Questo editoriale è frutto di suggestioni e spunti nati dal personaggio del mese, la biologa Lynn Margulis autrice della teoria della simbiogenesi, che afferma che non solo la selezione naturale, ma anche la collaborazione e la simbiosi, sono alla base dei processi evolutivi. Mi sembra una metafora interessante per leggere l’evoluzione di Rete Semi Rurali.
Ho visto nascere la Rete nel 2007 in un momento di sintesi fra alcuni organismi associativi che davano vita ad una struttura in grado di promuovere e fortificare la biodiversità coltivata e i diritti universali degli agricoltori. Da subito RSR ha compiuto salti evolutivi, dimostrandosi più plastica e resiliente dello stesso contesto che ne aveva favorito la nascita e favorendo la crescita di nuovi equilibri associativi partendo dai territori. La precedente teoria di Goldschmidt dei salti evolutivi che danno origine a “piccoli mostri speranzosi” ben spiega questa evoluzione, ma da sola non basta. Infatti, la chiave del successo di RSR è la capacità di creare simbiosi con nuovi organismi e territori attraverso una paziente inoculazione di enzimi che ne hanno pian piano trasformato anima e corpo consolidando le relazioni e la fiducia con chi dall’inizio ha partecipato alla sua vita e finendo per perdere la fiducia e il sostegno di chi l’ha probabilmente solo osservata.
Ecco qui prender corpo la simpatia per la tesi di Lynn Margulis, che trovate efficacemente sintetizzata a pag 15. Non è un semplice meccanismo di selezione ambientale ad aver fatto sopravvivere il piccolo mostro speranzoso ma la sua capacità di adattarsi all’ambiente che lo ospita, a sua volta influenzandolo e modificandolo. Una danza incessante di relazioni non statiche che si mettono in gioco per una sempre migliore vivibilità delle comunità e dei territori che oggi si preparano a vivere il domani correggendo con consapevolezza la rotta per aggirare l’inevitabile tempesta.
Nel 2021 stiamo realizzando la transizione formale di Rete Semi Rurali nel mondo del Terzo Settore: in realtà non è un semplice cambio di statuto o di organigramma quello che ci attende. La sfida sarà il riconoscersi in una vera e propria nuova aggregazione sancita da rinnovati patti che meglio rappresentino ciò che la Rete è diventata negli anni e che, pur fra non poche difficoltà, è chiamata a rimanere nel tempo: un agente di sinergiche, od ancor meglio simbiogenetiche, animazioni che legano soggetti e territori fra loro diversi in continua trasformazione evolutiva. Questo cambiamento formale di pelle consentirà un adattamento più efficace al metabolismo dei tempi attuali; ben consci del resto che, se il compito lo sapremo svolgere a dovere, non sarà l’ultima metamorfosi da affrontare.
I segnali positivi sono molteplici: mentre si amplificano gli echi del successo della Summer School sul Trattato FAO, partecipata e formativa nelle competenze e nelle alleanze, si tirano le fila dei progetti Liveseed e Dynaversity che forniscono nuovi strumenti per l’animazione delle comunità locali in una prospettiva europea; al contempo le Case delle Sementi e l’agricoltura sociale ed urbana conquistano nuovi spazi nelle attenzioni e nelle pratiche. Avremo il nostro da fare per soddisfare le esigenze di Gaia, dando gambe alla speranza del nostro “piccolo mostro”, per divenirne organelli simbiogenetici.
Questo numero inaugura una nuova veste editoriale e grafica del Notiziario, all’interno di una rivisitazione complessiva dell’immagine con cui RSR si presenta e comunica. Non è stata una scelta di puro make-up, bensì un investimento verso una maggiore capacità di divulgazione dei contenuti legati alle attività della Rete. Da aprile 2021 abbiamo anche il nuovo sito di RSR, contenitore di tutto il materiale prodotto in questi anni, che presenterà i principali articoli pubblicati sui Notiziari in una sezione dedicata in modo da renderli più facilmente fruibili e, in alcuni casi, in una versione più lunga rispetto allo spazio del cartaceo.
Proprio in questa direzione va anche un’altra bella novità: la nuova collaborazione con la rivista Terra Nuova. Le 2000 copie che normalmente vengono distribuite ai soci e ai partecipanti agli eventi di RSR verranno infatti affiancate da quelle che i lettori di Terra Nuova troveranno come inserto del numero di maggio: a partire poi dal numero di luglio, la rivista ospiterà anche una rubrica bimestrale curata dalla Rete.
Le nostre attività, grazie alla diffusione che Terra Nuova ha presso un pubblico attento ai vasti temi della transizione agroecologica, saranno quindi conosciute da un numero sempre maggiore di persone. Un ulteriore stimolo a lavorare sul linguaggio per renderlo più accessibile ai non addetti ai lavori, senza banalizzarlo. È una sfida che raccogliamo volentieri e non potevamo trovare tema più adatto di quello a cui è dedicato questo numero del Notiziario. Le Case delle Sementi sono, infatti, la più alta espressione della gestione collettiva e democratica di un bene che è centrale nella qualità della vita di noi tutti. Per fortuna il tema della biodiversità, naturale o coltivata che sia, sta acquisendo sempre maggiore centralità nella comunicazione, in particolar modo in questi sfortunati tempi di pandemia. Il rischio, come spesso accade, è che il termine venga usato a sproposito e si svuoti di senso o che, ancor peggio, acquisisca significati distorti.
Le Case delle Sementi sono appunto luoghi dedicati alla salvaguardia e gestione della biodiversità coltivata, ma sono contemporaneamente luoghi di costruzione di senso comune, di condivisione e riappropriazione di conoscenze e competenze, altrettanto importanti, della semente stessa. Lo scambio di semi è base essenziale per lo sviluppo di sistemi sementieri informali: è una pratica che richiede attenzione continua e consapevolezza. Insieme ai semi è essenziale che circolino informazioni e conoscenze sulle origini e sulle pratiche colturali e culinarie od officinali e artigianali a essi legate, senza sottovalutare malattie, virosi o problemi di germinazione. È per questo che il moltiplicarsi delle Case delle Sementi può fare la differenza nell’individuare una modalità di garanzia della qualità delle sementi, sulla quale, crediamo, si gioca la capacità di fare dello scambio delle sementi la base da cui evolvono e si affermano sistemi sementieri informali a livello locale. Le comunità di pratiche possono trovare linfa nei quartieri in cui hanno sempre maggiore spazio orti sociali e scolastici, o nelle comunità rurali che ritrovano il senso dell’agire collettivo nel rivisitare con attitudini contemporanee le migliori tradizioni del territorio che le ospita, per esserne a sua volta custodito.
Viviamo tempi buffi. O, piuttosto, meglio vederne il lato comico per non lasciarsi deprimere. Mi piacerebbe essere un artista dello sberleffo e non lo sono ma faccio fatica a restar serio nell’introdurre un numero del notiziario il cui articolo centrale descrive una situazione legislativa ed amministrativa ai limiti della comprensibilità. Per carità non sono certo i rocamboleschi sforzi fatti per garantire la leggibilità dell’articolo che voglio mettere in discussione quanto piuttosto l’anacronistica autoreferenzialità del sistema che ne ha prodotto i contenuti. Leggi e regolamenti dovrebbero servire a dar lettura certa di ciò che è lecito e ciò che non lo è nell’interesse della comunità che delega il legislatore. Rendendo poi chiare e funzionali, sempre nell’interesse della comunità, le prassi che ottemperano alle regole. Misurando a spanne sembra che la biodiversità venga trattata pochissimo come bene comune da salvaguardare ed integrare ma piuttosto alla stregua di un’eredità da spartire fra una litigiosa genia di legislatori e burocrati che si accaniscono nella logica del potere e del drenaggio di fondi per tenere in piedi la baracca. Ma il vento potrebbe anche rapidamente cambiare. Non si tratta più di gestire un ambito che interessa a pochi e in cui tale modalità di gestione desta scalpore solamente per una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Il patrimonio di biodiversità, anche nella sua accezione agraria, sta ormai nella sensibilità di una fascia sempre più ampia di popolazione che arriverà a rivendicarne la sovranità senza magari avere gli strumenti per gestirla adeguatamente. Ed allora se i mercanti del Tempio non scendono a più miti consigli nell’interesse della collettività cosa ci può essere di meglio di una pratica diffusa di autodeterminazione? Siamo in grado di mettere insieme le competenze? Sembrerebbe proprio di sì. Stare in Rete ha proprio questo scopo. Dobbiamo solamente diventare più lungimiranti e impegnarci a reperire le risorse. Un altro passo che, fatto collettivamente, può diventare meno impegnativo di quanto possa sembrare. Ormai abbiamo imparato che il lavoro biodiverso rende in termini economici e, se siamo attenti e innovativi, anche in termini di costruzione di comunità; quindi di innalzamento della qualità della vita e della sicurezza sociale, quella vera, basata sulla resilienza e la reciproca fiducia. Ne avremo bisogno nei tempi a venire: il tempo corre e le variazioni ambientali, la mancata promessa della riduzione delle emissioni, un sempre maggior accentramento della proprietà terriera in mano di pochi gruppi di speculatori, potrebbero farci attraversare periodi bui ma la fragilità dei giganti dai piedi d’argilla è ben contrastabile dalla plasmabilità delle reti territoriali che siano in grado di condividere scopi e regole per interpretarle adattandole nel migliore dei modi alle esigenze e alla cultura del territorio di riferimento. Parole vuote? Proclami al vento? Può darsi. Ma fino a che alle parole seguono i fatti c’è solo bisogno di esser pronti a rimboccarsi le maniche e a sparger seme con criterio e consapevolezza. Nelle pagine del notiziario troverete descritti alcuni dei percorsi in atto.
di Claudio Pozzi Coordinatore RSR
Incontro “Appennini vicini. Storie di miscugli, popolazioni e futuro”, 20 luglio 2019, Biblioteca del grano di Caselle in Pittari # foto R. Franciolini/RSR
La rivista internazionale “The Journal of Agricultural Science” (Cambridge) pubblica online un editoriale scritto in occasione del settantesimo anniversario della morte del genetista agrario Nazareno Strampelli, nato a Castelraimondo nel 1866 e morto a Roma nel 1942. Gli autori dell’articolo sono Sergio Salvi (ricercatore di Castelraimondo, collaboratore di ricerca presso l’INRAN di Roma), Oriana Porfiri (agronoma libera professionista di Urbisaglia) e Salvatore Ceccarelli (già professore ordinario di genetica agraria all’Università di Perugia).
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