da Manuele Bartolini | Mag 29, 2024 | Articoli, Notiziari, Seminare il cambiamento
di Johanna Eckhardt – No Patents on Seeds
La legge Europea sui brevetti ne vieta l’uso su varietà vegetali e razze animali e sui metodi di miglioramento genetico convenzionali: un brevetto può essere concesso soltanto se un carattere viene inserito nel genoma attraverso tecniche di ingegneria genetica.
Tuttavia, nonostante i richiami da parte dell’UE, negli ultimi 10 anni l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO) ha concesso circa 200 brevetti su metodi di miglioramento convenzionali. Tali brevetti riguardano ormai oltre 1.000 varietà di piante selezionate in modo convenzionale. Il numero crescente di brevetti concessi in questo modo e la conseguente incertezza giuridica minacciano il miglioramento genetico delle piante, compreso quello portato avanti dagli agricoltori, nonché la sovranità alimentare europea. L’UE deve fermare questa tendenza e garantire che le leggi europee siano interpretate correttamente. La diversità biologica deve continuare a essere disponibile per il miglioramento genetico futuro!
Fin dall’introduzione della Direttiva 98/44/CE, in Europa sono stati concessi migliaia di brevetti su piante e animali geneticamente modificati. L’EPO, un’organizzazione indipendente dall’UE, ha adottato questa normativa comunitaria, che è quindi diventata effettiva nei suoi 39 stati aderenti. Con l’introduzione delle nuove tecniche genomiche (NGT), il numero di brevetti è in drastico aumento, con le grandi multinazionali (Corteva – ex DowDupont e Bayer, tra le altre) in testa alla corsa. Le ditte sementiere europee di minori dimensioni che desiderano utilizzare le nuove tecnologie sono pertanto costrette a firmare contratti con aziende più grandi e a dipendere da loro.
Come già in passato, anche nel caso delle NGT, la portata dei brevetti non si limita alle piante geneticamente modificate, ma spesso include rivendicazioni sulle modifiche genetiche stesse, anche quando queste sono il risultato di una mutazione casuale: per esempio, sono stati concessi brevetti alla ditta sementiera KWS su mais ottenuto da miglioramento genetico tradizionale e poi “reingegnerizzato” con CRISPR/Cas.
È di somma importanza, invece, mantenere l’indipendenza del miglioramento genetico in Europa: l’accesso alla diversità biologica non deve essere controllato o bloccato, soprattutto di fronte ai cambiamenti climatici e all’erosione della biodiversità. I brevetti su processi di semplice incrocio e selezione, su variazioni genetiche naturali o risultanti da mutagenesi casuale devono essere vietati. Deve essere vietata anche l’estensione delle rivendicazioni contenute nei brevetti a piante e animali con caratteri simili a quelli brevettati ma ottenuti con metodi convenzionali.
Il Parlamento europeo e gli Stati membri sono consapevoli di questo problema. Ma è soprattutto l’ EPO, tramite il suo Consiglio di amministrazione (che si riunisce quattro volte l’anno) a dover interpretare correttamente la legge. A livello nazionale, gli stati membri potrebbero adeguare la loro legislazione, inviando un forte segnale politico. In Austria, per esempio, la legge nazionale sui brevetti è stata rivista nel 2023, limitandone strettamente l’applicazione alle sole sementi geneticamente modificate.
Per quanto riguarda la riforma in corso sulle NGT, è stato proposto che l’UE potrebbe vietarne la brevettabilità. Con questa mossa si dà l’impressione che le piante NGT, in quanto deregolamentate, non potranno più essere brevettate. Tuttavia, la (de)regolamentazione delle NGT non ha nulla a che fare con la legge sui brevetti. Le piante NGT restano brevettabili nell’UE, anche qualora non dovessero essere più sottoposte alla valutazione del rischio: verrebbero escluse dalla brevettabilità solo allorquando i 39 membri dell’EPO si accordassero all’unanimità per modificare le leggi esistenti. Ma questa strada è bloccata dall’industria, dalle lobby e da diversi stati membri stessi.
Non si tratta insomma di cambiare le leggi, ma di interpretare correttamente i divieti esistenti. Sarebbe sufficiente una maggioranza di tre quarti dei voti in seno al Consiglio dell’EPO; l’UE potrebbe già portare circa 27 dei 30 voti necessari per una maggioranza. Una tale iniziativa per vietare i brevetti sulla riproduzione convenzionale sarebbe estremamente urgente: se non ci sarà un’interpretazione chiara e giuridicamente sicura, le multinazionali saranno presto in grado di controllare tutte le sementi – prodotte con o senza ingegneria genetica.
La campagna di NO PATENTS ON SEEDS! manda un messaggio alla Commissione Europea e chiedi che si mobiliti! https://www.no-patents-on-seeds.org/en/campaign
da Manuele Bartolini | Mar 4, 2024 | legislazione sementiera, Seminare il cambiamento
“Il futuro del sistema agro-alimentare non è un interesse esclusivo degli agricoltori ma riguarda tutti i cittadini”
Le proposte di modifica della Politica Agricola Comune presentate dalla Commissione europea e sostenute dal Governo italiano ci riportano indietro di 25 anni! Non può esistere l’agricoltura senza la tutela del suolo, delle acque, dell’aria, del benessere degli animali e del nostro capitale naturale.
23 Associazioni hanno inviato una lettera al Ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida, per chiedere un confronto sul futuro dell’agricoltura e dei sistemi agro-alimentari in Europa e nel nostro Paese, allargato anche alle Associazioni ambientaliste, animaliste e dell’agroecologia.
“La mobilitazione degli agricoltori delle ultime settimane ha riportato alla cronaca un conflitto, vero o presunto, tra gli obiettivi della necessaria e imprescindibile transizione ecologica e la produzione primaria”, scrivono le 23 Associazioni da molti anni impegnate nella promozione di una transizione agro-ecologica del modello agricolo sia nazionale che globale, sempre disponibili al confronto con le Istituzioni, le parti economiche e sociali.
“Consapevoli delle difficoltà che il sistema agro-alimentare sta affrontando da molti anni, siamo convinti che la causa non risieda nelle norme ambientali, ma essenzialmente in problemi strutturali del settore primario, che richiedono un forte impegno istituzionale e di tutti i soggetti interessati”, sottolineano le 23 Associazioni rivolgendosi al Ministro.
Contrapporre gli obiettivi della sostenibilità ambientale a quelli della sostenibilità economica delle aziende agricole sarebbe un grave errore, perché i due obiettivi sono strettamente connessi. Le Strategie europee “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” non sono la causa della crisi economica del settore agro-alimentare, ma sono parte della soluzione del problema della sostenibilità del reddito degli agricoltori. Per questi motivi le Associazioni esprimono le loro preoccupazioni per l’indebolimento degli obiettivi della Politica Agricola Comune discussi nell’ultimo Consiglio europeo AgriFish. La Commissione europea ha proposto la cancellazione di alcuni impegni previsti dalla condizionalità del primo pilastro, le azioni obbligatorie per la tutela dell’ambiente, del suolo e della biodiversità collegate ai pagamenti di base che gli agricoltori ricevono con la domanda annuale della PAC. Queste proposte della Commissione europea soddisfano solo in parte le richieste avanzate da alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, che hanno chiesto l’eliminazione degli impegni per la protezione delle zone umide e delle torbiere, per il mantenimento della sostanza organica dei suoli, l’obbligo delle rotazioni e delle superfici destinate alla conservazione della natura. Il Commissario all’agricoltura, Janus Wojciechowski, ha dichiarato di essere favorevole a queste modifiche proponendo di trasformare questi impegni obbligatori in schemi volontari per gli agricoltori da retribuire con risorse aggiuntive rispetto ai pagamenti di base della PAC.
Cancellando di fatto la maggior parte degli impegni ambientali della PAC attuale si determinerebbe un ritorno al passato di 25 anni, ignorando le gravi crisi ambientali del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità che dobbiamo oggi affrontare con urgenza. Ignorare questi problemi significa esporre l’agricoltura europea e nazionale a seri rischi, con perdite di rese e quindi di reddito per gli agricoltori, aggravando la crisi economica determinata dalle speculazioni finanziarie e dalle dinamiche dei prezzi dei prodotti agricoli.
Questa marcia indietro sugli impegni ambientali della PAC 2023-2027 rischia di stravolgere anche l’impostazione del Piano Strategico Nazionale. Rivolgendosi al Ministro Lollobrigida le 23 Associazioni hanno evidenziato di aver appreso dalla stampa la costituzione di un “Tavolo politico permanente” per discutere delle possibili modifiche di tale Piano con le sole Associazioni agricole, e chiedono “che anche le Associazioni della società civile siano rappresentate all’interno del suddetto tavolo, così come previsto dal Regolamento europeo”. Le 23 Associazioni ricordano inoltre che questo Tavolo non deve e non può sostituirsi al Comitato di monitoraggio del Piano Strategico Nazionale, sede nella quale devono essere discusse e decise le modifiche al Piano Strategico.
Il futuro dell’agricoltura e dei sistemi agro-alimentari non può essere considerato un interesse esclusivo delle Associazioni agricole ma riguarda tutti i cittadini. Per questo, concludono le 23 Associazioni, “siamo convinti della necessità di una fattiva collaborazione e il superamento dell’attuale, infruttuoso, clima di contrapposizione. Tutto il comparto agricolo e le Associazioni della società civile devono essere motori della transizione ecologica dell’economia per affrontare le crisi, economica, sociale e ambientale, che hanno effetti drammatici sull’agricoltura”
Roma, 29 febbraio 2024
Le 23 Associazioni ambientaliste, animaliste, dell’agroecologia e dei consumatori che inviano questo comunicato rappresentano un’ampia alleanza che condivide la visione di una transizione ecologica dell’agricoltura italiana ed europea, che tuteli tutti gli agricoltori, i cittadini, gli animali e l’ambiente.
da Manuele Bartolini | Feb 16, 2024 | Articoli, Comunità
di Francesca Pisseri – Ass. Italiana di Agroecologia e Rachele Stentella – Rete Semi Rurali
Nelle aree interne, agricoltura e allevamento sono sempre stati strettamente connessi poiché l’animale partecipava alla gestione del sistema di cui faceva parte, rendendo possibile il riciclo dei nutrienti.
Nelle aree interne, agricoltura e allevamento sono sempre stati strettamente connessi poiché l’animale partecipava alla gestione del sistema di cui faceva parte, rendendo possibile il riciclo dei nutrienti. L’animale riesce infatti a metabolizzare biomassa non digeribile dall’uomo, spesso presente su terreni difficilmente meccanizzabili, e la restituisce sotto forma di cibo per le persone. In questo modo rende possibile: l’aumento della fertilità del suolo (accrescendo quindi la sanità e la produttività delle coltivazioni aziendali, secondo un approccio agroecologico), le lavorazioni del terreno e l’utilizzo di aree che diversamente non sarebbero produttive, beneficiando al contempo del benessere legato al movimento.
La zootecnia intensiva di pianura ha creato una forte scissione tra agricoltura e allevamento, portando prima il modello dei “grandi allevamenti” in pianura e successivamente traslando questo modello in montagna, creando numerosi danni all’ambiente, ad esempio il sovrapascolo, o la necessità di integrazione proteica con conseguente eccessivo carico di azoto e modificazione della flora.
L’abbandono graduale della piccola zootecnia di montagna (e collina) ha causato significative modifiche nel paesaggio agrario lasciando spazio all’avanzamento del bosco e di conseguenza a una riduzione dei prati-pascoli. Il prato polifita è un sistema evolutivo che ha bisogno del continuo asporto e apporto fornito dagli erbivori come bovini e pecore per poter mantenere sia la sua biodiversità (le “aree aperte” facilitano la coesistenza con altre specie), che la fertilità e il mantenimento del paesaggio, tutti aspetti fondamentali per l’equilibrio dell’agroecosistema. Il bosco, inoltre, può fornire un microclima adatto all’animale, un microbioma del suolo in salute e un elevato tasso di biodiversità, che aiutano gli animali ad avere un sistema immunitario efficiente, diminuendo l’utilizzo di farmaci. Il bosco, inoltre, può fornire agli animali foraggio verde (frasche), che in alcuni periodi dell’anno è ricco di fibra digeribile e proteine costituendo una valida alternativa alla granella di leguminose propria del sistema intensivo, riducendo quindi la competizione con le colture destinate all’uomo.
Uno degli aspetti più importanti su cui le aziende agroecologiche si distinguono da quelle di stampo intensivo è il ripristino della fertilità del suolo che viene ottenuto grazie alla loro capacità di creare interazioni fra le specie animali (che forniscono azoto tramite la pratica del compostaggio e del pascolamento) e vegetali (che forniscono integrazione alla razione animale e allo stesso tempo alimenti per l’uomo). La biodiversità genetica e di specie vegetali e animali garantisce la stabilità del sistema.
Tenuto conto delle motivazioni sopracitate, per reinserire l’animale nelle piccole aziende di montagna è fondamentale considerare le esigenze e le criticità del luogo, ripartendo prima di tutto dalla promozione della diversità genetica: razze a duplice attitudine e/o popolazioni locali derivanti da incroci, in passato le razze erano tutte a triplice attitudine: latte-carne-lavoro. È inoltre necessaria una adeguata formazione degli operatori, per evitare di trasferire in montagna i modelli produttivi di pianura. Nelle aree interne i piccoli allevamenti possono contribuire a creare economie locali, alla manutenzione dei territori, utilizzando aree difficilmente lavorabili in agricoltura.
da Manuele Bartolini | Nov 17, 2023 | Campagne, legislazione sementiera, Seminare il cambiamento
Una campagna internazionale chiede alle istituzioni Europee di riconsiderare la proposta di riforma della legislazione sementiera
17 Novembre 2023 – Comunicato stampa
Bruxelles, Firenze, Schiltern – Oggi, diverse reti e organizzazioni che si occupano di sementi e agrobiodiversità lanciano la campagna europea “La tua voce per la diversità!”. La petizione richiede che siano apportate modifiche importanti alla proposta legislativa sulla commercializzazione delle sementi presentata dalla Commissione europea nel luglio 2023. Ai membri del Parlamento europeo e ai ministri dell’Agricoltura dell’UE chiediamo di garantire che la legge sementiera promuova la
coltivazione e la circolazione dell’agrobiodiversità e ponga le basi per la costruzione di sistemi sementieri, agricoli e alimentari resilienti e diversificati. “La riforma della legge europea sulle sementi sarà cruciale per definire il futuro della nostra agricoltura e del cibo che arriva sulle nostre tavole.
Dobbiamo mobilitarci in modo che tale legislazione favorisca la circolazione di sementi e varietà diverse e si opponga agli interessi dell’agroindustria”, chiedono le organizzazioni: “I tempi del negoziato europeo sulla proposta sono stretti: ogni contributo, ogni singola firma a sostegno della diversità, conta!”
La richiesta fondamentale della campagna è che la diversità sia la priorità principale della legge
sementiera Europea!
Invece, la proposta attualmente in fase di discussione e livello Europeo, minaccia la conservazione e la circolazione dell’agrobiodiversità e non rispetta i diritti degli agricoltori rispetto alle sementi. Le norme attualmente in vigore per regolamentare il mercato sementiero Europeo risalgono, nella loro struttura fondamentale, agli anni Sessanta e sono state pensate per il modello sementiero e agricolo agro-industriale. I sistemi sementieri locali, diversificati (con le varietà localmente adattate che vi circolano), sono state da quel momento marginalizzati e sottoposti ad un eccessivo carico burocratico. Il mondo dell’agroindustria sta cercando di chiudere più strettamente le maglie della legislazione sementiera, per favorire ulteriormente il sistema sementiero agro-industriale e ridurre ancor più gli spazi per la circolazione di sementi e varietà diversificate. “Con questa proposta, corriamo il rischio che le corporazioni agroindustriali acquisiscano il controllo
pressoché totale del nostro sistema alimentare. Le nuove regole sottopongono ad un eccessivo carico burocratico il lavoro di chi conserva, scambia e riproduce sementi e varietà locali e non tengono in considerazione il diritto che hanno gli agricoltori di scambiare e vendere le sementi. Molti di questi attori, impegnati nella conservazione e l’uso sostenibile della diversità, sarebbero costretti a smettere, con conseguenze disastrose sul mantenimento della diversità genetica delle specie coltivate. Le nuove regole sono inoltre del tutto inadeguate considerando la crisi climatica ed ambientale. La proposta è inaccettabile” sono le parole di Magdalena Prieler, esperta di politiche sementiere per l’organizzazione austriaca ARCHE NOAH.
“I Ministri dell’Agricoltura ed il Parlamento Europeo devono agire adesso, per promuovere la diversificazione dei sistemi sementieri introducendo specifiche deroghe all’interno del nuovo regolamento. La proposta deve favorire la conservazione on-farm (nei campi degli agricoltori) e l’uso sostenibile dell’agrobiodiversità, comprese le varietà tradizionali, e quelle sviluppate tramite processi decentralizzati e partecipativi con gli agricoltori, per adattarsi alle loro specifiche condizioni locali”
spiega Riccardo Bocci, direttore tecnico di Rete Semi Rurali, associazione che unisce più di 40 organizzazioni dedicate alla conservazione e la gestione dinamica dell’agrobiodiversità in Italia. “La diversità è la chiave per costruire sistemi alimentari sani e sostenibili.
Grazie a questa campagna, ognuno di noi può far sentire la sua voce per sostenere l’agrobiodiversità ed il
diritto degli agricoltori ad utilizzarla”.
La campagna chiede che:
- La conservazione e l’uso sostenibile della diversità locale siano una priorità delle leggi sementiere europee
- Il diritto degli agricoltori alla riproduzione, l’uso, lo scambio e la vendita delle sementi sia pienamente rispettato
- La commercializzazione di varietà diverse e localmente adattate sia facilitata
- Le varietà immesse sul mercato non dipendano da pesticidi e fertilizzanti
La campagna è attualmente disponibile in inglese, olandese, tedesco e italiano. Sarà tradotta in altre lingue nel prossimo futuro.
La versione italiana è disponibile qui: LA TUA VOCE PER LA DIVERSITÀ
Scarica il comunicato stampa in PDF
Per ulteriori informazioni:
Riccardo Bocci
Direttore tecnico
+39.328.3876663
r.bocci@semirurali.net
Gea Galluzzi
+39.348.4030812
geagalluzzi@semirurali.net
da Manuele Bartolini | Ott 15, 2023 | Articoli, Collaborazioni redazionali, legislazione sementiera, Seminare il cambiamento
Superare il dogma dell’uniformità in campo richiede un cambiamento sociale, economico, tecnico e culturale che avrà vincitori e vinti. Non c’è tempo da perdere.
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 263 – Ottobre 2023
Mi è capitato sottomano un articolo di Le Scienze del 1987 dal titolo “La monocoltura”, in cui si legge che uniformità colturale e monocolture (la successione della stessa specie, anno dopo anno, nello stesso campo) sono uno degli effetti della modernizzazione agricola che ha permesso la crescita di produttività, grazie al supporto della chimica di sintesi. La specializzazione colturale ha permesso l’aumento delle superfici aziendali e scollegato definitivamente allevamento e agricoltura. Questo legame, fondamentale per assicurare la fertilità del suolo, infatti non è più necessario proprio grazie ai fertilizzanti. Tra le cause individuate nella diffusione delle monocolture gli autori ricordano la meccanizzazione e le economie di scala.
L’articolo, però, già allora avanzava alcune critiche al modello, indicando effetti collaterali come l’erosione del suolo e la perdita di sostanza organica. E proponeva una serie di tecniche alternative come le rotazioni, appropriati avvicendamenti colturali e una copertura del suolo continua.
Insomma, anche 35 anni fa era evidente la strada che aveva intrapreso l’agricoltura e come fosse necessaria una drastica correzione di rotta. Da allora, altri fattori sono diventati rilevanti nel favorire la specializzazione colturale e le monocolture in una corsa senza senso verso l’uniformità. La grande distribuzione organizzata, con il suo sistema di logistica, e la concentrazione del mercato dei fattori produttivi (sementi, fertilizzanti e pesticidi) lasciano sempre meno scelte agli agricoltori. Nel 1987 gli autori dell’articolo non potevano ancora annoverare tra gli effetti perversi dell’uniformità colturale una minore capacità di far fronte ai cambiamenti climatici.
A questa conclusione, invece, sono giunti i ricercatori che hanno scritto “Crop diversity buffers the impact of droughts and high temperatures on food production”, pubblicato a giugno 2023 sulla rivista Environmental research letter. Attraverso l’analisi di 58 anni di dati su clima, produzioni e redditi di 109 colture in 127 Paesi, gli autori affermano che “una maggiore diversità delle colture riduce gli impatti negativi della siccità e delle alte temperature sulle produzioni agricole”, evidenziando “il potenziale non ancora sfruttato della diversità delle colture per una maggiore resilienza alle condizioni meteorologiche”.
Sono state 109 le colture prese in esame per un periodo di 58 anni in uno studio scientifico dedicato agli impatti dell’agrodiversità su siccità e aumento delle temperature
Insomma, in pieno antropocene e in balia dei cambiamenti climatici il settore agricolo non può più nascondersi. Deve accettare la responsabilità di essere uno dei maggiori responsabili della crisi odierna, e allo stesso tempo prendere su di sé la sfida di svolgere un nuovo ruolo per favorire la sua transizione agroecologica. Si tratta di un passaggio non facile. Anni di ubriacatura tecnologica, basati sull’illusione del progresso unidimensionale dei modelli agricoli hanno creato un baratro culturale che è difficile recuperare in così poco tempo.
Passare dal dogma dell’uniformità e della monocoltura alla diversità richiede un processo sociale, economico, tecnico, scientifico, culturale e politico di cambiamento che avrà vincitori e vinti. Un processo che dovrà ridistribuire il potere all’interno delle filiere alimentari e anche nella ricerca agricola. Non si tratta solo di democratizzare o spezzare monopoli e oligopoli economici, ma di decolonizzare le nostre menti.
Realizzare che il progresso agricolo non è una linea retta che va dal passato al futuro, dai contadini agli imprenditori agricoli, dall’agricoltura familiare a quella capitalistica, è innanzitutto un processo culturale. Tante sarebbero le strade e i modelli possibili se avessimo la capacità di ascoltare le innovazioni che nascono nei diversi territori, cercando soluzioni fuori dai percorsi già battuti, e aprendo le nostre realtà sociali alla reciproca contaminazione.
CREDIT ALTRECONOMIA