinnovare costantemente la biodiversità coltivata nei campi in questo modo è essenziale, non solo per consentire l’adattamento alle condizioni di crescita locali e mutevoli, ma anche per ricostituire le riserve di diversità che sono essenziali per la sicurezza alimentare delle generazioni future.

Incontro ERASMUS Aprentisem, Spagna, 2021

Gli articoli 5, 6 e 9 del Trattato FAO e l’articolo 19 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei contadini e delle altre persone che lavorano nelle zone rurali (UNDROP) definiscono i principi giuridici adeguati a queste pratiche e devono essere applicati dall’Unione Europea.

Attualmente, nella UE, i diritti degli agricoltori sulle sementi non sono garantiti. Uno dei principali ostacoli è il fatto che solo le varietà omogenee e stabili possono essere commercializzate. Queste varietà sono selezionate per essere usate in ambienti omogenei e stabili, ma gli ambienti in cui seminiamo sono diversificati e si evolvono costantemente con il clima. Inoltre, sono state selezionate per avere alte rese grazie all’uso di acqua, fertilizzanti chimici e pesticidi. C’è quindi l’obbligo di omogeneizzare e stabilizzare le condizioni di coltivazione di queste varietà. Le sementi disponibili sul mercato costringono gli agricoltori a utilizzare pesticidi, fertilizzanti chimici e a ricorrere sempre più spesso all’irrigazione. Inoltre, queste sementi non sono adatte alle consociazioni, che contribuirebbero a ridurre l’uso di tali input.

APPROFONDIMENTO
Entra nei link per guardare il 7° webinar della serie Seed Policy Dialogues di ECLLD!

– La dichiarazione U.N.D.R.O.P. (United Nations Declaration on the Rights of Peasants)
e il punto di vista di ViaCampesina sulla riforma sementiera.
Con Guy Kastler, ECVC link

– Cos’è la Dichiarazione U.N.D.R.O.P.? Quali diritti hanno i contadini in questo contesto?
Con Christophe Golay, Accademia di Ginevra link

D’altra parte, i sistemi sementieri contadini funzionano adattando le piante al loro ambiente naturale grazie a una selezione costante, anno dopo anno. Questo avviene anche attraverso una gestione dinamica e significa che c’è molto meno bisogno di ricorrere a fertilizzanti, pesticidi, monocolture, irrigazione, meccanizzazione sempre più spinta, ecc. Per essere adattate dagli agricoltori, le piante devono essere in grado di evolvere in base al clima e all’ambiente. La diversità assicura che avranno un raccolto, indipendentemente dall’andamento dell’annata. Lo stesso vale per gli agenti patogeni: la diversità permette la resilienza e garantisce agli agricoltori di avere un raccolto a prescindere dalle diverse pressioni degli agenti patogeni. La commercializzazione di queste sementi diversificate, che permettono di emanciparsi dalle monocolture industriali che usano molti pesticidi, è purtroppo vietata. Inoltre, in molti paesi europei, le leggi e i regolamenti nazionali proibiscono agli agricoltori persino di scambiare tra loro i semi. Tuttavia, dato che, per la loro stessa natura, la maggior parte delle sementi contadine utilizzate ogni anno provengono da aziende agricole, lo scambio di semi tra i contadini è essenziale. Senza di esso, la diversità intra-varietale diminuisce rapidamente e la capacità di resilienza di queste varietà si perde. Inoltre, i contadini che utilizzano molte colture diversificate, per esempio nell’orticoltura, non possono auto-prodursi tutte le sementi ogni anno, anche solo per questioni tecniche di isolamento tra le colture, per cui spesso condividono questo lavoro con i propri vicini.

Oggi, la regolamentazione europea si applica a qualsiasi scambio di semi (commerciale o no) “in vista di uno sfruttamento commerciale”. Alcuni paesi applicano questo regolamento in modo molto rigoroso e vietano lo scambio di semi e quindi la selezione dei contadini. Tuttavia, non proibiscono gli scambi tra selezionatori e/o ricercatori di sementi “in fase di sviluppo” e non registrate nel catalogo. Altri paesi ritengono che lo “sfruttamento commerciale” delle sementi riguardi solo la loro rivendita, o la produzione e la vendita di materiale di propagazione e non la produzione di colture agricole destinate principalmente ai mercati alimentari o ad altri usi (tessile, energetico, ecc.). Questi paesi, come l’Italia, autorizzano quindi lo scambio di sementi tra agricoltori la cui attività principale non è la produzione e la commercializzazione di materiale di riproduzione vegetale ma la produzione agricola. Altri paesi, come la Francia, considerano che gli scambi tra agricoltori di sementi che non appartengono a una varietà protetta da una privativa vegetale non costituiscono commercializzazione (anche se c’è un rimborso dei costi sostenuti per la loro produzione). Questo è piuttosto classificato come aiuto reciproco e non è quindi soggetto ai regolamenti relativi alla commercializzazione del materiale di riproduzione vegetale.

ECVC chiede il riconoscimento giuridico di due sistemi sementieri distinti: quello commerciale (o industriale) e quello contadino, con due regolamenti adattati a ciascuno di questi due. I contadini europei sono infatti sia acquirenti di sementi commerciali che produttori di sementi agricole o contadine. I loro diritti come consumatori e produttori devono quindi essere riconosciuti e fatti rispettare.

// Perché è fallita la precedente riforma?

Iter della precedente proposta di riforma della legislazione sementiera
Per affrontare il negoziato in corso è utile capire cosa è successo circa 10 anni fa quando la proposta di riforma della legislazione sementiera è naufragata al Parlamento Europeo. Si è trattato di un fallimento doloroso perché ha messo in luce le difficoltà di Bruxelles di negoziare temi delicati con portatori di interessi così diversificati.

Va ricordato, infatti, che la proposta di regolamento sulle sementi, che avrebbe dovuto sostituire le 12 direttive attuali, era frutto di un lungo negoziato in cui la Commissione aveva ascoltato gli attori, i soggetti economici e gli Stati membri, percorso durato 5 anni. Non si trattava, perciò, di un progetto partorito dal nulla, e, infatti, presentava molte novità. Se si leggono i commenti dopo la bocciatura del Parlamento si capisce come tutte le discussioni fatte non siano arrivate, però, a produrre una sorte di base o visione comune tra le varie posizioni.
Infatti, il regolamento è stato bocciato dagli Stati membri che avevano paura di perdere potere con un regolamento in cui molti aspetti sarebbero stati decisi da successivi atti delegati della Commissione (quindi con meno potere dei singoli stati); dalle ditte sementiere e dal mondo agricolo industriale perché le aperture presenti sono state giudicate troppe con il rischio di compromettere tutto il sistema di certificazione e controllo della qualità del seme; e, in ultimo, dal mondo della società civile perché, al contrario, le aperture sono state giudicate insufficienti.

Di tutto quel percorso negoziale è rimasta in piedi solo la parte sulle popolazioni (grazie alla deroga istituita nel 2014), diventate poi materiale eterogeneo nel nuovo regolamento del biologico.
In Europa il sistema agricolo è in crisi

In Europa il sistema agricolo è in crisi

Con la strategia Farm to Fork l’Ue promuoverà la transizione a modelli più sostenibili. Saprà il mondo scientifico italiano raccogliere la sfida?

di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 231 – Novembre 2020

Il 22 settembre 2020 si è aperto ufficialmente il bando dedicato al Green Deal europeo, una delle sei priorità della Commissione europea per i prossimi cinque anni, declinato nel settore agricolo dalla strategia Farm to Fork (dal produttore al consumatore). Se leggiamo la premessa del bando, ben si comprende la crisi in cui vive il sistema agricolo europeo. In estrema sintesi così appare la fotografia fatta dal Green Deal: l’agricoltura è responsabile del 10,3% delle emissioni di gas serra dell’Unione europea; il cibo è una fonte significativa di emissioni di gas serra che contribuisce a circa il 17% delle emissioni delle famiglie dell’Ue in modo simile alle abitazioni (22%); i cicli dell’azoto e del fosforo sono alterati con conseguente inquinamento diffuso degli ecosistemi terrestri, acquatici e atmosferici; i pesticidi hanno un effetto negativo sugli impollinatori e si dilavano nel suolo e nell’acqua causando una più ampia perdita di biodiversità e un impatto sulla salute umana; la resistenza agli antibiotici legata al loro uso eccessivo e inappropriato nell’assistenza sanitaria animale e umana porta a circa 33mila decessi nella Ue ogni anno e a costi sanitari considerevoli; circa il 20% degli alimenti prodotti viene sprecato; un adulto europeo su cinque è obeso e la metà è in sovrappeso, con in media quasi un bambino su otto di età compresa tra i sette e gli otto anni obeso. Non a caso nella strategia Farm to Fork la Ue chiaramente parla di transizione dal sistema attuale a uno più sostenibile e pone tra gli obiettivi quello di avere almeno il 25% di agricoltura biologica in Europa entro il 2030 perché essa “ha un impatto positivo sulla biodiversità, crea posti di lavoro e attira giovani agricoltori”. Su queste basi, dunque, annuncia un imminente Piano di azione europeo per il biologico. La strategia promuove anche l’importanza di costruire sistemi del cibo sostenibili basati sulla diversità agricola, impegnandosi ad “adottare misure per facilitare la registrazione delle varietà di sementi, anche per l’agricoltura biologica, e garantire un più facile accesso al mercato per le varietà tradizionali e quelle adattate a livello locale”.

1 miliardo di euro è la dotazione del bando dedicato al Green Deal europeo per progetti di ricerca e innovazione che contribuiscano ad affrontare le sfide ambientali e climatiche in Europa

A supporto di questa strategia e in aggiunta allo specifico bando del Green Deal, la Ue sta preparando il nuovo programma per la ricerca Horizon Europe che dal 2021 servirà a sostenere innovazione e approfondimento in grado di favorire la transizione verso un’agricoltura più ecologica. Una potenza di fuoco non da poco che in Italia rischia di restare una possibilità non realizzata. Infatti da noi il dibattito non tocca neanche lontanamente la visione espressa a livello europeo. La discussione pubblica, purtroppo, è ancorata a una sterile contrapposizione ideologica tra “biologico” e “scienza”, come testimonia l’appello lanciato da alcuni scienziati che ha bloccato al Senato la legge quadro per promuovere l’agricoltura biologica e biodinamica o il fatto che non si riesca a far partire finalmente un serio Piano nazionale sementiero per il biologico. Anche la diversità agricola di cui l’Italia è ancora ricca, infatti, viene considerata dalla maggior parte del mondo scientifico nazionale una piccola nicchia museale in cui relegare agricoltori custodi e varietà antiche senza nessun impatto sull’agricoltura.

I prossimi mesi saranno fondamentali per costruire progettazioni, piani e alleanze che dovrebbero traghettare l’agricoltura italiana verso un nuovo modello. Saprà il mondo della ricerca agricola pubblica raccogliere la sfida, aprendosi alla complessità senza paure ideologiche?

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