Tra il 2010 e il 2020 è diminuito il numero delle piccole aziende a conduzione familiare a favore di un modello imprenditoriale basato sull’efficienza
di Riccardo Bocci – Tratto da Altreconomia 251 – Settembre 2022
Istat ha pubblicato a giugno 2022 il nuovo Censimento generale dell’agricoltura, che aggiorna quello del 2010 ed è riferito all’annata agraria 2019-2020. Da una lettura dei primi risultati emerge un quadro su cui è importante riflettere. Viene descritto un cambiamento importante in atto nelle nostre campagne, legato a quel processo di modernizzazione avviato nel secondo dopoguerra, mai compiuto in Italia a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi europei.
Mi riferisco in particolare ai dati relativi al numero di aziende, alla superficie media aziendale, alla tipologia di possesso dei terreni e alla forma giuridica delle imprese. Finora abbiamo raccontato una struttura agraria italiana composta da piccole o piccolissime aziende (media nazionale cinque ettari), a gestione familiare e di proprietà, in cui lo sfruttamento del lavoro è per lo più a carico dei componenti della famiglia.
Questa fotografia ha retto quasi 50 anni di Politica agricola comunitaria (Pac) che ha cercato -con varie misure economiche- di accorpare le aziende, ridurne il numero in modo da aumentare la loro competitività, in una visione esclusivamente economica del loro ruolo nella società. L’obiettivo da raggiungere era il modello statunitense. Malgrado questo enorme sforzo, la realtà italiana è cambiata poco in quegli anni: la diversità dei contesti agricoli, la presenza di famiglie contadine con redditi extra-agricoli, e un certo strabismo nell’applicazione delle politiche europee (ricordiamoci che il più grande sindacato del settore si chiama Coldiretti e ha sempre basato la sua forza sul supporto alla piccola azienda familiare) sono stati elementi che hanno limitato l’impatto delle politiche modernizzatrici. Oggi, nel confronto tra 2010 e 2020, sembra che questa tendenza stia cambiando. La superficie agricola utile (Sau) ha superato la soglia dei dieci ettari (11,1 per l’esattezza) e la contrazione della Sau totale è stata molto minore in proporzione del numero di aziende.
In pratica sono scomparse circa 400mila aziende (-30%), mentre la superficie agricola si è ridotta solo del 2,5%. Rispetto alla proprietà della terra abbiamo assistito a una drastica riduzione della proprietà come forma di conduzione (-44,1%) e a un aumento quasi uguale dei terreni in affitto (+49,7%). Anche le imprese individuali o familiari si sono ridotte (-32%) per fare spazio alle società di persone (+15%), di capitali (+42,4%), cooperative (+5,1%) o a forme di gestione collettiva della terra (+11,7%).
È in atto un terremoto silenzioso nelle nostre campagne, che, sebbene auspicato dalle dottrine economiche in nome dell’efficienza e della competitività, cambierà la geografia e il paesaggio della penisola. Inoltre, disaggregando i dati su base regionale, si vede che l’emorragia è maggiore al Sud e nell’Isole, o più in generale in tutte le Regioni che hanno al loro interno delle aree marginali come colline o montagne. Sta arrivando a compimento quello spopolamento delle aree rurali marginali, dove l’agricoltura è stata per anni non solo capace di gestire territori difficili, ma anche di costruire quei paesaggi oggi venduti nelle cartoline ai turisti. In questi anni non siamo stati in grado di inventare un modello di sviluppo per frenare la loro desertificazione. Le sole politiche assistenziali a pioggia non hanno funzionato: è mancata una visione condivisa in grado di proiettarle nel futuro, al di là degli stereotipi legati al prodotto tipico o tradizionale.
E in assenza di una visione questi cambiamenti sono arrivati come naturali, causati da un lato dalla scomparsa delle generazioni ancora legate all’agricoltura, dall’altro all’azione continua e pressante del mercato dominato sempre più dalle strategie della grande distribuzione organizzata e dall’hard discount. Sarebbe il momento giusto per organizzare una Conferenza agraria nazionale per capire che cosa sta succedendo e cercare di costruire una nuova visione per l’agricoltura nella società, che superi la mera produzione di materia prima per l’agroindustria.
Il Biodistretto Valle Camonica, tra le provincie di Brescia e Bergamo, nasce con l’intento di promuovere la cura del paesaggio, il recupero dei terreni incolti di montagna per la coltivazione di cereali, la costruzione di filiere produttive locali e la diffusione di pratiche ecologiche e rigenerative di agricoltura. La nascita del primo bio distretto della Lombardia è del 2014 con l’accordo di collaborazione, facilitato da AIAB, tra 12 enti locali, istituzioni scolastiche dei territori, 12 aziende agricole biologiche, 6 cooperative sociali, associazioni ambientaliste, culturali e di rappresentanza degli operatori turistici e della ristorazione. Nel tempo è riuscito a coinvolgere nelle proprie attività una porzione estesa del territorio della Valle Camonica costruendo una fitta rete di collaborazione. Questo percorso si è concretizzato nel recupero di piccoli terreni per la coltivazione dei cereali attraverso il disboscamento e la sistemazione dei versanti, la consociazione e la rotazione delle colture, la scelta di semi e colture resistenti adatte a questo paesaggio agricolo a mosaico. Da questo primo lavoro di cooperazione è nata la possibilità di lavorare più specificatamente sulle filiere dei cereali di montagna attraverso la condivisione di attrezzature agricole, di occasioni di formazione per gli agricoltori con lezioni in campo e viaggi di studio, nei percorsi di consapevolezza per bambini e famiglie mediante esperienze dirette nelle aziende agricole e nella Casa Museo di Cerveno. In questo ultimo periodo si è approfondito anche il tema della diversificazione e selezione varietale per la definizione di varietà adatte a crescere su terreni situati tra i 400 e i 1400 metri, di piccole dimensioni, in forte pendenza, senza irrigazione e senza trattamenti chimici. Si tratta di semi di segale, orzo, frumento, mais, grano saraceno, conservati da tempo dalla comunità Camuna a cui si sono aggiunti i semi provenienti dalla Casa delle Sementi di RSR. La Cooperativa Agricola di Comunità Germinale si è costituita a Demonte in Valle Stura, nella provincia di Cuneo, nel maggio del 2018 dall’incontro tra un gruppo di attivisti della zona e l’associazione “Insieme diamoci una mano” per la valorizzazione dei terreni abbandonati ricevuti dal Comune di Demonte in eredità da un vecchio contadino del Fedio. La Cooperativa è impegnata nella coltivazione di orticole in media e bassa Valle Stura e in altre parti delle valli del cuneese, nella pulizia di castagneti per conto dell’Associazione Fondiaria Valli Libere, nelle trasformazioni agro-alimentari realizzate nel laboratorio di comunità e nella formazione alle tecniche di agricoltura conservativa e allevamento di montagna. La Cooperativa intende l’agricoltura come uno strumento per creare e rafforzare legami e rapporti di solidarietà ed è impegnata nel sostenere il percorso di integrazione di 4 richiedenti asilo ospitati presso il CAS di Festiona. Germinale sta sperimentando la riproduzione controllata di alcune specie spontanee della Valle Stura, verificando la loro adattabilità e approfondendo le tecniche di trasformazione alimentare più idonee per creme, condimenti, conserve e tisane. La Cooperativa intende promuovere la coltivazione di queste specie tra le piccole aziende agricole della Valle in modo da preservare l’integrità della popolazione spontanea, evitando fenomeni di “depredazione” e scomparsa.
Questo numero del notiziario ci conduce in un viaggio attraverso i colori, le forme e i sapori. Abbiamo avuto modo di affrontare più volte il tema delle popolazioni di frumento che impegna sempre più numerosi attori: le filiere si vanno costituendo o consolidando ad ogni latitudine. Oggi sono 13 le popolazioni di frumento registrate in Italia e una di orzo. Ma non è che l’inizio. Tutto lascia presupporre che i numerosi processi di adattamento in corso ne vedranno apparire molte di più nei prossimi anni anche grazie alle importanti novità introdotte dal Regolamento Europeo sul Biologico la cui entrata in vigore è slittata al 2022: è il riconoscimento del valore della diversità nel favorire coltivazioni a basso impatto ambientale e ad alto valore nutrizionale.
Sperimentato il lavoro sul frumento e verificatone il successo, ci è parso naturale andare a testare un analogo processo di diversificazione su altre specie. Rete Semi Rurali, anche grazie a protocolli di intesa sottoscritti con alcuni Centri di Ricerca, sta lavorando alacremente su pomodoro, girasole, mais, riso e avena. Altre iniziative sono in corso su fagioli, zucchine e segale, spesso per iniziative locali da parte dei Soci e dei loro sodali.
Cosa ha di speciale questa attività? Si svolge quasi esclusivamente nelle aziende agricole permettendo, se tutto procede nel giusto verso, una rapida ricaduta sulla qualità del lavoro e delle relazioni degli agricoltori. Certo non è tutto regalato, è necessario l’impegno ad acquisire competenze di vario tipo:
agricole: soprattutto nella rinnovata capacità di osservazione e di conseguente adattamento delle pratiche di campo ma anche della organizzazione della selezione, sanificazione e conservazione delle sementi;
organizzative: soprattutto nello stoccaggio e nella trasformazione del raccolto (specialmente per le specie agrarie);
relazionali: soprattutto nell’acquisizione di nuove forme di collaborazione fra i vari soggetti protagonisti della filiera ed in particolare con chi sostiene il processo attraverso l’acquisto.
Proprio una diversa visione e competenza nelle abilità relazionali è la chiave di volta che permette a tutto il processo di manifestarsi in forme concretamente innovative, foriere di benessere diffuso e duraturo nel tempo. Con la mancanza di tale attenzione l’innovazione sociale, tecnica e economica costituita dalle popolazioni ricascherebbe in una logica di mera competizione sul mercato, con il rischio di essere rapidamente vanificata dalla legge del più forte tipica di quel contesto. La strada che stanno prendendo i cosiddetti “grani antichi”, sempre più in balia della retorica e delle logiche di profitto del mercato convenzionale, sta a dimostrare che questo rischio è dietro l’angolo anche per le popolazioni. Solo coloro che nel tempo avranno costruito e mantenuto relazioni costruttive con la comunità di riferimento riusciranno a ridurre gli effetti della competizione e ad investire nella crescita del benessere della collettività.
Gli accadimenti di questi ultimi mesi sempre più ci confermano nella scelta compiuta in questo percorso. Se è vero che niente deve più essere come prima, che è necessario evitare di riprodurre le cause della crisi ambientale e delle sue conseguenze epidemiologiche, una agricoltura sempre più attenta alla riduzione degli sprechi energetici e del degrado del territorio, costruttrice di comunità che sappiano vivere la globalità con competenza organizzativa nella costruzione di economie locali responsabili e rispettose dei bisogni e dei diritti delle comunità vicine e lontane è l’unica possibile.
Formazione in campo sui cereali con la Rete dei produttori del Biodistretto Val Camonica, Edolo (BS), 20 luglio 2020 foto C. Benaglio/RSR
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