Edward Wilson
di Riccardo Bocci
“Quando tagliate una foresta non state solo rimuovendo un sacco di grandi alberi e qualche uccello che svolazza. Mettete drasticamente in pericolo una vasta gamma di specie nel raggio di pochi chilometri quadrati. […] Molte di loro sono ancora sconosciute alla scienza, che non ha ancora scoperto il ruolo chiave senza dubbio giocato nel mantenimento di quell’ecosistema.”
(1929 – 2021) Non potevamo non dedicare il personaggio del Notiziario di maggio, che esce nel mese della Giornata Nazionale della Biodiversità Agraria (20 maggio) e della Giornata Mondiale della Biodiversità (22 maggio), a chi fu uno degli autori di questo neologismo. Infatti, prima del 1986 la parola “biodiversità” non esisteva. La comunità scientifica usava “diversità biologica” per riferirsi a ciò che oggi intendiamo con biodiversità e al grande pubblico era sconosciuta. È con il Forum Nazionale sulla BioDiversità tenutosi negli Stati Uniti a Washington dal 21 al 24 settembre del 1986 che “la biodiversità” fa la sua prima apparizione in pubblico. Uno degli organizzatori di questo incontro era il biologo statunitense Edward Osborne Wilson (Birmingham, 10 giugno 1929 – Burlington, 26 dicembre 2021), che, curando la pubblicazione degli atti del simposio nel 1988, diventerà uno dei padri nobili della biodiversità.
Da allora la biodiversità si è fatta strada nella comunicazione pubblica, anche grazie all’estate del 1992 quando, all’interno delle Nazioni unite, è stata approvata la Convenzione sulla Diversità Biologica, più nota come convenzione sulla biodiversità. Come scrive Wilson nel libro Biodiversity II nel 1998, uscito per fare il punto a dieci anni dagli atti del simposio del 1986, “durante gli anni ’80 abbiamo cominciato a percepire quanto il declino della biodiversità sulla Terra fosse serio e che, a differenza dell’inquinamento e del buco dell’ozono, questa perdita non potesse essere reversibile”.
Come biologo il nome di Wilson è indubbiamente legato allo studio delle formiche, la mirmecologia, anche se la sua fama è dovuta alla creazione di un nuovo filone filosofico all’interno del pensiero evoluzionista del secolo scorso: la sociobiologia. Si tratta di un ambizioso tentativo intellettuale di studiare dal punto di vista dell’evoluzionismo darwiniano il comportamento sociale, partendo dal presupposto che il comportamento degli animali (quindi anche dell’uomo) sia il prodotto dell’interazione tra ereditarietà genetica e stimoli ambientali. Incandescenti sono state le sue dispute con un altro evoluzionista darwinista e divulgatore scientifico, Richard Dawkins, autore de Il Gene Egoista. Oggetto del contendere era il principio ultimo del meccanismo evolutivo.
Mentre Dwakins immaginava un mondo di soggetti in competizione tra loro; Wilson, al contrario, vedeva nella coesione sociale (della comunità di soggetti) uno strumento in grado di aumentare la fitness dei singoli. Non a caso scriveva che “l’altruismo è necessario per la sopravvivenza delle società umane”, probabilmente influenzato in questo dallo studio delle sue amate formiche. Sono proprio le formiche il soggetto del suo romanzo Anthill (2010), riflessione sull’esistenza di Dio a partire da una diatriba tra formiche atee e credenti, in cui lo scienziato Wilson ci dice che in fondo non importa dimostrare l’esistenza di Dio perché credere può dare un vantaggio evolutivo. Ecco che così genetica, ambiente e cultura si fondono in un unicum dove è difficile separare le singole parti.