
Barbara McClintock
(1902-1992)

Scienza, intuizione, osservazione: fra le varie donne scienziate dell’agricoltura mondiale Barbara McClintock occupa una posizione di rilievo.
È a lei che si deve la scoperta degli elementi trasponibili sul mais, ovvero di quei geni che sono in grado di modificare la propria posizione nel genoma (trasposoni o jumping genes). La scoperta fu di fondamentale importanza perché superava i paradigmi della genetica dell’epoca dando una visione molto più flessibile ed elastica del codice genetico che sarebbe stata poi confermata da studi successivi.
Cresciuta in una famiglia che le insegna innanzi tutto a seguire le proprie inclinazioni, la giovane Barbara si iscrisse al Dipartimento di botanica della Cornell University, scegliendo di specializzarsi in citologia. Questo per aggirare la preclusione verso le donne del dipartimento di Miglioramento vegetale. La giovane scienziata era fortemente incline allo studio e all’università ebbe modo di mostrare il suo carattere anticonformista che avrebbe trasposto poi in un approccio alla ricerca aperto e intuitivo.
Nel 1927 conseguì il dottorato e fu assunta dalla stessa Cornell come insegnante non di ruolo, continuando i suoi studi sulla genetica del mais e sulla ricombinazione genetica. Nel 1931 pubblicò i risultati del suo lavoro, in cui dimostrava che la ricombinazione avveniva tramite uno scambio fisico di parti di cromosomi omologhi (crossing over). Negli anni successivi collaborò con altri genetisti come M. Rhoades e G. Beade (Nobel 1958) diventando ben presto un’affermata ricercatrice. Professore a 35 anni, presso l’Università del Missouri, Barbara trovò difficoltà a proseguire la sua attività di ricerca, in un ambiente burocratico e discriminatorio verso le donne e si trasferì all’Istituto Carnegie di Washington dove si dedicò alla ricerca di laboratorio a tempo pieno.
L’ambiente adatto e la sua libertà di pensiero e di analisi la portarono, nel 1951, all’identificazione di geni che, a seconda di dove si spostano su un cromosoma, fanno assumere colori diversi ai chicchi di una stessa pannocchia di mais. Una scoperta che non fu compresa da gran parte dei genetisti suoi colleghi ma che fu fondamentale per lo sviluppo del miglioramento genetico. Le implicazioni dei suoi lavori furono enormi e aprirono nuove strade allo studio della genetica e alla comprensione della diversità all’interno della specie. Due anni dopo, la descrizione della struttura a doppia elica del DNA contribuì a chiarire il meccanismo fisico della trasposizione e, successivamente i suoi lavori furono confermati da altri scienziati di tutto il mondo.
Il riconoscimento delle sue scoperte avvenne 35 anni dopo quando fu tra le prime donne a ricevere il premio Nobel per la medicina (1983). Un riconoscimento tardivo per una scienziata che era stata, fin dal 1944, membro dell’Accademia americana delle scienze, dal 1945 presidente della Genetics Society of America (prima donna) ed aveva ricevuto numerosi premi prestigiosi, decine di dottorati honoris causa e, nel 1981, tre premi che spesso preludono al Nobel: Wolf, Lasker e MacArthur alla carriera.
Se il valore scientifico della MCClintock è enorme, è giusto riconoscere che il suo insegnamento si traduceva nel guardare attentamente la realtà e inseguire le proprie intuizioni: «Bisogna sempre credere alle nostre osservazioni, per quanto bizzarre possano essere. Forse stanno cercando di dirci qualcosa». Un insegnamento quanto mai attuale.
di Daniele Vergari