Biodiversità o Burodiversità?

Biodiversità o Burodiversità?

Viviamo tempi buffi. O, piuttosto, meglio vederne il lato comico per non lasciarsi deprimere. Mi piacerebbe essere un artista dello sberleffo e non lo sono ma faccio fatica a restar serio nell’introdurre un numero del notiziario il cui articolo centrale descrive una situazione legislativa ed amministrativa ai limiti della comprensibilità.
Per carità non sono certo i rocamboleschi sforzi fatti per garantire la leggibilità dell’articolo che voglio mettere in discussione quanto piuttosto l’anacronistica autoreferenzialità del sistema che ne ha prodotto i contenuti.
Leggi e regolamenti dovrebbero servire a dar lettura certa di ciò che è lecito e ciò che non lo è nell’interesse della comunità che delega il legislatore. Rendendo poi chiare e funzionali, sempre nell’interesse della comunità, le prassi che ottemperano alle regole.
Misurando a spanne sembra che la biodiversità venga trattata pochissimo come bene comune da salvaguardare ed integrare ma piuttosto alla stregua di un’eredità da spartire fra una litigiosa genia di legislatori e burocrati che si accaniscono nella logica del potere e del drenaggio di fondi per tenere in piedi la baracca.
Ma il vento potrebbe anche rapidamente cambiare.
Non si tratta più di gestire un ambito che interessa a pochi e in cui tale modalità di gestione desta scalpore solamente per una ristretta cerchia di addetti ai lavori.
Il patrimonio di biodiversità, anche nella sua accezione agraria, sta ormai nella sensibilità di una fascia sempre più ampia di popolazione che arriverà a rivendicarne la sovranità senza magari avere gli strumenti per gestirla adeguatamente.
Ed allora se i mercanti del Tempio non scendono a più miti consigli nell’interesse della collettività cosa ci può essere di meglio di una pratica diffusa di autodeterminazione? Siamo in grado di mettere insieme le competenze?
Sembrerebbe proprio di sì. Stare in Rete ha proprio questo scopo. Dobbiamo solamente diventare più lungimiranti e impegnarci a reperire le risorse. Un altro passo che, fatto collettivamente, può diventare meno impegnativo di quanto possa sembrare. Ormai abbiamo imparato che il lavoro biodiverso rende in termini economici e, se siamo attenti e innovativi, anche in termini di costruzione di comunità; quindi di innalzamento della qualità della vita e della sicurezza sociale, quella vera, basata sulla resilienza e la reciproca fiducia.
Ne avremo bisogno nei tempi a venire: il tempo corre e le variazioni ambientali, la mancata promessa della riduzione delle emissioni, un sempre maggior accentramento della proprietà terriera in mano di pochi gruppi di speculatori, potrebbero farci attraversare periodi bui ma la fragilità dei giganti dai piedi d’argilla è ben contrastabile dalla plasmabilità delle reti territoriali che siano in grado di condividere scopi e regole per interpretarle adattandole nel migliore dei modi alle esigenze e alla cultura del territorio di riferimento.
Parole vuote? Proclami al vento? Può darsi. Ma fino a che alle parole seguono i fatti c’è solo bisogno di esser pronti a rimboccarsi le maniche e a sparger seme con criterio e consapevolezza. Nelle pagine del notiziario troverete descritti alcuni dei percorsi in atto.

di Claudio Pozzi Coordinatore RSR

Incontro “Appennini vicini. Storie di miscugli, popolazioni e futuro”, 20 luglio 2019, Biblioteca del grano di Caselle in Pittari # foto R. Franciolini/RSR