La guerra e la crisi economica fanno calare gli acquisti e i negozi specializzati faticano mentre la Gdo regge. Cresce clamorosamente l’hard discount
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 252 – Ottobre 2022
Dall’8 all’11 settembre si è tenuto a Bologna il Salone internazionale del biologico e del naturale (Sana). Se ormai una serie di padiglioni sono dominati dalla cosmetica bio (in costante ascesa), va sottolineato il ruolo crescente della sezione “Sanatech”. L’obiettivo è di caratterizzare la fiera anche come un momento nazionale di scambio su tecniche e pratiche tra operatori. È importante ricordarsi che non esiste un evento simile e di come, al contrario, sarebbe necessario per diffondere saperi e innovazioni.
Camminando tra gli stand, però, si respirava un’aria pesante: come se una tempesta perfetta avesse colpito il settore. Se, infatti, la crisi dovuta al Covid-19 ha avuto ripercussioni positive con un incremento delle vendite dei prodotti biologici, la guerra in corso, combinando aumento dell’inflazione e dei costi di produzione, sta avendo l’effetto opposto. E questo pessimismo diffuso è stato confermato dall’andamento dei numeri del settore, presentati a Sana. Il centro studi Nomisma e il Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica (Sinab) hanno raccontato lo stato dell’arte del biologico nel 2021 e nei primi sei mesi del 2022, confermando alcune tendenze in atto in questi dieci anni, ma registrando anche una flessione dei consumi interni, sia nel 2021 sia nel 2022.
Dal lato delle superfici coltivate e degli operatori biologici la crescita continua, con un incremento del 3%, per cui l’Italia arriva al 17,4% di ettari, diventando uno dei Paesi leader a livello europeo, anche se il traguardo del 25% indicato per il 2030 nella strategia “Farm to fork” della Commissione europea è ancora lontano. Per quanto riguarda i consumi interni, al contrario, la crisi economica si fa sentire: nel 2021 si registra una flessione del 4,6% rispetto all’anno precedente e i primi sei mesi del 2022 confermano questo andamento con un calo dell’1,1%. All’interno di queste percentuali ci sono, però, vincitori e vinti.
La flessione maggiore la registrano infatti i negozi specializzati (-8%) mentre la Grande distribuzione organizzata (ormai definita come Distribuzione moderna, Dm, per sancire l’ineluttabilità di questa tipologia distributiva) regge il colpo (+0,4%) e, addirittura, il mondo degli hard discount registra un clamoroso +13,8% rispetto al 2021. Secondo Nomisma, la Dm pesa ormai per il 57% delle vendite (era il 47% nel 2020), mentre negozi specializzati e altre forme di vendita locali scendono al 42% a fronte del 53% del 2020. Insomma, la crisi del potere di acquisto delle famiglie sta velocizzando un cambiamento epocale in un settore nato sulla base di una forte relazione di prossimità tra produzione e consumo.
Il calo dei consumi di prodotti biologici in Italia nel 2021 rispetto all’anno precedente è stato del 4,6%. Anche i primi sei mesi del 2022 registrano un andamento negativo (-1.1%)
Ma un altro fattore sta avendo un impatto forse ancora maggiore su questa trasformazione: l’aumento dei costi energetici di produzione dovuto alla guerra. La bolletta energetica sta mettendo in crisi soprattutto il mondo della trasformazione artigianale, incapace di far fronte con le proprie risorse economiche a un periodo lungo di contrazione delle vendite e aumento dei costi. Potremmo assistere alla scomparsa di questo tessuto produttivo, fatto di piccole e medie realtà con un forte attaccamento alle produzioni locali, a vantaggio di imprese di maggior dimensioni capaci di assorbire la crisi tramite l’accesso al mondo della finanza. Il fatto che l’export bio sia cresciuto del 16% tra il 2021 e il 2022 è un dato positivo, ma certifica anche la trasformazione che stiamo raccontando. Servirebbe il supporto della politica per non lasciare questi operatori in balìa delle speculazioni di mercato, ed evitare un’ulteriore desertificazione dei nostri territori.
Industria, scienza, politica e mercato spingono per usare i nuovi Ogm nelle coltivazioni bio. È una battaglia da combattere in campo
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 246 – Marzo 2022
Se la forza di un settore e la sua capacità di innovazione si vedono nei momenti difficili, i prossimi mesi saranno cruciali per il biologico. Una pericolosa insidia si nasconde dietro il suo successo. L’Unione europea ha stabilito nella strategia “From farm to fork” l’obiettivo del 25% della superficie a biologico nel 2030: significa un quarto dell’agricoltura europea che smette di usare prodotti chimici di sintesi. Il mondo industriale ha già risposto sottolineando come non sia possibile questo cambiamento senza mettere a rischio la produttività e sta, con sempre più forza, proponendo l’alternativa: al posto della chimica è necessaria l’innovazione tecnologica legata alle biotecnologie.
Solo usando quelle che si definiscono come Tecnologie per l’evoluzione assistita, Nuove tecnologie di miglioramento genetico o più semplicemente nuovi Ogm, a seconda del punto di vista di chi ne parla, l’agricoltura europea potrà essere produttiva, sostenibile e competitiva. È una narrazione potente che, saldando industria e scienza, ha già convinto i sindacati agricoli. C’è solo un piccolo problema, a oggi il biologico non può far uso di Ogm, così dice la legge e così vogliono le organizzazioni di settore rappresentate dalla Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica. Per risolvere questo dettaglio stiamo assistendo a due operazioni con l’obiettivo di mettere in un angolo il biologico e costringerlo ad accettare questa tecnologia. La prima lavora sul piano politico. In questi mesi a Bruxelles si deciderà se i nuovi Ogm saranno regolamentati come i vecchi (controlli stringenti basati sul principio di precauzione) o se avranno un loro sistema semplificato. In tal caso, non essendo Ogm, potranno essere usati nel biologico.
È pari al 25% la percentuale di superficie a biologico, stabilita dalla strategia “From farm to fork”, da raggiungere nel 2030
La seconda operazione è culturale. Nelle varie conferenze sul tema sono invitate a partecipare singole voci del biologico che, senza rappresentare nessuno se non loro stessi, esprimono il loro favore alle nuove tecnologie con le motivazioni di sempre: non si può perdere il treno del progresso, senza tecnologia non saremo in grado di competere con Paesi come la Cina, queste tecnologie risolveranno il problema della fame nel mondo. L’obiettivo è incrinare dall’interno le resistenze del biologico agli Ogm, vecchi e nuovi, e presentare ai decisori politici un biologico moderno e innovativo, pronto a lanciarsi nelle sfide tecnologiche, e uno passatista e antiscientifico. Non sarà facile resistere alla doppia morsa.
Nella peggiore delle ipotesi il biologico dovrà darsi degli standard privati per garantire l’assenza di nuovi Ogm dalle sue coltivazioni, ma come tracciarli se saranno deregolamentati? Quando sono arrivati i primi Ogm, a metà anni Novanta del secolo scorso, la mobilitazione sociale ha forzato la mano della politica portando di fatto a una moratoria della coltivazione in Europa. A quei tempi uno dei motori nascosti di questo successo è stata la grande distribuzione organizzata (Gdo), che da subito ha percepito il malessere dei cittadini e ha promosso campagne pubblicitarie contro gli Ogm.
Il risultato delle campagne ha portato al blocco degli Ogm, ma allo stesso tempo ha consentito alla Gdo di lanciare i prodotti a marchi proprio (private label), gli unici garantiti come Ogm free. Dietro gli Ogm è avvenuta una battaglia nella filiera agroindustriale che ha portato al consolidamento della Gdo. Sui nuovi Ogm, fino a oggi, nessun gigante dell’agroalimentare si è mosso ma sembra che questa volta la Gdo resterà a guardare la partita da spettatore, il suo risultato l’ha già ottenuto. Come potrà il biologico da solo con il suo mondo sociale di riferimento vincere l’invincibile armata, composta da industria, scienza, politica e mercato?
Il materiale eterogeneo biologico rappresenta una delle maggiori novità del nuovo regolamento europeo per il biologico (UE 2018/848) e un’evoluzione rispetto all’esperimento temporaneo sulle popolazioni di cereali (2014/150/UE).
Il materiale eterogeneo è definito come un insieme vegetale che:
a) presenta caratteristiche fenotipiche comuni;
b) è caratterizzato da un elevato livello di diversità genetica e fenotipica […];
c) non è una varietà […];
d) non è una miscela di varietà;
e) è stato prodotto in regime biologico (art. 3§19).
Queste popolazioni possono essere costituite da: miscele di incroci, miscele dinamiche e materiale non uniforme gestito in azienda. L’innovazione del materiale eterogeneo vale per tutte le specie agrarie e ortive, includendo anche popolazioni locali particolarmente eterogenee. La registrazione avviene tramite notifica da inviare all’ufficio Agricoltura Biologica del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Il Regolamento delegato (UE) 2021/1189 specifica i requisiti qualitativi e fitosanitari, di imballaggio ed etichettatura, per la tracciabilità e la manutenzione. Le ditte sementiere e gli agricoltori con licenza sementiera in deroga potranno inviare le notifiche dal primo gennaio 2022, dovranno essere iscritti al RUOP ed essere certificati bio.
Nonostante il mercato del biologico sia in espansione, la produzione di sementi che siano specificatamente pensate per la coltivazione nell’agricoltura a basso impatto e localizzata scarseggia, in quanto i profitti sono limitati alle modeste quantità necessarie.
AGRECOL ha prodotto un documento di proposte per il finanziamento del miglioramento genetico nel biologico, in collaborazione con OpenSourceSeeds che promuove il concetto di semi come proprietà collettiva.
Modelli di finanziamento proposti nel documento:
miglioramento genetico a livello di comunità
miglioramento genetico su richiesta
outsourcing dei processi di finanziamento a mediatori speciallizati
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